È nei momenti di maggiore stress che le posizioni politiche emergono in tutta la loro articolazione. In questi momenti vengono a galla le spinte più genuine che sono alla base delle scelte (o non scelte) delle forze politiche. Non c’è dubbio che questo frangente storico assommi molti punti di tensione, che pongono sotto forte stress tutto il sistema. La pandemia, l’avvio dei cruciali progetti PNRR, l’elezione del Presidente, l’approssimarsi delle elezioni politiche (un anno, al massimo, e passa in fretta …), lo sfarinamento di un progetto politico nefasto (ed eversivo) come quello del M5S, che non è chiaro dove sfocerà, le pulsioni sovraniste, populiste, a-democratiche, presenti in forma evidente in buona parte dello schieramento politico, sono tutte cause scatenanti di conflitti, incomprensioni, tensioni, tutte mine disseminate sul percorso che il Paese ha davanti. Va be’, lo sappiamo; ma allora, che cosa ci attende? Ovviamente non lo so; posso formulare auspici, ma sarebbe uno sforzo inutile, anche un po’ presuntuoso. Voglio invece fermarmi a considerare un particolare aspetto della questione, tutto interno a quello che dovrebbe essere il campo della sinistra, o del centrosinistra che dir si voglia. È del tutto evidente come in questo campo coesistano (loro malgrado) almeno due impostazioni politiche ormai talmente divaricate che ci si chiede se esse abbiano ancora qualche minima possibilità di contatto. La contrapposizione tra massimalismo e riformismo (è di questo che stiamo parlando) esiste da oltre un secolo e non starò qui a ricordare le troppe tappe di una divisione che ha raggiunto tensioni a volte estreme. Resta il fatto che la divisione è ancora lì, con tutta la sua evidenza, con tutta la sua gravità. Ed è tale da impedire lo svolgimento di un programma riformista che incida davvero sulle condizioni del Paese. Ma possiamo continuare a chiamare con lo stesso nome, sinistra, due visioni del mondo così inconciliabili? Potranno mai arrivare ad una sintesi, ad una coesistenza che finora non ha mai, dico mai, dimostrato di poter dare frutti? Entrambe le visioni ritengono di essere la “vera” espressione dei valori della sinistra, ovvero la solidarietà, l’uguaglianza, la libertà, ma appare evidente che la declinazione di questi valori avviene su basi del tutto diverse e spesso incompatibili. Aggiungiamo che col tempo si sono sedimentate ruggini, incomprensioni, rivalse, risentimenti anche personali tra i leader, i quadri intermedi, i militanti e pure all’interno della base sociale, e la frittata è fatta. La Storia ci insegna che spesso è considerato più avversario il “vicino di banco” che l’avversario storico, cioè la destra. Che, alla fine, di questa paradossale situazione gode i frutti, mentre le classi lavoratrici, le classi più attive e produttive della Nazione o vengono penalizzate, o si rivolgono alla “concorrenza”, oppure si estraniano dalla vita politica, mandando tutti sonoramente “affanculo”. E abbiamo visto dove porta il “vaffanculo” politico … Noi qui intanto, imperterriti, continuiamo a discutere se Draghi sia più adatto alla destra “civilizzata” o alla sinistra “riformista”, se sia stata più utile alla causa la rottamazione riformista di Matteo Renzi oppure l’albagia politicista di Massimo D’Alema, se il Governo attuale sia espressione della più bieca finanza internazionale oppure sia il meglio del riformismo progressista ottenibile al momento. Sapete bene da che parte mi collochi io … ma non è questo il punto. Il punto è il disagio che provo nel dover affrontare questo discorso, senza sapere come concluderlo. Io, come tanti altri, ho una storia di sinistra: lo ero diciassettenne da liberale (fui espulso), lo sono rimasto crescendo da “non comunista” nel PCI, ho continuato ad esserlo anche quando ho sospeso la politica attiva per dedicarmi alla professione, non ho mai votato fuori dal seminato, nemmeno nel mitico periodo dei gruppi alternativi di sinistra. Sempre ortodosso, sempre fedele alla linea di fondo; critico, a volte ipercritico, spesso incazzato nero, ma mai fuori. Ho atteso per anni la complessa gestazione del Partito Democratico, ho aderito entusiasta, ho sofferto come un cane le lotte intestine che ho vissuto dal di dentro, alla fine sono uscito esasperato. E non sono affatto pentito. Ma non sono felice. E che pretendi, direte voi? Pretendo di avere un soggetto politico che incida sulla storia del Paese, che lo cambi, lo faccia evolvere, col contributo e la spinta della parte più attiva e produttiva della popolazione, ma senza dimenticare chi resta indietro e offrendo a tutti la massima possibilità di sviluppo. Sono un liberalsocialista, sono un migliorista, sono un riformista, e non sopporto di vedere miei potenziali “compagni” tergiversare e non partecipare allo sviluppo di un progetto comune. Sì, perché la strada è segnata, è segnata dalla Storia: nessuno ha mai trasformato una società, un Paese, con azioni radicali, con la contrapposizione frontale degli interessi concorrenti, con l’ideologia e la pretesa di custodire una Verità da opporre agli altri, impuri ed indegni. Solo le Rivoluzione stravolgono tutto, ma c’è qualcuno che ha gli strumenti non dico pratici, ma ideali, per proporre una Rivoluzione nel terzo millennio? Che poi in realtà noi stiamo già vivendo un’epoca rivoluzionaria, dove però gli stravolgimenti sono stati, e sono, tecnologici, geopolitici, sociali, ambientali. E li stiamo subendo, perché la politica non fa quello che dovrebbe per progettare e realizzare un futuro migliore, e si perde nella infruttuosa difesa di un mondo che non esiste più, oppure nell’infinita ricerca di un ottimo che non arriva mai, nella paura di compromettere quello che faticosamente si è ottenuto. Ecco, sto dando giudizi politici, ma non pretendo di avere la Verità in tasca, non pretendo di essere nel giusto. Pretenderei solo di poter misurare concretamente i risultati di un’azione politica, in termini di benessere sociale, di ricchezza, di diritti umani e civili, di uguali opportunità per tutti. Non parlare di …, ma fare. Sbagliando e correggendo, se necessario, ma nell’interesse della collettività e non nella difesa corporativa di chi non è disposto a mettersi in discussione. Temo dovrò ancora attendere molto: la sinistra ha commesso giganteschi errori politici negli ultimi decenni (anche prima, ma andiamo avanti …!). Non sono crimini staliniani, non sono aberrazioni umane di cui provare vergogna, sono solo errori politici, a volte grandi come palazzi. Errori in buona fede, ma errori. Se non li metabolizziamo una volta per tutte, se non li superiamo, siamo destinati a soccombere ad una destra sommaria e pericolosa, sovranista, populista e a-democratica. La politica utile è sforzo di comprensione, è dialogo, è apertura mentale, è voglia di sperimentare, è coraggio, è mettersi in discussione. Tutto, ma non guardarsi in cagnesco, diffidando. |