L’elezione del Presidente della Repubblica avviene di regola ogni sette anni ed è uno dei momenti salienti della vita della nostra polis.Non c’è da stupirsi che l’evento susciti interesse, che se ne discuta, che si facciano congetture e previsioni. Sarebbe ben strano che in un giorno di fine gennaio un migliaio di parlamentari si desse improvvisamente convegno a Montecitorio e zitto zitto eleggesse un tizio che per sette anni “è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”, facendo da garante della Costituzione! Tutte le nomine pubbliche sono casi politici, anche quelle delle partecipate minori, figuriamoci questa! Aggiungiamo che per l’elezione non c’è un “metodo” codificato: ci sono alcune regole, molto semplici, c’è una prassi, ma non è prevista, che so, una campagna elettorale, un’escussione di curricula di candidati, un dibattito preparatorio, nulla di tutto ciò. È solo stabilito (art. 83 e seguenti della Costituzione) che il Parlamento, integrato dai Rappresentanti delle Regioni, si riunisca in seduta congiunta trenta giorni prima della scadenza, che si voti a scrutinio segreto, che qualsiasi cittadino italiano, in possesso dei diritti civili e politici e con più di 50 anni di età, possa essere candidato, che per le prime tre votazioni è richiesta una maggioranza di due terzi dell’assemblea e dalla quarta basti la maggioranza assoluta. Più o meno, tutto qui. Tutto è lasciato al libero confronto tra le forze politiche; dirò di più, tra i singoli elettori: il popolo assiste, ma non ha alcuna voce in capitolo. La scelta è esclusiva responsabilità dei rappresentanti del popolo, senza alcun vincolo di mandato. Ovvio che i Partiti si confrontino, discutano, cerchino accordi, facciano tattiche, propongano: è del tutto logico e naturale, come per il Conclave che elegge il Pontefice, con la differenza che la Costituzione non prevede alcun ruolo per lo Spirito Santo, cui supplisce, laicamente, la volontà e l’azione politica. La Costituzione esprime chiaramente l’auspicio che la nomina abbia un’ampia base elettorale ma, realisticamente, prevede che, ove ciò non si rivelasse possibile, si arrivi comunque ad una nomina, anche a maggioranza semplice, accettando quindi una spaccatura formale e sostanziale del collegio elettorale. Dalla quarta votazione, l’efficacia del processo fa premio sull’ampiezza del consenso. Ciò non toglie che in molti casi sia risultato arduo anche raggiungere la sola maggioranza semplice. Non c’è quindi da stupirsi che sia alta la fibrillazione tra le forze politiche ed i singoli elettori, che spuntino nomi, quasi sempre in modo strumentale: “chi entra Papa esce Cardinale”, vale anche nel conclave laico. Alla fine qualcuno sarà eletto. E negli ultimi decenni, bisogna riconoscerlo, quello spirito, non santo, che guida gli elettori ha lavorato bene, facendo emergere figure di tutto rispetto, apprezzate, nel corso del mandato, sia da chi le aveva votate che da chi non le aveva votate. Segno che la saggezza non è del tutto estranea alla politica, checché se ne dica. E perfino la forzatura del 2013 su Napolitano, che non mancò di sottolineare con rudezza la debolezza e l’incapacità della classe politica, alla fine si rivelò un ripiego non deleterio, viste le condizioni in cui avvenne e la scarsa perizia dimostrata dai protagonisti, segnatamente da un pasticcione come Pierluigi Bersani. Quello di adesso sembra uno di quei momenti che ricordano Il nome della Rosa quando, all’interno della biblioteca labirinto, il giovane Adso chiede a Guglielmo: “Come ne verremo fuori, Maestro?” e lui: “Non senza difficoltà …!”. Perché pare difficile davvero tenere insieme tutte le condizioni al contorno e arrivare all’obbiettivo senza provocare danni. Per ora si alza un sacco di fumo, di lanciano falsi bersagli, si fa pre-tattica, si suggeriscono nomi, quasi sempre per bruciarli, ed è arduo individuare un percorso nella nebbia. Cionondimeno, chi ha cultura ed esperienza politica sa bene che le scelte vere si fanno alla fine; non c’è nulla di consolidato, tutto può accadere, anche se su alcune considerazioni si dovrebbe convenire: - ripetere la forzatura dei tempi supplementari di Napolitano sarebbe una forzatura al quadrato, e Mattarella non sa più come fare a segnalarlo. Piuttosto si preferisce fingere di non sentire;
- eleggere un Presidente sul filo della maggioranza assoluta, che sarebbe ben più ristretta di quella di Governo, segnerebbe la fine del Governo stesso;
- distogliere Draghi dal suo compito, ora che si entra nel vivo del PNRR e ci attende la fondamentale trattativa sui nuovi parametri del Patto di Stabilità Europeo, sarebbe da sconsiderati;
- anticipare le elezioni di un anno, probabilissima conseguenza della nomina di Draghi, ma anche di una qualsiasi nomina a maggioranza ristretta, nella temperie sopra descritta, sarebbe ancora più da sconsiderati.
L’apparente ovvietà di quanto sopra non deve indurre a pensare che ci sia condivisione sui rischi e sui pericoli. “Questo” Parlamento, composto in larga misura di sbandati precari e senza futuro, non induce a nutrire troppa fiducia in quello spirito laico che informa le decisioni degli elettori. Nel segreto dell’urna tutto può succedere, e gli sconsiderati non mancano di certo. In conclusione, le chiacchiere che sentiamo tutti i giorni, e che sempre più si gonfieranno nelle prossime settimane, sono solo chiacchiere, di cui è illusorio trovare un filo logico comprensibile. Aumenteranno, diventeranno ancora più assordanti, ma l’effetto sarà solo quello di saturare telegiornali e talk show, rendendoli ancora più insopportabili. Io sono convinto che, come sempre, le cose matureranno ad urne appena aperte. Così non fosse, ci si avviterebbe in una spirale dagli esiti molto incerti e quasi certamente nefasti. Servirà un nome sul quale far convergere una maggioranza simile a quella di Governo. A quel punto gli eventuali franchi tiratori sarebbero disinnescati e si arriverebbe rapidamente ad un esito positivo. Azzardo uno scenario (è solo un gioco, come la “palla di lardo” di Gianni Mura): prime tre votazioni con nomi di bandiera, tanto i due terzi per quei nomi sarebbero impossibili; quarta votazione per certificare che nessuno ha una maggioranza assoluta da imporre; quinta votazione con il nome decisivo che dovrà raccogliere 6-700 voti su 1.000, come Mattarella sette anni fa. Un nome in testa, un candidato in pectore, ce l’abbiamo tutti: anch’io ce l’ho, ovviamente. Ma non lo confesserò mai.
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