Attenzione: la lettura di questo articolo potrà indurre gesti apotropaici di vario genere, come sfregamenti, corna, scongiuri o simili. Chi è particolarmente sensibile passi ad altra lettura e tanti auguri.Se un giorno gli astronomi facessero sapere al mondo che un grosso meteorite, mai osservato prima, è in rotta di collisione con la Terra e predicesse ora giorno mese anno luogo e conseguenze (presumibilmente catastrofiche) dell’impatto, sono sicuro che tutti ci preoccuperemmo moltissimo, anche se quella data fosse fissata tra, diciamo, una ventina d’anni e non l’anno successivo. Sono sicuro che nessuno rimarrebbe insensibile, che anzi si potrebbe scatenare il panico e che comunque, come nei migliori film catastrofici di Hollywood, si aprirebbe un’immediata collaborazione tra le maggiori potenze per mettere a punto un mezzo capace di neutralizzare la minaccia. Verrebbero messe in cantiere missioni spaziali, preparati missili atomici, deviatori gravitazionali e chissà quant’altro partorirebbe la mente umana, sotto la minaccia della sicura estinzione, come i dinosauri. Dato che sono un ottimista e credo nelle capacità creative della scienza e della tecnica, sono quasi sicuro che, disponendo di una ventina d’anni di preavviso, l’umanità sarebbe capace di mettere a punto contromisure tali da distruggere o deviare il meteorite maligno. Sarebbero certamente da prevedere momenti di forte instabilità economica e sociale, importanti conseguenze geopolitiche, ma alla fine l’umanità la spunterebbe, come nel film con Bruce Willis, quello che finisce con l’eroe che, prima di immolarsi per il bene comune, annuncia alla radio: “Abbiamo vinto noi!”. Finora per fortuna si tratta solo di film di discutibile successo, ma lo scenario che ho descritto a me pare lo stesso del tutto credibile. Nessuno, tranne qualche immancabile “No-Met”, potrebbe non emozionarsi e non condividere la lotta per la sopravvivenza del genere umano (il pianeta, nel contempo, se ne fregherebbe altamente del meteorite, avendo già visto ben di peggio nei suoi tanti miliardi di anni di vita avventurosa, in giro per il cosmo). Ma adesso veniamo a noi. Un meteorite ci sta già arrivando sulla testa: ne conosciamo dimensioni, tempistiche e conseguenze approssimative (mica tanto) dell’impatto. Solo che non pare essercene davvero coscienza, completamente. Sto ovviamente parlando del cambiamento climatico derivante dal riscaldamento globale, a sua volta causato dai gas serra emessi copiosamente delle attività umane. Già da un paio di decenni siamo stati avvertiti che non si tratta di bufale millenaristiche, ma di misurabilissimi effetti a catena, dovuti alle abitudini di vita sviluppatesi nel mondo civilizzato nel corso degli ultimi cento e passa anni. È andata così e non serve a molto spaccarsi la testa a cercare e maledire i colpevoli. Certamente lo siamo tutti noi “civilizzati”, che abbiamo sventatamente cavalcato le crescenti conoscenze scientifiche, tecniche e tecnologiche per migliorare le condizioni della nostra vita, senza preoccuparci della conseguenze. Sic est! Ora, anche in questi giorni, si parla, si discute, si elaborano scenari, si almanaccano rimedi, ma non si vede finora alcun coinvolgimento reale, alcuna diffusa partecipazione emotiva al dramma incombente, soprattutto mancano i segni visibili di reali reazioni alla minaccia. Da un lato meglio così (il panico non è certamente auspicabile e non è mai un buon consigliere), ma dall’altro pare serpeggiare un certo fatalismo, unito a rassegnazione o persino incredulità sulla reale entità della minaccia, malgrado la dovizia di sintomi manifestati e l’entità dei fenomeni connessi. Non mancano gli scettici tout court, i negazionisti, ma è davvero sempre più difficile contestare l’esistenza e la gravità del fenomeno. Ne stiamo vedendo e misurando gli effetti sulla nostra pelle tutti i giorni, dalla Renania alla Sicilia, dalla Florida alla California. E allora? Dovrebbero essere già in cantiere le missioni congiunte, pronti i piani e i programmi da attuare, le direttive su come comportarsi, le cose da fare e quelle da non fare, … Si tengono invece allarmati convegni, summit accompagnati da qualche volenterosa manifestazione popolare, molte trasmissioni televisive, attività social, ma in pratica, come dovranno cambiare le modalità operative della nostra vita? Pensiamo di continuare come niente fosse? Crediamo che sarà davvero possibile? Attenzione, non sto farneticando di impossibili ritorni al medioevo, oppure di improbabili società bucoliche new age, decrescite felici o altre amenità del genere ... Non è affatto escluso, anzi ne sono convinto, che le nostre (di tutti, nessuno escluso) condizioni di vita potranno anche migliorare, e non di poco, con un uso più razionale delle risorse del pianeta. Ma qualcosa dovrà cambiare … Giustamente Draghi e Cingolani, il ministro preposto, dicono che il “bla bla bla”, un po’ demagogicamente denunciato da Greta Thunberg, è indispensabile per convincere le persone, ma ho la netta sensazione che, se avessimo un meteorite che ci casca sulla testa, le persone, tutte, si convincerebbero prima. L’evento singolare, la catastrofe fulminante, coinvolge ed impressiona molto più che le piogge sempre più devastanti, gli incendi dilaganti o un aumento millimetrico (ma implacabile) del livello del mare. Fino a quando non ci bagneremo i piedi in piazza Unità a Trieste o a Battery Park a NYC … Egoisticamente, vista l’età, potrei anche infischiarmene, ma sapere quello che avviene e non vedere ancora contromisure in atto mi provoca un senso di impotenza cui non voglio rassegnarmi. Anche perché non c’è nulla di inaffrontabile, nulla che vada aldilà delle nostre conoscenze e competenze già disponibili: non mancano i mezzi, gli strumenti e nemmeno i soldi; manca la volontà collettiva di avviare le azioni necessarie. Manca l’urgenza … E manca pure la coscienza, la convinzione, che un nuovo corso sarebbe davvero migliorativo per tutti, anche per chi teme di dover pagare in termini economici, di potere, di sviluppo e di qualità della vita. È illusorio pensare che a qualcuno potrebbe andare meglio e farla franca. Si tratta di un problema globale che più globale non si può. Ho già detto altre volte che il genere umano non deve ritenersi ospite del pianeta; ne è invece un pezzo integrante e ha per questo tutti i diritti, avendo competenze e mezzi, di intervenire su di esso in modo da arrestare, o minimizzare, i fenomeni negativi e ottenere benefici. Ma devono essere benefici stabili, misurabili, concreti, altrimenti l’umanità è destinata al suicidio collettivo, visto che il resto della natura se ne infischia abbondantemente dei nostri piedi bagnati a Trieste o a NYC. Dobbiamo capire che il meteorite è lì, sulle nostre teste, e incombe; ragion per cui o lo neutralizziamo o vince lui. Stavolta vince lui!
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