È un vecchio film (1977) di Ridley Scott, il suo esordio alla regia, tratto da un romanzo di Joseph Conrad.Nella Francia napoleonica due ufficiali (e gentiluomini …) si rincorrono per anni, scontrandosi e duellando ogni volta che possono. Le origini del dissidio sono lontane e sempre più sfumate, quasi si perdono nei decenni, ma i due rigidi militari continuano a cercarsi, e trovarsi, sforzandosi di regolare definitivamente la loro questione d’onore. Keith Carradine e Harvey Keitel danno corpo ai due baldi e irriducibili avversari, tra divise, cavalli, spade, pistole e sangue: non importa chi alla fine prevarrà, importa la strenua resistenza all’idea di pacificarsi, che impedisce loro di trovare un ragionevole piano d’intesa. L’importante, comunque, è che nessuno ci lascia la pelle. Il finale è incruento. Renzi e Calenda: duellanti da tempo, per motivi assolutamente irrilevanti, ma molto persistenti. Militerebbero entrambi nello stesso esercito, quello dei riformisti liberali e democratici, ma la loro rivalità travalica le posizioni politiche, per sfociare in una sorda incomunicabilità, che impedisce qualsiasi composizione razionale dello scontro. Entrambi provengono dall’ambiente borghese progressista, cattolico e popolare il primo, laico e intellettuale il secondo. Bisogna riconoscere che la maggiore animosità non alberga nel Senatore toscano, che anzi cerca invano di evitare lo scontro frontale ma, trattandosi di personalità molto volitive, non immuni al narcisismo, risulta difficile disaccoppiarli per cercare di impegnarli entrambi in un progetto comune: ognuno com’è, senza pretendere scuse o abiure. Le loro strade si sono già incrociate, ognuno parla benissimo del lavoro dell’altro, tuttavia sembrano respingersi come due cariche elettriche dello stesso segno. La loro irriducibile rivalità sta creando qualche problema ad un fronte politico già molto precario. È evidente che entrambi mirano alla costituzione ed all’affermazione di un soggetto politico riformista, moderno, progressista, garantista, avverso, anzi totalmente alternativo, a sovranismi, populismi e giustizialismi comunque configurati. Lo dicono e lo ripetono ogni minuto, e non c’è motivo per dubitare della loro sincerità. Nemici giurati del mondo pentastellato, dichiarano apertamente di tendere alla sua totale estromissione dalla politica italiana. E ormai non manca molto … Renzi viene dalla Margherita, ha scalato il PD, l’ha portato ai fasti del 40%, l’ha lasciato quando lo scontro con la componente tradizionalmente massimalista non gli ha lasciato più alcuno spazio di azione politica. Calenda esordisce con Scelta Civica di Mario Monti, entra nel PD e ne esce quasi subito per fondare Azione. Evidente che sono entrambi poco compatibili con la parte del PD oggi dominante (la cosiddetta Ditta), che li ripaga con uguale avversione. A parte i dati caratteriali, le principali frizioni tra i due si sono manifestate in occasione di passaggi politici molto delicati. Nel 2019, quando Renzi ha bloccato il Salvini del Papeete e propiziato il Conte due, Calenda avrebbe senza esitazione mandato tutto all’aria, promuovendo una catartica tornata elettorale, che avrebbe avuto il non trascurabile effetto di portare Salvini a Palazzo Chigi. Zingaretti sarebbe stato pure d’accordo … L’anno scorso, quando Renzi ha provocato la crisi del governo Conte due, Calenda giudicò “irresponsabile” la sua azione, che però oggettivamente propiziò l’avvento di Draghi. Diciamo che l’interventismo pragmatico di Renzi non si armonizza con il rigido radicalismo di Calenda e finora non v’è dubbio che il primo abbia mostrato più efficacia politica del secondo. Nel contempo, Calenda ha ottenuto uno splendido risultato personale a Roma, pur mancando l’elezione a Sindaco, dimostrando una notevole capacità di presenza sul territorio. Giudica però inammissibili le attività extra-parlamentari di Renzi, tanto da provarne “orrrrooore”. I due si guardano con sospetto e diffidenza. Calenda cerca lo scontro, l’altro sembra riluttante a concederlo. Come D’Hubert e Feraud, i duellanti del film, non riescono ad rendersi compatibili, anche se sulle prospettive politiche si fa molta fatica a trovare differenze tra di loro. Ammirano Draghi, lo vorrebbero leader e premier per i prossimi anni, e non sembrano affatto entusiasti di vederlo confinato al Quirinale, come vorrebbero tutti quelli che ne patiscono le capacità realizzative. Entrambi convinti europeisti, confidano nelle opportunità offerte dal PNRR e nella necessità di impostare su di esso l’azione politica riformista. Marciano divisissimi, ma qualche volta riescono anche a colpire uniti, come nel contrasto alla candidatura nel collegio di Roma Centro, inopinatamente offerta da Letta a Conte e da questi rifiutata per non scontrarsi e soccombere proprio con Calenda. Ma non basta: urge trovare un “appeasement”, urge un coordinamento, urge rinunciare a qualsiasi velleità di “showdown”. Due risorse valide sono molto meglio di una sola. Nel film, al termine dell’ultimo duello, D’Hubert salva la vita a Feroud, ma lo dichiara formalmente “morto”, per spegnergli qualsiasi ulteriore velleità di rivalsa. Feraud resta solo, privato della ragione di una vita, solo a meditare, come Napoleone a Sant’Elena. Non è questa la fine di cui abbiamo bisogno. |