I tumultuosi tempi che stiamo vivendo, tra pandemia, con morti e contagi che non scendono e vaccinazioni che non decollano, crisi economica, limitazioni delle più basilari libertà personali, mancanza di contatti umani, quadro politico in continua evoluzione, ci stanno sottoponendo ad un gigantesco “stress test”. Lo “stress test” è in realtà una pratica molto diffusa per verificare la capacità di strutture complesse (non importa se fisiche o immateriali) di sopportare sollecitazioni anomale, maggiori e/o comunque diverse da quelle standard. Si tratta di “simulare” l’aumento abnorme della sollecitazione (lo stress), per vedere se e quando la struttura cede, come cede, in che punto e con quali modalità. Solitamente è appunto una simulazione, fisica o computerizzata, che fornisce utilissime informazioni per rendere più “robusta” e “resiliente” la struttura in questione, sia essa un ponte, una macchina, una banca, un’organizzazione qualsivoglia. Una “simulazione”, un’esercitazione. Quella che invece stiamo vivendo già da un anno (e ne avremo ancora per un po’…) non è un’esercitazione, è uno stress test reale, non simulato, che sollecita ben oltre i limiti standard tutti gli aspetti dell’organizzazione sociale nel mondo cosiddetto evoluto, e le reazioni risultanti non sono per niente scontate. Già nel 2008 il mondo intero ha sopportato uno “stress test” derivante dalla crisi dei mutui sub-prime americani e ne è uscito molto ammaccato, con comportamenti niente affatto omogenei tra un pezzo di mondo e l’altro. Basti pensare alla fulminea reazione americana (era appena arrivato Obama), che mise in atto forti provvedimenti espansivi, pompando liquidità nel sistema affinché non collassasse, mentre l’Europa intera rimase legata a conservative politiche rigoriste che, in nome dell’austerità, procurarono non pochi disastri, almeno fino a quando Mario Draghi, nel luglio 2012, non pronunciò l’ormai mitico “whatever it takes … and, believe me, it will be enough” (tutto il necessario … e, credetemi, sarà abbastanza), ponendo fine a decenni di dottrina rigorista tedesca. Schaeuble, il Ministro delle Finanze, e la Bundesbank non la presero bene, combatterono una lunga battaglia legale fin davanti alla Corte Costituzionale tedesca, ma alla fine Draghi (con la sua silente alleata Merkel), la spuntò. Lo “stress test” fu superato, ma lasciò danni, provocò disagi e disperazione (chiedere ai Greci), fornì comunque utili lezioni (”lessons learned”) per non ripetere gli stessi errori. Una dozzina di anni dopo, ecco un altro “stress test”, di nuovo non simulato. E nemmeno ipotizzato. La pandemia ci ha investito nel bel mezzo di un periodo abbastanza espansivo e, come abbiamo potuto constatare, nessuno era pronto, nessuno aveva fatto simulazioni e predisposto piani adeguati. Inutile ripercorrere la storia dell’ultimo anno, l’abbiamo appena vissuta. Ma neanche possiamo prendere quello che è successo come un puro “act of God” e sperare che la prossima volta vada meglio. Qui le “lessons learned” sono ancora tutte da sviscerare, da sistematizzare, da applicare e rendere strutturali. È vero, a nessuno (quasi nessuno…) è più venuto in mente di applicare il vecchio rigorismo; da subito (quasi subito…) si è capito che bisognava allargare i cordoni della borsa. Ancora un volta è stato Mario Draghi ad indicare la strada giusta, quella del “debito buono”, ma stavolta, a parte qualche austero e frugale olandese, non ha trovato grandi resistenze. Come ha detto ai giornalisti: “Adesso i soldi si danno, non si chiedono”. Bene, abbiamo la fortuna (che qualcuno ha pure propiziata, con quegli strani riti che ai semplici sono parsi astrusi…) di avere quell’uomo lì come Presidente del Consiglio e, malgrado i lamenti lividi e pelosi di Travaglio e soci, a tutti è chiaro quanto ciò sia positivo. Però non esageriamo, perché Draghi è persona lucida e razionale e, come prima cosa, ha detto: “Prometto solo ciò che posso mantenere”. Quindi suggeriamo idee, collaboriamo con lealtà e franchezza, ma nel frattempo tutto il sistema politico italiano deve darsi una bella mossa. Il che significa prepararsi al futuro prossimo, sperando che Mattarella accetti di restare un anno ancora e quindi, dopo le elezioni, cedere il posto, sperabilmente, allo stesso Draghi. È una fase in cui bisogna avere visione, lucidità, freddezza, ma non fretta. Calma e gesso, come si dice al tavolo da biliardo prima di un tiro difficile. Ci sono due anni che non dovranno andare sprecati. C’è da elaborare le lezioni apprese, c’è da predisporre attività di ricostruzione, c’è da simulare altri “stress test” per altre crisi che potranno arrivare, c’è da mettere il nostro Paese e l’Europa in sicurezza, c’è da superare prove elettorali che culmineranno in quella del 2023, con un Parlamento nuovo, rinnovato, si spera con una legge elettorale che favorisca la stabilità. Insomma, c’è da fare un sacco di cose molto difficili, ma ci vuole metodo, non si può shakerare tutto insieme in un frullatore impazzito. Le forze politiche dovrebbero fare uno sforzo titanico di autoanalisi, definendo bene, con priorità e progetti, che società vogliono promuovere e poi chi vogliono rappresentare, e come. La dico in modo un po’ tranchant: va bene ascoltare la società ma, attenzione! perché la società è molto disorientata, confusa, e non è detto che abbia qualcosa di compiuto da esprimere, a parte le rivendicazioni di bisogni, a volte sacrosanti, ma a volte puramente corporativi. Quindi c’è da decidere da che parte stare e poi offrire soluzioni, non conforto. Non so quanto elettoralmente questo paghi, ma so che il populismo, di destra e di sinistra, lo si batte risolvendo problemi e non agitandoli come clave. È tempo di costruttori (questa l’ho già sentita …), ma per davvero. Destra e sinistra esistono ancora nelle loro diverse gradazioni, malgrado le tante inopportune e anticipate dichiarazioni di morte presunta, ma devono connotarsi e distinguersi nella qualità delle proposte, senza farsi prendere dalla fregola e dall’onda di sondaggi spesso tendenziosi. Calma e gesso! “Il momento è catartico”, diceva un comico anni fa. Finora abbiamo buttato via tante occasioni, riusciremo a buttare via anche questa? La sinistra è famosa per la quantità di macerie che riesce a produrre. E senza neppure tentare di riciclarle e ridarle nuova vita. È una politica poco “sostenibile”, bisogna rifletterci su …
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