L’avventura di Draghi è appena cominciata, è ancora irta di ostacoli, di pericoli, di possibili trabocchetti, ma è anche foriera di grandi aspettative, che sarebbe un peccato andassero deluse. La politica italiana ha bisogno di una fase di decantazione, che si spera possa portare ad una risistemazione di un quadro che oggi si presenta confuso, frastagliato, contraddittorio, solcato da acredini, rancori, rivalse, tutti (ri)sentimenti che mal si addicono al momento che stiamo attraversando. Ci vorrà tutto il prestigio, tutta la capacità diplomatica e operativa di Mario Draghi per arrivare alla fine della legislatura, avendo almeno avviato (ma in modo irreversibile) le azioni e le riforme di cui il Paese ha impellente bisogno. Vedremo tra pochi giorni quale sarà l’approccio, la squadra e soprattutto le prime decisioni operative del nuovo Governo. Pare abbia detto, con mirabile pragmatismo: “Io faccio la sintesi, voi date il giudizio”. E già, perché poi i provvedimenti debbono passare in Parlamento e quindi lì devono formarsi maggioranze adeguate per trasformare in leggi le decisioni del Governo. Potrebbero essere maggioranze variabili, è probabile che lo saranno, visto che il Presidente della Repubblica ha espressamente detto che il Governo è svincolato da formule politiche precostituite, ma fare cose importanti, per due anni, con questo schema è un’esperienza inedita e non priva di rischi. Io credo che ognuno di noi, cittadini ma in particolare le forze politiche organizzate, dovrebbe vivere questo periodo ripensando la propria collocazione, la propria natura, i propri obbiettivi. Bisogna fidarsi delle capacità, dell’effettiva terzietà e dell’indipendenza di Draghi, che potrà eventualmente prolungare la propria funzione di garanzia al Quirinale, da qui a un anno, e dedicarsi a decidere e programmare cosa fare “da grandi”, cioè quando, in occasione dalle elezioni che si terranno nel 2023 (salvo inopinate sorprese), bisognerà sottoporre al giudizio degli elettori una prospettiva futura, si spera in un Paese meno isterico e disordinato dell’attuale. Questo problema riguarda tutti i Partiti, destra sinistra centro e posizioni varie: ed è molto condizionato dal tipo di legge elettorale che prima del 2023 si dovrà per forza varare. Riterrei un’autentica iattura un sistema che favorisse il proliferare dei partiti: sarebbe sicura garanzia di instabilità ed ingovernabilità. Molto meglio un sistema che invece favorisca le aggregazioni intorno a solidi principi di base e conferisca vere capacità di governo a chi riesca a convincere il maggior numero di elettrici ed elettori. È un vecchio e purtroppo ancora attuale discorso: ma prima o poi bisognerà pur trovare pace ed assestarsi su uno schema, che non sia dettato da una parte per tentare di schiacciare l’altra, ma che sia espressione comune! Si dice sempre che le regole del gioco devono essere bipartisan ma, quando ci si prova, solitamente si finisce male. Possiamo continuare ad accantonare un tema di questa importanza? Non sarebbe il caso che TUTTO il Parlamento dedicasse uno sforzo specifico a risolvere l’annosa ma imprescindibile questione? Ci sono due anni di tempo: si potrebbe fare. Come altre cose si dovrebbero, da oggi in poi … Spendere il tempo a tirare Draghi per la giacchetta, sperando di convincerlo a fare una cosa piuttosto che un’altra mi pare un esercizio inutile, divisivo, foriero di conflitti, che potrebbero far collassare tutto il castello e mandarci da incoscienti alle elezioni, senza rete, senza una nuova legge, senza alcuna riflessione sulle prospettive da offrire all’elettorato. Una stupidaggine autolesionista, crudele verso il Paese, disperata! A Draghi si possono e si debbono portare proposte, è ovvio, ma poi bisogna fidarsi della sua capacità di sintesi. Il gioco dei prossimi due anni è questo e spero che i Partiti lo capiscano presto. E allora gli stessi Partiti dovrebbero aprire una fase di “introspezione”, di riflessione approfondita, di riorganizzazione e possibilmente di aggregazione tra simili. Operazione da compiere sia in Parlamento che fuori, anzi più fuori che dentro. Cercare e trovare punti di sintesi, partendo da caratterizzazioni di fondo, intorno alle quali articolare programmi e proposte, e non alimentare solo elementi di differenziazione (che invece devono essere gestiti e non usati come clave). A questo scopo è imprescindibile ed insostituibile la distinzione destra-sinistra e ormai dovemmo averlo capito. Si può essere più o meno moderati, più o meno radicali, ma stare nel mezzo, con l’illusione di essere determinanti di qua o di là, pronti al miglior offerente, quello proprio no! Abbiamo già dato … Inoltre sarebbe opportuno concentrarsi su pochi temi specifici (ambiente, lavoro, educazione, sviluppo del Mezzogiorno, pubblica amministrazione, fisco). Le ricette non saranno le stesse, è evidente, anche dopo che Draghi fosse riuscito, soprattutto tramite lo sviluppo del Recovery Plan, a creare un base di partenza condivisa. Ma sono proprio ricette diverse e riconoscibili che bisogna portare agli elettori per chiederne l’adesione. Non si tratta di schematizzare, si tratta di distinguere, selezionare, scegliere i temi su cui caratterizzare le proprie proposte. Non voglio insegnare ai gatti come arrampicarsi, ma il mio non richiesto consiglio, specie alle forze che si dicono riformiste, è di esserlo fino in fondo, delineando un quadro chiaro, un disegno di società cui tendere, fatto di solidi principi (una carta dei valori) e poi declinarlo in proposte concrete. È un processo di maturazione della politica italiana di cui si sente un bisogno fortissimo: davvero non si può andare avanti così! Draghi offre a tutti un’occasione per riflettere, per ripensare, per ordinare. Lasciamolo lavorare e pensiamo a come dovrà essere l’Italia fra un paio d’anni. Il tempo passa in fretta, non buttiamolo via. |