Non so a voi, ma a me viene un po’ di tristezza quando sento parlare, oggi, nel 2021, di Partito del Lavoro o di Partito dei Lavoratori. Eppure in tanti ne parlano, a sinistra. Tristezza, con forse anche un po’ di nostalgia (un blues, appunto), come per l’Idrolitina, il Cynar, o la pellicola Ektachrome, o i gettoni telefonici (chi ha una certa età sa di cosa sto parlando). Non datemi subito del cinico, proviamo ad argomentare: chi sono i lavoratori, oggi? Come sono connotati? Come si distinguono, eventualmente, dai non-lavoratori (non parlo né dei pensionati, che lavoratori lo sono comunque stati, né dei disoccupati che, almeno teoricamente, dovrebbero esserlo solo temporaneamente …)? Fino alla metà abbondante del XX secolo la risposta non era difficile: i lavoratori erano nettamente distinti dai rentier ricchi di famiglia, dai latifondisti e dai grandi industriali, dai detentori del capitale; i lavoratori erano quelli che vivevano solo del loro lavoro, quelli che per condizione sociale, istruzione, reddito, erano collocati in un ben preciso livello (in basso) della scala sociale. Nel lessico marxista erano definiti “proletari”, ovvero padroni solo della loro prole, e nient’altro. In quest’ottica il Partito del Lavoro, dei Lavoratori, Laburista, aveva un suo preciso senso in quanto contrapponeva gli interessi di una classe sociale ben determinata a quelli di un’altra classe sociale, altrettanto ben definita e strutturalmente antagonista. Nella teoria marxista classica si parlava infatti di ”lotta di classe”. E adesso? Adesso, nel XXI secolo avanzato, le cose non sono più così definite e nette. Chi sono i lavoratori, oggi? Hanno ancora i requisiti che li caratterizzavano cinquant’anni fa? Hanno ancora gli stessi interessi? Lavoratori garantiti, pubblici o privati, a tempo determinato, oppure precari, partite IVA, piccoli e medi imprenditori, startupper, fornitori di servizi, artigiani, professionisti, ma anche broker, consulenti; infine atipici, braccianti, rider, potremmo andare avanti ancora a lungo. Cos’hanno in comune tutti questi lavoratori? Possono essere raggruppati, assimilati, schiacciati in un quadro di interessi comuni? No, non si può. Ogni categoria ha le sue specificità, le sue esigenze, le sue aspettative, le sue rivendicazioni. E infatti oggi un Partito del Lavoro o dei Lavoratori non c’è più e chi lo invoca fa solo un’operazione nostalgica, senza un vero significato politico, oppure sceglie una piccola parte di essi, qualche categoria particolarmente svantaggiata, e ne fa un paradigma, condannandosi però ad una marginalità implacabilmente minoritaria. Rende pura testimonianza e non concorre al governo del Paese né alla sua evoluzione sociale. La verità è, a mio parere, che il lavoro non è più il discrimine. Non a caso la nostra Costituzione, frutto di intense mediazioni politiche e culturali, stabilisce che “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Il lavoro è appunto la base, il fondamento, di tutto e di tutti e non ha senso farne un elemento di distinzione politica. Quindi è su altro che i Partiti devono fondare le loro differenze: i lavoratori sono a destra così come a sinistra o al centro, è del tutto evidente, e da anni. Gira e rigira, si torna alla distinzione tra destra e sinistra proposta da Bobbio quasi trent’anni fa: la destra e la sinistra si distinguono attraverso la minore o maggiore propensione verso la socialità piuttosto che verso le individualità (mi scuso per la rozzezza della sintesi, ma il succo mi pare questo). Per essere ancora più chiari, Margareth Thatcher, una donna schiettamente di destra, per quanto certamente democratica, disse nel 1987: "... non esiste la società. Ci sono singoli uomini e donne e ci sono famiglie. E nessun governo può fare altro che attraverso le persone, e la gente deve prima prendere cura di se stessa. È nostro dovere prendere cura di noi stessi e poi, anche, prendere cura dei nostri vicini”. Una posizione molto dura, e certamente non condivisibile da chi, a sinistra, crede che sia invece la società organizzata a offrire agli individui la possibilità di esprimersi, di crescere e, in fin dei conti, di realizzarsi ed essere felici. Qualcuno, più estremista, è arrivato a pensare che solo la società esista e che gli individui debbano totalmente infondersi in essa: la Storia ha ampiamente dimostrato la pericolosità di tale posizione. Un partito di sinistra (o di centrosinistra) deve quindi trovare altre connotazioni, deve offrire obbiettivi più mirati alla trasformazione della società ed all’emancipazione dei cittadini, non solo la rappresentanza di alcuni di essi, per quanto meritevoli di attenzione. Gli ultimi, che esistono in qualsiasi società, non è affatto detto che siano “naturalmente” di sinistra, anzi … Soprattutto, una forza progressista deve mettersi in condizione di governare i cambiamenti, altrimenti rischia l’irrilevanza o si limita a cavalcare la protesta. Venendo a noi, un partito come il PD è stato “progettato e costruito” per governare, tale obbiettivo fa parte integrante del suo DNA fin dall’inizio, e non è un caso se si è trovato molto spesso al governo, anche senza vincere le elezioni. Essendo questo partito l’unico in pratica ad così strutturato, è risultato difficile farne a meno nel governo del Paese. Non è “solo” questione di poltronismo, che pure non manca … Certo, questa situazione non è ottimale: sarebbe meglio avere almeno DUE gruppi politici alternativi, altrettanto intitolati al governo del Paese, ma tant’è: l’ubriacatura populista, le follie antieuropee, la favola dell’”uno vale uno”, l’attacco forsennato e strumentale alla “casta”, hanno fatto sì che le alternative possibili si siano dimostrate esiziali per il Paese e quindi si sia dovuto supplire con manovre sì efficaci, ma poco ortodosse. È ora di rimettere a posto le cose, se vogliamo davvero diventare un Paese normale, con una normale alternanza di governo, una normale classe dirigente di diverso orientamento, ma di uguale affidabilità democratica. Non si sta chiedendo la luna, ma solo il minimo per funzionare con gli standard degli Stati occidentali. Forse con il Recovery Plan i tempi possono maturare un po’ più in fretta. Certo che serve buona volontà in tutto il sistema politico e nessuna nostalgia per gli schemi del secolo scorso.
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