Si rimane quasi senza parole di fronte all’incredibile proclamazione di uno sciopero generale di otto ore (ovvero il massimo possibile, prima dello sciopero ad oltranza e della rivoluzione …!) da parte di due sindacati su tre (la CISL infatti ha lasciato la faticosa incombenza alla CGIL ed alla subalterna UIL, ripiegando su una innocua manifestazione al sabato pomeriggio).Incredibile ma vera, seppure l’operazione sia palesemente sovra-dimensionata, sproporzionata e definitivamente fuori scala rispetto al momento. Gli scioperi generali non sono cosette: non sono flash mob convocati sui social tra amici e sodali per qualche pur nobile motivo contingente, e poi si va tutti a prendere un aperitivo ... Una volta con gli scioperi generali si facevano cadere governi (Rumor nel 1970), si mobilitavano masse immense di lavoratori per obbiettivi alti, era un’estrema forma di lotta che non poteva restare senza conseguenze, pena la perdita totale di credibilità da parte di chi l’avesse proclamata con leggerezza. Oggi cos’è? Cosa si prefigge? Cosa rappresenta? Difficile dare risposte sensate. Uno che di cose sindacali ne capisce, e parecchio, come Marco Bentivogli (ex-segretario della FIM-CISL) dice che sono “manifestazioni tipiche dei paesi ricchi, dove ormai ci sono più telecamere che partecipanti”. Forse esagera, ma è difficile resistere alla tentazione di pensare che si tratti esclusivamente di un’operazione mediatica, tesa solo a far parlare giornalisti compiacenti, ad innescare talk show, interviste pro e contro, insomma un polverone dietro il quale non c’è assolutamente nulla, se non la malcelata voglia di intralciare un Governo di unità nazionale e la smania di protagonismo di un imbarazzante personaggio come Maurizio Landini. Degno erede di una stirpe di inconcludenti sindacalisti (uno per tutti, quel Fausto Bertinotti che passerà tristemente alla storia per l’imitazione di Corrado Guzzanti – rinfrescatevi la memoria su YouTube! –, per avere fatto cadere due Governi di centrosinistra – Prodi uno e Prodi due – e per avere propiziato una delle più rovinose sconfitte sindacali, quella del 1980 alla FIAT), il prode Landini si è già reso protagonista di più che fallimentari imprese, conclusesi sempre con gravi danni per i lavoratori. Come dimenticare l’assurda e solitaria lotta contro la FIAT, che a Pomigliano aveva messo in campo un investimento colossale e chiedeva in cambio l’applicazione dei moderni metodi di produzione già universalmente diffusi nel settore auto? Il nostro eroe riuscì nell’impresa di perdere il referendum tra i lavoratori, di far espellere il suo sindacato dalla fabbrica (espellere fisicamente … l’ufficio della FIOM finì nel parcheggio) e lasciare il merito dell’accordo con l’Azienda ai sindacati più avveduti, tra cui proprio quella FIM-CISL di Marco Bentivogli. E, non contento, promuovere una bizzarra iniziativa politica (Coalizione Sociale, 2015, ricordate …? forse no, ma non importa …), che non era un sindacato, non era un Partito, neanche un movimento, e infatti non fu nulla e nulla lasciò, malgrado le benevolenti adesioni di altri campioni delle rivoluzioni da salotto come Zagrebelsky e Rodotà o di dinosauri come Piperno e Scalzone, oltre che dei soliti giornalisti adoranti e compiacenti. Insomma, una vita di successi! Ora, nel ruolo faticosamente raggiunto di erede di Giuseppe Di Vittorio e Luciano Lama (a cui, fortunatamente per loro, è stata risparmiata la vista di così improbabili imprese), il Nostro si lancia spericolato e solitario all’attacco di Mario Draghi, accusato di essere più o meno un affamatore della plebe nonché un cinico e pericoloso tecnocrate. Non lo sfiora il sospetto che essere solo contro tutti a volte è molto onorevole, ma altre volte è proprio da coglioni: scegliete voi …! Già alla fine del 2014, all’epoca dell’odiato Renzi, la CGIL e la UIL (anche allora la CISL prudentemente si defilò) scagliarono l’arma dello sciopero generale contro il Jobs Act, preparando il terreno alla strenua ed eroica resistenza che un paio di anni dopo avrebbe affossato la Riforma costituzionale. Il Jobs Act è ancora lì, per fortuna anche dei rider, che altrimenti sarebbero stati completamente privi di qualsiasi garanzia, la Riforma invece no. L’Italia svoltò, … ma dalla parte sbagliata, e la pandemia ci ha mostrato in modo spietato quanto grande fu l’errore di lasciare in piedi il conflittuale rapporto Stato-Regioni sulla Sanità, ad esempio. Insomma, questo sciopero è un’alzata di ingegno di cui nessuno, tranne chi l’ha dichiarato, forse, ha capito il senso. Mette in difficoltà l’ampia maggioranza di Governo, che ha già discusso e approvato la Finanziaria oggetto della contestazione. Costringe Draghi a difendersi da posizioni conflittuali, minandone la credibilità a livello europeo. Spacca il fronte sindacale, già in enorme crisi di rappresentatività. Attizza la guerriglia parlamentare, che anche quest’anno non mancherà, e che ha già prodotto migliaia di emendamenti alla Legge di Bilancio. Costringe il PD, teoricamente Partito di riferimento, ad equilibrismi dialettici per mantenersi più o meno equidistante. Letta infatti tace perché non sa che dire e non ha il coraggio di dire ciò che dovrebbe. Prende in giro i lavoratori chiamati allo sciopero come un simbolo di tempi andati e mai più tornati e senza alcuna rivendicazione specifica, comprensibile e soprattutto raggiungibile. Insomma uno sciopero politico, di pura opposizione ad un Governo di unità nazionale. Landini si troverà oggettivamente a fianco partiti e sindacati di destra, come quando contestava il Green Pass e venne ripagato con l’assalto dei fascisti alla sua sede. Forse potrà compiacere alcuni (non tutti) sbandati reduci grillini, desiderosi di qualche colorita rivendicazione barricadera cui aggrapparsi mentre affogano, oppure l’agguerritissima retroguardia del PD, che sogna un futuro di finta lotta e vera, totale, deresponsabilizzazione. Una carezza al populismo sempre meno latente in una certa sinistra da operetta. Il giorno 16 si organizzeranno un po’ di pullman, si tireranno fuori un po’ di bandiere e qualche tamburo su cui battere, si troverà qualche giornale amico che parlerà di un milione di lavoratori in piazza (diecimila per la Questura …), poi tutti torneranno a casa a comprare i regali ed a preparare il cenone di Natale. Landini sparerà a raffica un centinaio di interviste a reti e talkshow unificati, mostrando grande soddisfazione per la prova di forza che ha confermato la centralità del sindacato nella dinamica sociale. La Legge di Bilancio, nel frattempo, opererà quella modesta ma significativa redistribuzione di redditi per le fasce meno abbienti, così come concordato. Il giorno dopo tutti gli altri problemi saranno ancora lì da risolvere e toccherà al cinico tecnocrate affamatore di plebi trovare, come al solito, la strada per andare avanti. In attesa che qualcuno lo costringa a sloggiare da Palazzo Chigi e riparare sul colle più altro. È questo a cui si mira? È questo ciò di cui l’Italia ha bisogno?
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