Qualcosa non torna con l’Afghanistan. Venti anni a protestare per l’invasione e l’occupazione militare da parte dell’Occidente, e adesso che si va via, tutti a protestare per il “tradimento”, tutti a chiedere di restare, di non lasciare sola la popolazione afghana nelle mani dei talebani. Qualcosa non torna. Intendiamoci, non si può (e non si deve) rimanere insensibili di fronte alle immagini dell’aeroporto di Kabul, degli aerei presi d’assalto, addirittura alle strazianti riprese dei “falling men”, impropriamente ma suggestivamente accostati ad altri “falling men”, nel giorno fatale delle due torri di Manhattan. È evidentemente un evento tragico, che colpisce l’immaginazione, ferisce il cuore e ci pone una lunga teoria di interrogativi cui è dura fornire una risposta compiuta e sensata. Ma era davvero inatteso? Aldilà delle modalità caotiche con cui il ritiro è avvenuto e sta avvenendo, dov’è la sorpresa? dov’è l’inatteso? Gli accordi di Doha sono stati stipulati da Trump nel 2020. Biden in campagna elettorale ha sempre ripetuto che sarebbe venuto via dall’Afghanistan, e ora lo ha fatto. La NATO era d’accordo ed ampiamente avvertita. E allora? Qualcuno si illudeva che l’Afghanistan fosse diventato la Norvegia? Che improvvisamente si manifestasse un apparato statale coeso e determinato ad esercitare le prerogative democratiche? Che l’esercito o la popolazione resistessero nelle strade ad una scontata avanzata dei nuovi padroni? Ma quando mai? Tutto quello che sta succedendo era ben prevedibile e senz’altro anche ben previsto, e quindi ora che senso ha strapparsi le vesti per il cambio di regime? Ovvio che l’Occidente debba cercare e trovare al più presto un nuovo assetto, ma a me pare altrettanto evidente che si sta creando, in Italia ed altrove, l’ennesima bolla mediatica su un pensiero unico, politicamente corretto ma dannatamente ipocrita, ed anche profondamente qualunquista e populista. In questo agosto rovente è molto facile suscitare commozione, pietà, stupore, perfino rabbia sorda ed irrazionale, su un evento che doveva avvenire, era previsto che avvenisse, ed infatti è avvenuto. Se, come diceva Gino Strada, ogni guerra è sbagliata, non può essere sbagliato anche venir via da una guerra inutile ed infinita. Ed infatti Emergency, pur senza il suo radicalissimo ma formidabile creatore, si distingue per una posizione molto razionale e fredda sui fatti: “Noi siamo qui, ci resteremo, continuiamo ad accogliere e curare feriti, senza chiederci da che parte provengano”. E se l’occupazione invece non era sbagliata, perché abbiamo lasciato che fosse portata a conclusione? Pare inoltre davvero ozioso il dibattito se la democrazia si possa esportare o meno: in realtà capita molto raramente, e sempre e comunque necessita di un forte ed insostituibile appoggio popolare. È successo in Europa, dopo la caduta del Muro nel 1989: la democrazia si è in effetti allargata, ma vediamo come paesi importanti ed antichi come l’Ungheria, o la Polonia, ancora stentino ad accogliere in pieno valori che per noi sarebbero basilari. In realtà dovremmo buttarli fuori dalla Comunità Europea, se solo potessimo permettercelo e se non sperassimo che prima o poi riescano a liberarsi “democraticamente” dei loro nuovi ed opprimenti governanti-padroni. Ma l’Iraq non ci ha insegnato nulla? Un Paese finto, disegnato sulla sabbia dagli inglesi, non ha espresso una Nazione, malgrado gli sforzi interessati e pelosi dell’Occidente. E la Libia nelle mani delle tribù? E l’Afghanistan? È forse diverso? È in grado di esprimere una volontà popolare? O gli equilibri interni restano impenetrabili alle nostre complicate modalità istituzionali? Certo, in tutti questi anni di presenza occidentale una fetta della popolazione sarà stata pure conquistata ai nostri valori, ma la sensazione è che si tratti di una sparuta minoranza, un’élite, forse centomila persone in un Paese con 38 milioni di abitanti, sparpagliati su un territorio impervio ed impenetrabile a chiunque ci abbia provato, dagli inglesi ai russi, agli americani, con tutto il seguito della NATO. Servirà molta lucidità e freddezza, altro che accaldati e pelosi afflati umanitari, per gestire questo nuovo assetto! Come hanno subito detto i più avvertiti (Draghi, Renzi), è roba da G7, e poi da G20, non certo roba da talk show o rotocalchi, molto sensibili alla lacrima ed al commento, ipercritico e sdegnato “a prescindere”. Del tutto inutile continuare ad insistere su improbabili ed avventurosi paralleli con il Vietnam, con le Torri Gemelle, con la Libia, … Questa dell’Afghanistan è l’ennesima triste storia di un territorio diventato suo malgrado centro di scontri di ben altra portata ed estensione. Sono i Grandi della terra che debbono trovare le soluzioni, ma dovrebbe essere anche il popolo ad esprimere una volontà, salvo che essa sia già tristemente espressa dalla incontrastata avanzata dei talebani. Sicuramente adesso il mondo è cambiato, sicuramente bisognerà proteggere ed appoggiare quella fetta di afghani (e soprattutto afghane!) più sensibili ai valori democratici, ma gli equilibri geopolitici sono roba talmente complessa che non può essere trattata sotto la spinta emozionale provocata dagli avvenimenti di questi giorni. Sarà un processo di adattamento lungo e difficile, e solo degli statisti veri, ammesso che ce ne siano in giro, potranno affrontarlo. Americani, europei, cinesi, russi, indiani, arabi, ognuno cercherà il migliore posizionamento, com’è ovvio, e chi ha più tela tesserà. L’Occidente deve difendere se stesso e i suoi valori, con maturità, equilibrio e senza nascondersi sempre e solo dietro gli Stati Uniti: è già da un po’ che hanno esplicitato il concetto che non sono più disposti a fare il guardiano del mondo. O almeno che lo faranno a loro insindacabile giudizio e discrezione. È ora quindi che l’Europa si attrezzi in proprio, costituendo, tanto per cominciare, una Forza Armata Europea, che faccia uscire la NATO dallo stato di “morte cerebrale” denunciato tempo fa da Macron, ed una politica estera comune, visibile ed incisiva. Non servono (e comunque non bastano!) appelli umanitari un tanto al chilo. I talebani non sono stati sconfitti in vent’anni e più, sono sempre stati lì, anche finanziati dall’Occidente al tempo dei russi, e adesso sono ancora lì. Chi poteva pensare che fossero spariti, o che avessero aperto dei siti di e-commerce per vendere eleganti e artigianali pashmine? Bisognerà trattare ed eventualmente metterli sotto pressione. In modo possibilmente coordinato. Per questo servono statisti di prima classe: astenersi dilettanti allo sbaraglio. Che restino pure a prendere il sole sulle spiagge pugliesi.
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