Ma davvero dobbiamo abituarci all’idea che, ai confini dell’Unione Europea, uno Stato sovrano possa essere invaso militarmente da uno Stato confinante, più grosso e più potente?Ma davvero siamo tornati al punto che le questioni internazionali tra Stati possono essere affrontate solo con i missili e i carri armati? Ma davvero siamo tutti diventati così incapaci di metterci attorno ad un tavolo (Putin ne ha di enormi …) e analizzare problemi e possibili soluzioni con razionalità? Cosa penserebbe il Premio Nobel Johnny Nash (“A beautiful mind”), che teorizzò e dimostrò l’esistenza di un punto di equilibrio tra gli interessi contrastanti dei giocatori, purché essi siano razionali? Direbbe che i giocatori non sono razionali. Ovvero una conclusione devastante e senza speranza, se applicata alla politica internazionale in un mondo pieno zeppo di armi di distruzione di massa, non tutte depositate in mani sicure e, appunto, razionali. Possibile che, con tutta la scienza, la tecnologia, la filosofia, la cultura, e infine l’esperienza dolorosamente accumulata durante l’intero secolo scorso, dobbiamo stare ancora qui a chiederci se e quando i carri armati russi entreranno in Ucraina, come se il 1^ settembre del 1939 fosse ieri e non oltre 80 anni e decine di milioni di morti fa? Domande retoriche, perché qui siamo, le televisioni parlano di guerra incipiente e l’unica alternativa è che sia tutta una gigantesca messa in scena, un risiko mostruoso, allestito per ottenere risultati dopotutto già definiti e consolidati. E già, perché forse la soluzione è già scritta, è una sola, accettabile per tutti, ma bisogna essere capaci di tirarla fuori dal blocco marmoreo di incomunicabilità e disinformazione che troneggia al centro della scena. Come il genio Michelangelo estraeva la Pietà o il David dai massi di marmo, quale intelligenza collettiva farà emergere la soluzione del problema? Detto in altri termini, che la Russia non è disposta ad avere la Nato alle sue porte è cosa nota da tempo, che la parte orientale dell’Ucraina è già da tempo sotto sostanziale controllo russo, con il consenso della popolazione locale, è altrettanto noto, che simili crisi hanno già investito la Georgia, la Crimea, la Cecenia, ovvero tutte le prossimità della Russia, è sotto gli occhi di tutti i Paesi del mondo. E allora? Perché questo innalzamento della tensione? Perché questo irrigidimento? Perché discorsi così apodittici come quello di Putin? La mia idea, forse naif, è che tutti qui stiano cercando una narrazione, un modo per consolidare equilibri esistenti (forse già coerenti con le regole di Nash), ma che tutti abbiano bisogno di riaffermarlo con forza di fronte al mondo. È una faccenda di prestigio, di peso, di posizionamento ai tavoli delle trattative, che immancabilmente seguiranno la crisi. La soluzione c’è, è lì, bisogna disvelarla e tutti vogliono la prima fila. Sbaglierò, ma per scatenare guerre servono mezzi enormi, volontà di ferro e una estemporanea dose di follia collettiva, tutte componenti che oggi non sembrano così disponibili. Ricorrere a paragoni storici non aiuta: l’invasione della Polonia del 1939 seguiva decenni di equilibri inesistenti, strascichi dell’Ottocento, della Grande Guerra, della fine degli Imperi, la Rivoluzione, il trattato di Versailles, l’umiliazione imposta alla Germania, e poi l’Anschluss, i Sudeti, anni e anni di preparazione meticolosa di un evento che nessuno volle evitare per davvero. Non c’era nessun equilibrio. C’è stato dopo, lungo i cinquant’anni di Guerra Fredda e poi altri trenta fino ad oggi. A volere pensare in grande ed a lungo termine (ma è come leggere la “palla di lardo” di Gianni Mura), si vedrebbe il mondo dominato non da Nazioni ma da blocchi di Nazioni federate, con sfere di influenza ben definite ed equilibri stabilizzati. Gli Stati Uniti ed il continente americano che fronteggiano la Cina e l’India, l’Unione Europea che fronteggia la Russia con la sua sfera di influenza. L’Africa, come pure tutto il mondo arabo ed islamico, realtà che, per entrare negli equilibri, devono connotarsi, entrare nel mondo moderno e lasciarsi alle spalle strutture tribali e integralismi religiosi. Purtroppo l’Unione Europea oggi è l’anello debole di questo scenario e gli Stati Uniti sono sempre meno disposti a garantire gli equilibri da soli in tutto il mondo. Non vogliono e forse non possono più nemmeno permetterselo, visto che il livello di competizione soprattutto con la Cina è destinato fatalmente ad innalzarsi, assorbendo risorse. L’Europa deve al più presto trovare una sua unità politica, diplomatica, militare (quella finanziaria è già abbastanza sviluppata), se vuole essere parte attiva dei nuovi equilibri. Questa forse sarà la pace dei prossimi decenni, per chi la vedrà. Non sarà una pace tranquilla, sarà comunque una pace “dinamica”. Le alzate d’ingegno e i colpi di testa non sono previsti, né auspicabili. Che Nash ci assista …!
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