In un articolo su Il Foglio, Adriano Sofri pone allo Stato italiano (ed anche a quello francese) la domanda retorica: “e adesso che ve ne fate?”. La domanda può avere un qualche valore letterario, ma non ha alcun valore civile. Adriano lo sa bene, perché lui la sua pena, pur dopo infiniti, discussi e tormentati processi, l’ha scontata, secondo la legge, ed ora è un autorevole e stimato opinionista. Lo Stato, dei condannati, se ne fa quello che deve: assicura, seppur con grave ritardo, che pene per reati gravissimi, comminate in via definitiva, vengano scontate, con tutte le garanzie previste dalla legge, comprese quelle sulla funzione rieducativa, funzione intrinseca al concetto stesso di pena non vendicativa. Lo Stato ha infatti il diritto di comminare pene per i reati commessi ed il fatto che le pene vengano scontate secondo la legge è parte integrante della funzione sociale della pena stessa. Nessuno degli arrestati molto probabilmente, ed anche giustamente, farà un solo giorno di carcere vero, vista l’età e le condizioni di salute di alcuni, in particolare Pietrostefani, ma come può uno Stato, espressione di una comunità, tirare una riga su anni di pura follia, molto spesso omicida, anche se fintamente ammantata di politica? Lo faremmo per un nazista, o per un terrorista nero? E non è affatto opponibile che gli arrestati “cercavano il bene, la giustizia, l’uguaglianza, la solidarietà, e hanno trovato la tragedia”, come scrivono adesso alcuni sapienti intellettuali francesi, perché i sogni rivoluzionari passano e svaporano nell’alba della ragione, ma le vittime restano per terra e le loro famiglie piangono vittime innocenti. Perché “innocenti” erano vittime illustri come Casalegno, Tobagi, Tarantelli, Bachelet, D’Antona, o il generale Galvaligi, il commissario Calabresi, il macellaio Sabbadin, rapinato e assassinato, e tanti, troppi, altri, che a nominarli tutti non finiremmo più. Erano tutti innocenti, né più né meno come quelli che si trovavano nella stazione di Bologna il 2 agosto del 1980 o nella Banca dell’Agricoltura il 12 dicembre del 1969. L’Italia NON era una dittatura contro la quale armare la resistenza, non era il Cile, l’Argentina o la Grecia. in Italia c’era la P2, è vero, ma c’erano anche i partiti storici con le loro basi popolari, c’era un forte presidio democratico, che resse all’urto. Ricordo bene, perché è memoria di vita vissuta, i sorrisetti saccenti dei fiancheggiatori, la prosopopea, la supponenza con la quale pretendevano di insegnarci a fare la rivoluzione. Quei sorrisetti li ho rivisti sulla faccia di Cesare Battisti, che ha preso in giro tutti (Stati, amici, nemici, tutti) per decenni, per poi confessare, sperando nella clemenza della Corte.
In Francia sono stati arrestati anche dei condannati all’ergastolo, mica dei poveretti finiti in una macchinazione infernale di chissà chi. E chi non ha condanne per omicidio (Pietrostefani, ad esempio) è pur sempre passato per innumerevoli gradi di giudizio, ai quali dobbiamo dare un qualche valore, se non vogliamo minare le basi della convivenza civile. Chi parla di vendetta servita fredda, o non sa cosa dice o cerca alibi, nascondendosi dietro un finto idealismo, che era invece solo violenza pura, a volte solo verbale, ma troppo spesso sanguinaria. Devo ancora aggiungere che il fatto che tutti costoro si auto-dichiarassero “di sinistra” mi ferisce ancora di più. Ho sempre avuto ben altro concetto di sinistra, che non azioni omicide compiute in nome di un qualche confuso ideale.
Qui l’unica cosa strana, e sinceramente inaccettabile, è che la Francia abbia applicato una discutibilissima (di nuovo molto presuntuosa nei confronti dell’Italia) cosiddetta dottrina Mitterrand per decenni, senza che l’Italia avesse la forza di alzare la voce e pretendere un comportamento in linea con i principi europei.
Come hanno già detto in tanti, se tutti questi fuggiaschi non fossero scappati, ora avrebbero scontato la loro pena e sarebbero cittadini liberi in un consesso di liberi, perfino rispettati ed ascoltati, come Adriano Sofri.
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