La recente presa di posizione dell’amministrazione Biden sui brevetti dei vaccini (possibile sospensione della loro validità per permettere la produzione di vaccini anche ad aziende diverse) ha dato la stura ad una serie infinita di reazioni, che vanno da un’attenta analisi delle ragioni geopolitiche del gesto (che ci sono e sono abbastanza evidenti) ad un autentico sciocchezzaio di tardo, molto tardo, sessantottismo di ritorno. Affermazioni tipo “superare la logica del profitto”, da chiunque esse vengano, fosse anche il Papa, sono segno di pericolosa immaturità politica, di totale ignoranza su come funzioni il mondo e soprattutto dei motivi per cui funziona così. Mi spiego: considerare il “profitto” un frutto del demonio, un’espressione di ingordigia, un nemico della democrazia ed un pericoloso movente delle peggiori nefandezze. è tipico di una certa cultura antagonista, che per molti decenni ha riscosso grande popolarità. Ma non per questo essa aveva un senso reale. Il “profitto” è il guadagno conseguente all’attività di chi lavora ed investe, sia egli un idraulico o Jeff Bezos di Amazon. Chiunque investa tempo, competenza, soldi, talento, in un’attività ha diritto ad un’adeguata ricompensa che è appunto il “profitto”, differenza tra i ricavi derivanti dall’attività e i costi sostenuti per effettuarla. Vale per l’idraulico e vale per Bezos, ed è un principio su cui la nostra società si fonda da secoli. Tutti i tentativi di sperimentare sistemi diversi sono tragicamente naufragati, spesso in modo anche molto sanguinoso. Perfino la Cina, ultima potenza comunista, a suo modo, vi si è adeguata. Ciò non vuol dire che si tratti di un principio assoluto, ma certamente che la molla all’emancipazione di persone o di gruppi organizzati è molto potente, “naturale”, pressoché insopprimibile. Insopprimibile, ma non ingovernabile: e qui si distinguono le dottrine sociali e politiche, dal liberismo senza freni al liberalsocialismo temperato delle società occidentali moderne. Prendersela con la “logica del profitto” tout court è come invocare “nuovi modelli di sviluppo”, belle frasi ad effetto ma senza costrutto reale: indici o di infantilismo politico, o di ignoranza, o di entrambi. Se abbiamo avuto i vaccini in meno di un anno, e già centinaia di milioni di persone li hanno assunti, avviando a risoluzione una terribile pandemia, è solo perché alcune aziende private hanno investito, e tuttora investono, cifre imponenti in ricerca, sviluppo e sperimentazione. Ora, se gli Stati hanno contribuito agli investimenti, hanno pieno titolo per co-decidere l’eventuale diffusione del brevetto e le condizioni perché ciò avvenga. Se non lo hanno fatto, possono, e devono, in virtù della tutela del bene comune, intavolare trattative per favorire le licenze (che saranno in qualche misura onerose) sui brevetti ed il conseguente trasferimento tecnologico, ma non possono ricorrere ad atti d’imperio, pena la creazione di pericolosi precedenti, che rischierebbero di bloccare tutti gli sviluppi del settore. E sappiamo bene come sia indispensabile seguire con continuità l’evoluzione del virus (le varianti). Inoltre è stato spesso fatto osservare che il vaccino non ha una ricetta come la torta di mele (che pure richiede un certo know-how, oltre che un forno di buona qualità), ma è frutto di un procedimento molto delicato, fatto di lavorazioni in impianti altamente dedicati, che deve garantire al 100% la qualità dell’output. Risultati che non si raggiungono in giorni o settimane, ma in molti mesi di prove, validazioni, certificazioni, controllo dei processi, che non si risolvono solo con la licenza del brevetto. Non sto dicendo nulla di speciale, uso solo buon senso ed un po’ di esperienza nel settore industriale. Il valore delle licenze (le cosiddette royalties) può e deve essere contrattato sulla base di criteri sia morali che economici, e qui sta “il manico”, ovvero la capacità, la credibilità, il potere dell’istituzione che tratta le condizioni. Qualsiasi approccio ideologico, anche solo vagamente punitivo, è del tutto fuori luogo, se si vuole mantenere un equilibrio sul mercato e salvaguardare la credibilità degli Stati. Ovvio che tratteranno gli USA e non il Michigan da solo, come dovrebbe trattare la UE e non l’Italia o la Francia da sole, ma l’obbiettivo primario, come ha giustamente sostenuto Mario Draghi, ora è aumentare al massimo la produzione, subito, e poi programmarla per i prossimi anni, e per i prossimi vaccini. Si chiama “politica industriale” ed i vari PNRR promossi dalla UE dovrebbero servire ad indirizzare competenze ed investimenti nei settori chiave come questo (ed altri). Quindi, lasciamo da parte le insulse fantasie di rivalsa sui “cattivoni” di Big Pharma e prepariamo i piani di politica industriale che ci permettano, alla prossima pandemia, di essere più pronti di come siamo stati (tutti) questa volta. Il “profitto”, che non è “lo sterco del diavolo”, è la molla che spinge tutto il mondo. Se siamo bravi, è quello che ci salva. Se siamo stupidi, è quello che ci affonda in inutili controversie (che una volta erano guerre vere e proprie). Non se ne sente il bisogno.
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