Il recente vivace scambio di vedute tra Concita De Gregorio e Nicola Zingaretti getta una luce sinistra sui rapporti interni alla sinistra. De Gregorio è sicuramente persona appartenente a quell’area (ha persino diretto “L’Unità”, in un recente e tumultuoso passato), Zingaretti è l’attuale Segretario del Partito Democratico, eppure si azzuffano come pochi, a colpi di tweet, con scambi di accuse più che velenose: elitaria, radical chic a lei, galleggia come un sughero, Chance il giardiniere (per i non cinefili, è Peter Sellers, il sempliciotto ed evanescente protagonista di “Oltre il Giardino”, che suo malgrado diventa una specie di guru) a lui. De Gregorio lamenta la scarsa, diciamo, incisività del Segretario, Zingaretti l’accusa di essere parte della rovina della sinistra. De Gregorio lamenta la scomparsa dell’anima di sinistra dal PD, sovrastata dall’anima popolar-democristiana, Zingaretti, che ha vinto un Congresso chiedendo scusa per i supposti errori precedenti, invece la rivendica, ma in modo per niente convincente. Insomma, volano gli stracci. E non c’è da stupirsene affatto, soprattutto mentre il penultimo Segretario del PD (Matteo Renzi, ora su altre sponde, ma anch’egli di matrice popolare), conduce vistosamente ed efficacemente la danza del dibattito politico. Il PD, ormai convertito alla “vocazione minoritaria”, attraversa un momento che eufemisticamente potremmo definire “poco luminoso”, e chi, se non tutta la sua classe dirigente, dovrebbe esserne tenuta responsabile? Chi in particolare, se non la sua vecchia matrice ex-comunista, che esprime il Segretario e che ha sempre remato vigorosamente contro tutto quello che rischiava di sfuggire al suo rigido controllo (da Prodi, a Veltroni, a Renzi)? La storia ha origini molto lontane, che addirittura potrebbero essere rintracciate nella scissione di Livorno, di cui si celebrano i cent’anni proprio in questi giorni. Ma, senza andare troppo indietro, vogliamo riflettere sui ritardi storici accumulati? Quanto tempo per ammettere che la “spinta propulsiva della rivoluzione del 1917” si era esaurita? Quanto per accettare che la NATO dava più garanzie democratiche del Patto di Varsavia? Quanto per accettare l’economia di mercato? O l’idea di Comunità Europea? O perfino i diritti civili? Insomma, quasi quarant’anni per capire che la parola “comunista”, orgogliosamente mantenuta nel nome e nel simbolo fino al 1991, era diventata una zavorra ideologica intollerabile e fuori dal tempo. D’altronde, la Chiesa Cattolica ha impiegato quattro secoli per riconoscere che Galileo aveva ragione ... Aldilà dei paragoni arditi, voglio dire che tutte le costruzioni ideologiche complesse soffrono di lentezza, poca reattività, eccessi di prudenza. E la scuola comunista e poi ex-comunista non è mai stata molto diversa da una chiesa, con riti, liturgie, gerarchie …; unita poi alla matrice tardo democristiana, ha prodotto un mix paralizzante che ha portato allo stato catatonico attuale. Non voglio tranciare la Storia con l’accetta: sono stato abbastanza a lungo (e ci sono ancora, anche se un po’ in disparte) in quell’area, dal PCI al PD, per non riconoscerne anche gli enormi influssi positivi sull’emancipazione delle classi subalterne, sulla nascita della Costituzione, sulla difesa delle istituzioni, sulla creazione di una bellissima comunità solidale che ha accompagnato tutta la storia della Repubblica, (qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri, qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita. – Gaber/Luporini), ma la Storia spesso richiede prontezza nell’adeguarsi ai cambiamenti, capacità di cogliere le tendenze, decisione nell’effettuare le svolte decisive. Oggi siamo in uno di quegli snodi: non è un momento di crisi come tanti ne abbiamo visti e vissuti, non è un’emergenza come altre, oggi siamo ad un punto cruciale, ancora in mezzo (speriamo per poco) ad un evento pandemico che non si vedeva da cent’anni, in una Comunità Europea che finalmente sta prendendo coscienza delle sue potenzialità sullo scenario mondiale, chiamati a fare la nostra parte, ad assumere un ruolo consono alle dimensioni ed all’importanza della nostra Nazione. Bisogna volere e sapere volare alto, non accontentarsi di compromessi al ribasso né di negoziazioni levantine. Il Presidente è in effetti salito sull’elicottero ed ha dato indicazioni sufficienti. Ora spetta agli attori sulla scena interpretare il ruolo giusto, adeguato al momento, senza precipitazione, ma con coraggio e determinazione. Abbiamo addosso gli occhi di tutta l’Europa (come minimo), non possiamo renderci responsabili di un collasso continentale (la crisi della piccola Grecia nel 2010 sta lì a ricordarcelo). Con tutto il rispetto per le persone, non è il momento per azzuffarsi sull’avvocato Giuseppe Conte o sul numero dei Responsabili Europeisti. Serve molto molto di più, e le forze politiche sono obbligate a dare risposte concrete. In caso contrario, il giudizio della Storia sarà molto severo, quello dei cittadini sarà forse sommario, ma una classe politica che fallisca in un frangente come questo meriterebbe di essere spazzata via per sempre e dimenticata. Ammesso che ce ne sia un’altra, pronta e disposta e succederle …
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