Al momento della fondazione di Italia Viva (Leopolda, ottobre 2019), scrissi che il nuovo Partito nasceva da due fallimenti: quello del Partito Democratico e quello del referendum costituzionale del dicembre 2016. Il PD aveva ormai palesemente rinunciato a giocare il ruolo immaginato da Walter Veltroni nel discorso del Lingotto nel 2007, ovvero un partito “a vocazione maggioritaria”, con cultura di governo, che facesse sintesi delle culture riformiste del Novecento (socialista, liberale, solidale, ambientalista, radicale) e ne proiettasse nel nuovo millennio i lasciti politici; aveva rinunciato, scaricando nella vergognosa vicenda del referendum tutte le scorie del passato, mai digerite, mai assimilate, e sempre riemergenti. Il suo nuovo Segretario anzi chiedeva scusa per tanto ardire … Italia Viva si sganciava per avere agibilità politica e per tentare di dettare l’agenda di un autentico riformismo di centrosinistra. Tra mille difficoltà, questo è quello che ha fatto, avendo sbarrato la strada al sovranismo di Salvini (ora furbescamente folgorato sulla via dell’europeismo…) e avendo da poco scardinato un Governo di incompetenti, che sotto la guida di Giuseppe Conte, l’assenso entusiasta del M5S e l’accondiscendenza masochista del PD, rischiava di mandare il Paese a sbattere contro il muro del discredito internazionale e del fallimento. Piaccia o no, questo è successo. E adesso tutti speriamo che Draghi faccia il miracolo di avviarci sulla via della ricostruzione e della resilienza. Per ora è tutta una processione di osannanti; dopo, vedremo ... Ciò detto, resta sul tavolo il fallimento del PD: Zingaretti la pensi come vuole, ma è evidente a chiunque abbia un po’ di capacità di analisi che il PD esce sconfitto dall’intera vicenda. Esce a pezzi, con la base ed il vertice spaccati, incerti sul futuro, senza una prospettiva praticabile, se non l’alleanza con i cinquestelle morenti, una leadership debole, messa a rischio perfino da un parvenu come Giuseppe Conte. Non può finire così. Nel prossimo futuro (massimo il 2023) l’elettorato italiano dovrà essere messo in condizione di scegliere un futuro oltre Draghi, che nel frattempo presumibilmente guarderà (atterrito?) la scena dal Quirinale. Non so cosa farà la destra, su quali e quante strade si incamminerà: devono sempre scegliere tra il sovranismo antistorico e morente di polacchi ed ungheresi e una destra europea conservatrice, ma democraticamente affidabile. Le due vie sono incompatibili, prima lo capiscono e meglio è per loro. Non so neanche cosa farà la sinistra, o il centrosinistra che dir si voglia. Qui le spinte sono come al solito molteplici: massimalismo, pauperismo, ambientalismo radicale, statalismo, infine riformismo, dove solo quest’ultimo è suscettibile di incidere sull’evoluzione della società moderna. Gli altri influssi sono retaggi, di nuovo antistorici e morenti, che non portano da nessuna parte e che certamente non contengono quello slancio ideale necessario per affrontare il problema delle diseguaglianze (l’assistenzialismo non basta), il problema del cambiamento climatico (la decrescita non è felice, ma è suicida), la scommessa della civiltà digitale (che non è solo il trionfo della libera chiacchiera sui social). Abbiamo davanti un mondo che si fa sempre più complicato e vanno definiti con una certa urgenza gli strumenti adeguati per pilotarlo verso una società di cittadini con uguali opportunità, liberi, solidali, con un benessere ragionevole e diffuso. Temo che l’alternativa a questo sia solo la “democratura” putiniana, orbaniana, trumpiana (finché c’è Trump, poi resta Bolsonaro), sovranista, becera e illiberale. Ma qui, dalle parti della sinistra, vogliamo deciderci ad elaborare un piano praticabile, appetibile, comprensibile, suscettibile di guadagnarsi la fiducia di una cittadinanza che sarebbe anche stufa di avventure con improbabili ed incompetenti azzeccagarbugli? Insomma, non sarà il caso che il Partito Democratico apra una bella ed approfondita discussione che culmini in tempi non biblici in un Congresso di rifondazione, che affronti e chiarisca per davvero tutti questi temi? Non è solo un problema di quel Partito: è un problema che attiene a tutta l’area di centrosinistra, che ha il diritto di essere rappresentata, tutelata e portata a diventare classe dirigente per meriti e competenze e non per affiliazione a frazioni e correnti. La domanda di riformismo è palese nel mondo dei cittadini normali: Draghi cercherà di dimostrare che è un riformismo è possibile, senza lacrime e sangue, ma non basteranno un paio d’anni. Serve una prospettiva più lunga, di maggiore respiro. I Democratici americani, pur con qualche difficoltà, si sono attrezzati per un progetto di una dozzina di anni (un’amministrazione per Biden e due per Harris): si vedrà se ne saranno capaci, ma almeno, sotto la spinta di Obama, hanno dimostrato di volerci provare. E noi? Aspettiamo la spinta di Conte e Casalino? |