Cominciamo dal fondo. Il PNRR appena consegnato a Bruxelles ha una conclusione prefissata al 2026. Da ora fino ad allora bisognerà eseguire e portare a termine con diligenza e precisione tutti i progetti (e sono tanti) che sono stati presentati. Tutto questo mentre il debito pubblico assurgerà a vette mai viste prima (ben oltre il 160% del PIL), mettendo l’Italia in una posizione di estrema debolezza ed esposizione verso i mercati, che nel frattempo avranno (bontà loro!) trovato conveniente scommettere sulla capacità dell’Europa intera, e non solo nostra, di fare fronte al suo primo debito comune. È facile immaginare che qualsiasi accenno di défaillance delle nostre prestazioni creerà fortissime tensioni con tutti gli altri Paesi europei e con i mercati finanziari. Una situazione potenzialmente molto, ma molto, pericolosa; addirittura esplosiva, inutile fare finta di nulla. Come è inutile negare che la presenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi, checché ne dicano Travaglio e le inconsolabili vedove di Conti, è l’unico vero scudo che l’Italia possa mettere in azione. L’Europa ce lo ha già fatto capire molto chiaramente. Infine è evidente che gli anni dal 2023 al 2026 saranno quelli più intensi dal punto di vista della realizzazione delle riforme e delle opere previste dal Piano (qualcosa come una media di 150 milioni di euro di spesa al giorno, sabati, domeniche, Natale e Pasqua compresi!). Tralasciando per un attimo le tecnicalità politiche (ci torno tra poco), a me pare evidente che un simile, spaventoso, impegno dello Stato renda non auspicabile, ma “indispensabile” la presenza e la garanzia di Draghi, almeno fino alla conclusione dei progetti, nel 2026 o giù di lì. E difficilmente questa funzione di “garanzia” potrà essere esercitata da postazioni diverse da quella di Capo dell’Esecutivo: insomma, l’eventuale presenza al Quirinale non consentirebbe l’operatività necessaria per raddrizzare eventuali derive che dovessero intervenire nel corso dell’esecuzione del Piano: i poteri costituzionali del Capo dello Stato sono quelli che sono e non voglio nemmeno immaginare l’impatto di possibili contrasti che dovessero insorgere tra un Esecutivo, guidato da chicchessia, ed il Quirinale … D’altronde le scadenze istituzionali non possono essere modificate in alcun modo: il Presidente scade a febbraio dell’anno prossimo (2022) e il Parlamento a marzo di quello successivo (2023). Questi sono vincoli oggettivi, che è inutile tentare di aggirare. Qualcuno pensa di convincere Mattarella a restare un anno in più, fino all’insediamento del nuovo (in tutti i sensi) Parlamento, ma il Presidente ha già escluso in modo categorico questa ipotesi ed è difficile pensare di forzargli la mano. Inoltre ciò comporterebbe solo una dilazione del problema principale, in quanto anche nel 2023 la funzione di Draghi non sarebbe ancora affatto esaurita … Quindi, che si fa? Proviamo a ragionare con la mente libera da condizionamenti, tipo foglio bianco, e andiamo con ordine. Proviamo a pensare di eleggere il Presidente l’anno prossimo, come da scadenza, individuando una figura istituzionalmente significativa e possibilmente donna, essendo ormai maturo il tempo per un tale avvicendamento. La maggioranza dovrebbe essere il più possibile vasta, almeno come quella che ha portato all’elezione di Mattarella (oltre 2/3 dei votanti). Le candidate non mancano, ma non è il momento di bruciare nomi. Chi può, deve lavorarci avendo come obbiettivo la fine dell’anno. Inoltre e contemporaneamente, bisognerebbe preparare il terreno alle elezioni del 2023 in modo intelligente (attenzione: non furbo, ma intelligente). E se vogliamo (speriamo) che Draghi possa garantire il Piano fino al 2026, è inevitabile che debba passare attraverso il vaglio elettorale del 2023. Non c‘è alternativa: lo richiede la logica e anche la Costituzione. Questo ci porta dritti alla legge elettorale, con la quale voteremo il nuovo Parlamento, ridotto a 600 eletti. Bisogna a tutti i costi escogitare ed approvare una legge, che permetta di far convergere su Draghi il consenso di una maggioranza ampia, anche se forse non quanto quella attuale (la Lega vorrà stare dentro o fuori? A lei la scelta). Una maggioranza ancora “di scopo”, composta dalle forze che riterranno di impegnarsi prioritariamente sulla conclusione del PNRR. Gli esperti elettorali si ingegnino a definire un meccanismo adatto, purché sia compatibile con l’obbiettivo. Nulla è impossibile. Bisognerà dare a Draghi le opportune garanzie di autonomia e di operatività, necessarie al completamento delle riforme e delle opere del Piano. Di nuovo, i Partiti trovino i modi giusti … Non faccio fatica ad immaginare le obiezioni: anzi, me le faccio da me. La politica non è il Risiko, ma è scontro di interessi ben determinati. Non si può pretendere di progettare evoluzioni istituzionali come se fossero giochi di società. È vero: inutile negarlo. Ma è o non è interesse nazionale trarre il maggior beneficio possibile dal PNRR? È o non è interesse prioritario garantirci un posto di prestigio tra i Grandi d’Europa, insieme a Germania e Francia e non essere sempre l’anello debole dell’Unione? È o non è interesse comune trasformare ed ammodernare le strutture del Paese? Tutto questo richiede consenso già da ADESSO; quindi che problema ci sarebbe ad arrivare fino al 2026? Salvo che qualcuno voglia giocare “a perdere”, oppure voglia sotto sotto sabotare i processi. È impossibile escluderlo, ma di fronte agli elettori sarebbe una responsabilità ben visibile e consistente …! E non si tratta di sospendere la democrazia, né l’alternanza di governo: qui si tratta di gestire un lasso di tempo non breve, durante il quale il Parlamento sovrano potrà legiferare con la maggioranza uscita dalle elezione (quale che essa sia) in tutti i campi, mentre il PNRR dovrà svolgersi in parallelo secondo i programmi già definiti. Insomma, si dovrebbe costruire una specie di doppio binario: il primo, prioritario, di esecuzione e completamento del PNRR, gestito dal Governo con Draghi e assecondato da una ampia maggioranza del Parlamento, il secondo, in capo al Parlamento, per tutte le altre eventuali iniziative legislative, gestito da maggioranze che potrebbero anche essere in qualche caso diverse. Capisco che il meccanismo possa risultare complesso, persino un po’ barocco, ma dove sta scritto che il futuro che ci attende dovrà essere un futuro facile da gestire?
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