So che chiedo l’impossibile, ma ve l’immaginate quanto sarebbe confortante sapere che le trattative per il nuovo Governo si svolgeranno parlando solo di “cose da fare”? Un Governo (non a caso si chiama anche “Esecutivo”) deve “fare”, è lì per quello; deve eseguire diligentemente ed in modo efficiente un programma concordato preventivamente tra le forze politiche che lo sostengono e affrontare le emergenze che eventualmente si presentano. Il capo del Governo “promuove e coordina l'attività dei Ministri”. I Ministri sono esecutori del programma concordato e devono essere garanti della sua corretta e tempestiva realizzazione. La macchina amministrativa dello Stato deve fornire servizi e strumenti alla collettività che produce ricchezza, consuma, paga le tasse (in realtà lo Stato lo fa anche per chi le tasse non le paga, ovvero per i parassiti che vivono sulle spalle degli altri). Insomma, la “Res Publica” è un’organizzazione che, con il suo funzionamento, deve tendere a farci vivere tutti una vita migliore, a far sì che ognuno contribuisca al bene comune con il meglio delle sue capacità, a preparare un futuro di crescita, di sviluppo, di emancipazione, di giustizia sociale. Belle parole, eh! Se ne potrebbero scrivere anche di più auliche e roboanti, ma che probabilità c’è che esse abbiano un senso compiuto? Inutile negarlo, molto scarse, visto il momento. Eppure l’occasione sarebbe perfetta per dimostrare che un’organizzazione ben strutturata può fare molto di più di quanto possano ottenere singole forze, rappresentanti di interessi personali o settoriali. Pensiamoci bene: stiamo per uscire (perché ne usciremo in tempi ragionevolmente brevi, questo è certo) da una crisi sanitaria come non se ne vedevano da un secolo. Si deve riscostruire, si deve rimettere in moto una macchina che da un anno funziona solo parzialmente, e tra mille difficoltà. Dal fondo si può solo risalire (salvo mettersi a scavare…). Facciamo parte di un organismo sovranazionale come la UE che finalmente ha capito che per superare le difficoltà e riprendere a crescere bisogna investire, mettere soldi in opere e servizi che creino lavoro, ricchezza ed opportunità per le nuove generazioni. Si è deciso, anche abbastanza tempestivamente, che il “debito buono”, come lo chiama Draghi, non è una “colpa”, come pensano e traducono i tedeschi tradizionalisti (Schuld nella loro lingua significa entrambe le cose), ma è del tutto sostenibile, se la società lavora, produce e si sviluppa. Sono stati messi a disposizione fondi molto ingenti (per l’Italia oltre 300 miliardi di euro), parzialmente a fondo perduto ed il resto con prestiti a lunghissimo termine, a tassi bassissimi. La pandemia ha sì provocato immensi danni fisici e morali, ma fortunatamente non ha distrutto case, fabbriche, infrastrutture, città. Ora c’è da ripartire. C’è da lanciarsi in una impresa di ricostruzione che dovrebbe essere esaltante; dopo la seconda guerra, e tanti ricordano a proposito il famoso Piano Marshall, fu necessaria anche la ricostruzione “fisica”, e tutti noi europei (i nostri padri, in realtà) fummo capaci di realizzarla, facendo letteralmente rinascere una civiltà abbrutita da sette anni di mostruosità indicibili. Adesso cosa ci manca? Perché esitiamo? Perché non si vede anche solo un minimo di afflato, di entusiasmo per l’impresa comune da compiere? Perché insistiamo a cacciarci ottusamente nelle strade senza uscita dei nostri peggiori vizi sociali? Perché ci nascondevamo ipocritamente, fino a un mese fa, l’inadeguatezza, l’immobilismo, le indecisioni del Governo, che pure adesso in tantissimi finalmente riconoscono? Possibile che per ottenere di mettere al centro i contenuti programmatici, le “cose da fare”, si sia dovuto arrivare alla tensione di questi giorni? Perché si è dovuti (ripeto dovuti, anche se in tanti non concorderanno) arrivare alla rottura? Paura del cambiamento, incapacità, titubanza, timore di sbilanciarsi, di rompere equilibri precari? Di tutto un po’, col risultato che il tempo sta passando e chi ci guarda dall’estero giustamente si preoccupa (i soldi da impiegare sono debiti di tutta l’Europa, mica solo nostri …). Detto questo, ora si fa punto e a capo. E ancora tutti ad almanaccare sul futuro dell’avvocato Conte, o dei suoi possibili sostituti, tutti a fare il toto-ministro, chi esce, chi entra, quanti, a chi, … Ripeto, ma non sarebbe tanto più utile dedicarsi a definire un programma di Governo, dettagliato, completo, con tempi, indicatori, valutazioni di impatto, responsabili, costi, tutte cose che peraltro l’Unione Europea ci chiede TASSATIVAMENTE. Non dovrebbe essere il primo e più logico obbiettivo? Il Piano Nazionale di Ricostruzione e Resilienza (PNRR) è un’occasione d’oro: addirittura ci pagano per realizzarlo, ci rendiamo conto? E poi, affiancare al Piano una riforma fiscale, seria e semplice (ci sono ottime proposte in giro), ed una riforma istituzionale che metta fine al caos dei rapporti Stato-Regioni, che snellisca il lavoro del Parlamento, che dia stabilità al quadro politico (siamo sicuri che una legge elettorale di “stampo proporzionale”, per usare le parole dell’avvocato Conte, sia la più adatta alla bisogna? A me non pare.). Il tempo, fino a fine legislatura, c’è. Due anni non sono pochi. Non è di questo che dovremmo discutere, PRIMA di decidere a chi dare l’incarico di provarci? Chiunque sia, Conte, Cottarelli, Cartabia, Draghi, CR7, Batman o Tex Willer, non vogliamo consegnargli una lista condivisa di “cose da fare”? O vogliamo affidarci al suo (di chiunque) estro, per rimetterci subito dopo a discutere fino allo sfinimento? Lo so, sto chiedendo l’impossibile. Non succederà, andrà come al solito, si farà come si è sempre fatto. E quindi concludo con un pensiero di Albert Einstein, uno che nella vita ne ha fatte di cose ... “È da stupidi pensare che, facendo sempre le stesse cose, il risultato possa essere diverso”. |