Ad essere troppo schematici si rischia di passare per semplicioni, ma vorrei lo stesso tentare un ragionamento “cartesiano”, molto diretto, rifacendomi anche a quel famoso “rasoio di Occam”, che si propone proprio come strumento per affrontare situazioni complicate. Copio e incollo da Wikipedia: si tratta di “un principio metodologico che, tra più ipotesi per la risoluzione di un problema, indica di scegliere, a parità di risultati, quella più semplice”. Mi chiedo quindi se sia più facile trovare: - un sostituto di Mattarella, con caratteristiche accettabili per una buona parte del Parlamento,
oppure - un sostituto di Draghi a capo di un Governo di larghe intese, che dovrà comunque affrontare un anno molto difficile sia all’interno (pandemia, riforme, progetti per la ripresa, …) sia all’esterno (nuovo Patto di Stabilità europeo)?
Nel primo caso tutto resterebbe com’è oggi (tranne Mattarella): il Governo, la maggioranza, anche le difficoltà finora riscontrate, amplificate dalle fibrillazione quirinalizie, ma da affrontare comunque, e con un anno di rodaggio alle spalle. Serve una personalità rappresentativa e condivisibile da tanti: non parrebbe una “mission impossible”. Nel secondo si innescherebbe una catena di conseguenze che oggi nessuno è in grado né di prevedere né tanto meno di pilotare, con importanti strascichi nei nostri rapporti con l’Europa e con i mercati, che ci stanno guardando trepidanti, pronti a qualsiasi tipo di reazione. Inoltre non si potrebbe affatto escludere la chiusura anticipata della Legislatura e le conseguenti elezioni anticipate, con relativa campagna elettorale, stallo delle attività, conflitti, contrasti, … Non ditemi che la faccio facile, perché quanto sopra è sicuramente ben presente ai protagonisti della complessa trattativa in corso. E, se fosse tutto lì, la soluzione sarebbe molto semplice: un buon Presidente al posto di Mattarella, che sia condiviso da tanti (l’ha detto pure Salvini), e tutto il resto così com’è, dedicando ogni sforzo a sfruttare l’ultimo anno di legislatura per sistemare le cosette tremendamente importanti cui accennavo prima. Ma non è tutto lì, purtroppo. Ci sono altre considerazioni, dette e non dette, confessabili e non, che complicano il tutto e che ci hanno portato alle incertezze attuali. Una su tutte a me pare prevalente: se c’è chi spinge tanto su Draghi al Quirinale, ben conscio del casino che questo provocherebbe a catena, è perché Draghi, dov’è ora, sta diventando troppo ingombrante e difficile da gestire. La fase operativa del PNRR, le riforme richieste dall’Europa, i programmi molto incalzanti, fanno paura a molti; ci sono interessi enormi in gioco e una persona poco “malleabile” come Draghi costituisce un pericolo per chi vuole procedere con i piedi di piombo. Inoltre, lasciare Draghi dov’è comporta un rischio ulteriore, anche se da tutti inconfessato: quello di vederselo riproporre da una maggioranza riformista dopo le elezioni, e per altri cinque anni, fino al 2028. Intendiamoci: Draghi non farà mai un partito alla Monti, non si proporrà mai come capo di nessuna coalizione, ma potrebbe nondimeno essere indicato da una maggioranza riformista, che uscisse vittoriosa dalle urne di marzo-aprile 2023 per portare a termine l’azione riformatrice intrapresa. Fantapolitica? Può darsi, ma la logica mi pare che tenga. Detto tutto questo, aspettiamo e vediamo. Il “rasoio” parlerebbe chiaro: se nessuno lo impugna, è perché c’è interesse a lasciare che il fumo offuschi i contorni del problema. Ancora per qualche giorno almeno …
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