Sono passati dieci anni; abbiamo visto decine di filmati, di fotografie, letto resoconti, tutti talmente terrificanti da sembrare estratti da un mediocre film catastrofico. Eppure era tutto vero. Il terremoto in Giappone ed il successivo tsunami sono stati documentati da migliaia di persone coinvolte, che hanno impietosamente fatto conoscere a tutto il mondo l’orrore di quelle ore, e tutte le immani conseguenze. Giorni fa è comparso in rete ancora un filmato, che a mio parere compendia tutto: sono sei minuti e poco più, girati in un ristorante affacciato sulla pista del terminal aeroportuale di Sendai. Non è affollato, in lontananza si intravede il mare, una scena di ordinaria normalità, che tutto ad un tratto viene scossa dal sisma con una violenza semplicemente spropositata. Il terminal ha una struttura antisismica, perché resiste, è scosso, non cede, non si rompe un vetro, ma il suo interno sembra un frullatore infernale; l’operatore tiene saldo il telefonino, ma i sobbalzi sono violentissimi, e non finiscono mai … Poi l’operatore cade a terra, i piatti volano via, qualche suppellettile si rovescia, oscillano i lampadari ed i quadri alle pareti, una mamma protegge un bimbo sul pavimento, si vede gente terrorizzata e ammutolita, ordinatamente stesa sotto i tavoli, come da manuale, qualcuno si muove per portare soccorsi, ma fa fatica ad avanzare. Tutto trema, trema, trema, per un tempo infinito. Diranno poi che il sisma ha avuto una magnitudo 9.0 sulla scala Richter, una roba che cambia la faccia della terra, e uccide quasi 16.000 persone. Il frullatore resta in azione per tre lunghissimi minuti, poi si ferma. C’è uno stacco, l’operatore volta il telefonino verso l’esterno, verso la pista, e subito, da poco lontano, si vede il mostro che arriva inesorabile: è il mare che sta invadendo la pista; l’onda di tsunami avanza portando via tutto, camion, carrelli, scale, attrezzature; sembra una lingua d’acqua innocua che tracima, ma avanza, avanza inarrestabile e travolge tutto con l’implacabilità che solo la Natura sa avere. ... Ecco, il filmato mostra la Natura in azione. Inesorabile, spietata. E dopotutto, perché mai dovrebbe avere pietà? La Natura non ha senso morale. D’altronde, nemmeno noi ci curiamo delle migliaia di insetti che schiacciamo sul frontale della nostra auto, mentre viaggiamo in una notte d’estate tra le risaie del vercellese. Non c’è molta differenza … Non c’è morale nei rapporti interni alla Natura. Ognuno va per la sua strada, guidato solo dalle leggi della fisica, della chimica, della relatività. Non c’è buono, non c’è cattivo. Quello che deve capitare, capita. Punto. Il meteorite che cadde sulla Terra 65 milioni di anni fa non ebbe pietà dei dinosauri, né la caldera che sprofondò Santorini, né il Vesuvio che seppellì Pompei ed Ercolano. E noi? Noi, esseri senzienti, soli ad essere coscienti della vita e della morte, siamo intrappolati in questo meccanismo, che è molto più grande di noi, ed in buona parte ancora sfugge alla nostra comprensione. Sappiamo che, se due placche tettoniche si muovono e collidono, liberano energia e tutto quello che c’è intorno o sopra ne viene investito in modo semplicemente incontrollabile e spesso devastante. Sappiamo costruire un terminal che non crolla, ma l’acqua lo invade lo stesso; decidiamo però anche di costruire un impianto nucleare sulla costa, impianto che viene invaso dallo tsunami e provoca una catastrofe radioattiva irreversibile, i cui effetti dureranno per secoli o millenni. E allora? La Natura è cattiva? No. Noi siamo buoni e bravi? Nemmeno. Siamo solo stupidi a non capire cosa serve fare e cosa invece ci si ritorce contro. Dovremmo capire che il nostro rapporto con la Natura deve in primo luogo salvaguardare noi stessi, la nostra vita e la nostra civiltà. Un terremoto non si può smorzare, ma un impianto nucleare su una costa ad elevato rischio sismico si può e si deve evitare. Così come si può evitare la cementificazione di un alveo fluviale o un disboscamento irresponsabile di un versante montuoso. E se non lo evitiamo, stiamo offendendo noi stessi, non la Natura, che tanto se ne frega, e con l’acqua passa sopra tutto quello che trova. Se bruciamo combustibili fossili in grande quantità e liberiamo milioni di tonnellate di anidride carbonica, la Natura se ne fa un baffo. Reagisce secondo la fisica. La Terra si scalda, i mari salgono di livello, la circolazione atmosferica diventa più violenta, qualche foresta va in fumo, qualche specie animale scompare, qualcun’altra si modifica: la Natura si adatta e basta. Siamo NOI che non ci adattiamo se il livello del mare sale di un metro o anche di più. Non c’è un “pianeta da salvare”; c’è una specie umana da proteggere e mantenere in vita. Il pianeta è il nostro supporto vitale e noi siamo parte integrante di esso e di tutto il resto dell’universo. Servirebbe un approccio molto più pragmatico e laico nel trattare le tematiche ambientali. L’equilibrio ecologico, la sostenibilità, servono per primi a noi che siamo “delicati” e viviamo in una civiltà molto delicata per la complessità dei supporti tecnologici. Sarò franco ed anche un po’ cinico: l’obbiettivo non è rispettare la Natura, l’obbiettivo è rispettare la nostra specie, che può finire, estinguersi, spiaccicata come i moscerini sul parabrezza in una notte d’estate. Un virus è naturale (lo sarebbe anche se lo avessimo costruito in laboratorio): è un parassita che cerca di vivere come meglio può. Siamo noi che dobbiamo imparare a difenderci e a salvaguardare la nostra salute e la nostra civiltà. Di virus ce ne sono sempre stati a milioni, e noi siamo ancora qui, dopotutto. C’è molto di romantico nelle battaglie ambientaliste: la ricerca della purezza, della genuinità, dell’incontaminato. Ma è tutto molto più prosaico, molto più concreto. La Natura non conosce queste categorie. Come esseri umani siamo esposti a tutto e ne siamo coscienti, a differenza di altre specie viventi. A maggior ragione dovremmo operare scelte che, al meglio delle nostre conoscenze scientifiche, non pregiudichino le possibilità di sopravvivenza della specie, senza smancerie o suggestioni bucoliche. Dobbiamo salvare le api non perché sono simpatiche bestiole che ci forniscono il miele per la colazione, ma perché senza di loro non c’è impollinazione, e quindi non c’è coltura. Dobbiamo cambiare il mix delle fonti energetiche non perché il carbone ci sporca la camicia o rende fosco il panorama, ma perché l’anidride carbonica nell’aria, o lo zolfo, non devono superare certi limiti, pena la nostra possibilità di sopravvivenza. L’obbiettivo è quindi: non facciamoci del male da soli! Ci pensa già la Natura a renderci la vita difficile... E ogni tanto riguardiamoci quei sei minuti di filmato. Ci aiuterà a ritrovare la giusta prospettiva. È di noi che si parla, non dimentichiamolo mai.
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