Il coraggio di partire, … la necessità di arrivare. Non è una boutade, è solo una riflessione un po’ amara, che prende spunto dalla importante manifestazione tenutasi sabato e domenica a Milano, con lo scopo di avviare un processo di fusione tra forze riformiste e liberali. Tanta bella gente, tante teste pensanti, preziose per il riformismo italiano, fuoriusciti da Italia Viva, da Azione, aderenti a formazioni come LibDem, Nos, …, insomma tutte persone dal solido passato (e presente) riformista, desiderose di costruire una casa comune per tutti quelli che fanno fatica a ritrovarsi nella deludente realtà del mercato della politica. Nobile ed entusiasmante intento, quello di ridare vita a quel Terzo Polo che ci aveva fatto sognare un futuro radioso quando, a fine estate del 2022, dopo una campagna elettorale brevissima ed improvvisata, aveva raggiunto l’8% su base nazionale, con punte fino al 15% in territori molto significativi come la Lombardia. “La storia ci racconta come finì la corsa, la macchina deviata lungo una linea morta …” Ma, invece di lasciare un mito fatto di “lapilli e lava”, sono rimaste solo ruggini di ogni tipo, rancori, rimorsi, davvero tosti da digerire. Ecco, quindi, un po’ di volenterosi che ci riprovano … e ogni riformista vero non può che augurare loro miglior fortuna. Sì, ma allora di cosa discutiamo? Perché non siamo davvero tutti insieme a giocarcela, per dare un futuro vero al riformismo? Dov’è il baco che impedisce di fare quello che sembrerebbe solo cosa logica, naturale, necessaria? Ecco, secondo me è l’urgenza della necessità quella che marca tutta la differenza. I contenuti politici che esprimiamo sono in larga maggioranza sostanzialmente gli stessi: inutile elencarli ancora, davvero sui contenuti le differenze sono tutte piccole e ricomponibili, purché ci sia voglia di farlo. D’altronde, esiste la politica senza confronto, sintesi, compromesso? La domanda è chiaramente retorica. E allora? Allora bisogna capire perché, cosa manca, come si potrebbe ricucire, come si potrebbe aggregare un’area dell’elettorato che, a prescindere dall’attuale collocazione nei partiti esistenti, può a mio parere raggiungere e ben superare il 20%. È paradossale che si marci divisi, ci si guardi con diffidenza ed anche un po’ in cagnesco, tra persone che hanno la stessa formazione, gli stessi riferimenti culturali, ed anche gli stessi obbiettivi generali. Quello che manca alla formazione “in partenza” è chiaramente una prospettiva di breve-medio termine. Al di là della costituzione di una nuova, ennesima formazione “unitaria”, che poi unitaria non è per niente, cosa si vede per dopo? Che prospettiva si indica? Ammesso di costruire la casa e popolarla con un po’ di gente, poi che si fa? Come si userebbe quella forza, grande o piccola che sia? Come la si spenderebbe nel panorama politico? Davvero si coltiva l’idea di mettersi equidistanti tra i due poli esistenti e mercanteggiare al meglio su quale dei due offre di più? Non parlo solo di posti in Parlamento, ovviamente, sarebbe un po’ volgare …, ma anche e soprattutto di agibilità politica, di possibilità di incidere in una eventuale alleanza. Davvero si pensa di poter aprire un tavolo con Salvini e Meloni, e tutto il loro imbarazzante seguito di famigli e clientes? Per dirsi cosa? Per fare cosa? Per andare dove? Raggiungere Orbán e soci, e costruire la nuova “democrazia illiberale” di stampo trumpiano? Mi rifiuto di credere che le persone che hanno animato l’incontro di Milano possano pensare una simile assurdità. Sanno benissimo che qui ed ora non esiste, e nemmeno esisterà, un mondo conservatore di solide basi democratiche, con cui avviare un qualche discorso che sia non del tutto campato in aria. E allora, questi bravi e volenterosi riformisti dovranno, se vorranno, confrontarsi con il centrosinistra, con le sue contraddizioni, con le sue fisime e le sue ritualità, ma anche con il mondo riformista che lì dentro c’è, c’è sempre stato e, seppur un po’ nascosto, resiste, e pure confrontarsi con l’ala massimalista e radicale. Quali altre alternative ci sono? Restare da soli a presidiare anche un eventuale 15%, senza offrirgli la possibilità di governare, di contare, di influire sulle scelte politiche? Insomma, quale strada si individua per GOVERNARE? Dove si trova il complemento al 51% almeno, visto che con meno si fa solo opposizione. Siamo d’accordo che, senza concrete possibilità di andare al governo, una forza politica, tanto più una forza riformista, non serve a nulla? Quindi, non ci vuole solo il coraggio di partire ma anche, e soprattutto, la possibilità, anzi la necessità, di arrivare, nel solo luogo dove un riformista può davvero incidere, ovvero il Governo. A che serve solo testimoniare una presenza, seppure corposa e culturalmente interessante? Io non ho sentito risposte convincenti a queste domande. Forse sono domande sbagliate, forse sono premature o addirittura fuori luogo, ma non mi pare di chiedere la luna. Cosa impedisce di indicare SUBITO la direzione in cui andare, senza coltivare questo assurdo e fuorviante mito dell’equidistanza. Nell’area di centrosinistra i riformisti sarebbero maggioranza, se solo trovassero il modo di fare “tutti insieme” massa critica. Davvero ci spaventa il confronto con Fratoianni, Bonelli e quello che resterà del M5S? O con Bettini e Bersani? Avremmo il timore di svendere le nostre idee, di annacquarle, di buttarle via, di abdicare al presidio del riformismo? Guarda un po’, io sono invece fermamente convinto che dovrebbero essere loro a temere di doversi accodare ed acconciare, in un Governo dove davvero vincerebbero la competenza e la chiarezza degli obbiettivi che NOI possiamo offrire e loro no. Abbiamo più filo da tessere, abbiamo più idee, abbiamo più concretezza, noi riformisti, e dal confronto coi massimalisti non dovremmo avere nulla da temere. In ogni caso avremmo gran voce in capitolo. E non è poco.
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