Qualcuno era comunista. Punto. Anche più di qualcuno, e i perché, e i percome, sono stati mirabilmente descritti da Giorgio Gaber e Sandro Luporini quasi trent’anni fa come pure, più analiticamente, da Toni Capuozzo e Vanni De Lucia nel bel documentario in due puntate, trasmesso giorni fa da Focus TV (e dobbiamo pure ringraziare Mediaset …). E’ Storia ormai, per tanti è storia vissuta, gioventù, profumo di libertà, sogno di un mondo migliore, e tante altre cose, non sempre e non tutte memorabili, anzi molte proprio indigeribili. Dovremmo a questo punto riuscire a guardarle con un certo distacco, tenendo separati gli aspetti emotivi da quelli strettamente politici. Dovremmo. Ma è evidente che è difficile, che per tanti la nostalgia di quella formidabile comunità, ormai irrecuperabile nel tempo, si mescola con le analisi politiche di settant’anni e più. E rende difficile guardare avanti. C’era una volta il comunismo, e prima ancora c’era anche il Sacro Romano Impero: scusate, non è una battutaccia volgare, non è irriverenza o mancanza di rispetto per chi è stato dentro quella storia (quorum ego), è solo la necessità di rendere Storia la storia, e voltare pagina, quando la pagina è terminata. Continuare a rileggerla non la rende più o meno bella, più o meno utile. Una volta vissuta, assaporata ed imparata, si deve andare avanti. Anche perché c’è urgenza di consolidarli, certi giudizi, sia storici che politici: non possiamo continuare a rimestare sentenze e a rinfacciarci le stesse accuse per decenni … Che la storia del comunismo, in Italia ed altrove, sia stata una lunga sequela di errori, di illusioni, di tragedie, è innegabile per chiunque sia onesto intellettualmente e che non voglia solo mantenere un puntiglio. Come è altrettanto innegabile che quella storia comprende le vite di una moltitudine di persone, spesso meravigliose, che hanno in perfetta buona fede creduto di lavorare per un mondo migliore. E lo hanno fatto senza risparmiarsi, pagando anche con la vita. Chapeau! Al Partito Comunista Italiano (anzi, fino ad allora era ancora Partito Comunista d’Italia – Sezione della Terza Internazionale, e la differenza non era solo lessicale) ed al suo leader Palmiro Togliatti si deve gratitudine per la svolta di Salerno (1944), con la quale fu possibile avviare la storia dell’Italia moderna, repubblicana, libera, democratica, ed anche occidentale (anche se quest’ultimo aggettivo Togliatti non lo avrebbe aggiunto). Per il resto fu un’interminabile sequenza di tragiche prese di posizione, di energici colpi di freno al progresso, di politiche di conservazione, a volte perfino ottusa, di un’ideologia che mostrava sempre più evidenti segni di assoluta inadeguatezza al mondo moderno. La contrapposizione ultra-radicale nelle elezioni del 1948, la destalinizzazione non colta come opportunità di emancipazione dall’URSS, anzi l’appoggio all’invasione dell’Ungheria, l’opposizione verso lo sviluppo della Comunità Europea, la timidezza sulla Cecoslovacchia come su tutto il ‘68 e sui diritti civili, perfino sulla TV a colori, la competizione e lo scontro oltre ogni ragionevolezza con il Partito Socialista, il disastroso ripiegamento dopo l’assassinio di Aldo Moro, l’esiziale e sterile attaccamento alla scala mobile, insomma il mostruoso ritardo nel capire che il mondo stava cambiando per sempre. E quando nel 1991 finalmente le lacrime di Occhetto mettono fine ad un’agonia durata troppo a lungo, quando con estrema fatica finalmente si rimuove il macigno del termine “comunista”, sottotraccia, come un fiume carsico, resta un rimpianto, una struggente nostalgia che, pur umanamente rispettabile, ancora oggi continua ad affiorare, impedendo di girare davvero la pagina. Con un pezzo di classe dirigente che cinicamente non vuole facilitare l’avvento del nuovo perché preferisce lucrare sull’eredità del vecchio. Una pagina che non si riesce a girare, anche se dovrebbe essere evidente che la storia e la politica hanno parlato, definitivamente, e che, se si vuole mettere a frutto l’aspetto umanamente e socialmente positivo di quella esperienza, si devono trovare altri linguaggi, altri riferimenti, altre parole d’ordine. Non serve a nulla rimpiangere il modo di fare politica di cinquant’anni fa, rimpiangere le meravigliose comunità dei Festival degli anni Settanta, le costine, i servizi ai tavoli, la diffusione dell’Unità ed il “coccardaggio”. Era bello, eravamo giovani, ci divertivamo un casino, credevamo di essere al centro di un mondo che avremmo cambiato, ma ormai quella è Storia e adesso, adesso è tutta un’altra storia. Nulla è passato invano, il mondo è cambiato davvero, ed in parte lo abbiamo cambiato anche noi, ma la Storia non è finita, e continua con altre forme ed altri mezzi. Noi riformisti, noi progressisti, noi di sinistra, ci dimostreremo intelligenti se riusciremo ad adattare la nostra testa al mondo di oggi lasciando in disparte rimpianti e nostalgie. Oggi c’è da portare a termine un PNRR e l’impresa fa “tremar le vene e i polsi”. Dobbiamo farlo oggi, tra internet, i social, la globalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia, l’intelligenza artificiale, il cambiamento climatico ed altre amenità. Per farlo non ci serve rivalutare e rimpiangere un passato che è passato: ci serve valutare e affrontare un presente difficile ed un futuro che non è mai stato così incerto. Non ci aiuta granché essere stati comunisti, per un motivo o per l’altro, ci aiuta invece essere profondamente umani ed capaci di guardare al bene “comune”, il che non vuol dire essere “comunisti”. Lo dice anche Papa Francesco …
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