“The only winning move is not to play”.Questa frase (“la sola mossa vincente è non giocare”) compariva sullo schermo del supercomputer protagonista di War Games, un film di quarant’anni fa che rappresentava uno scenario di possibile escalation nucleare provocata dal computer stesso che, ad un certo punto, non distinguendo più tra gli scenari di simulazione e la realtà vera, era arrivato ad un passo dallo scatenare l’olocausto nucleare; alla fine però, costretto a giocare contro se stesso, il computer riusciva a produrre quella icastica conclusione. “Non giocare”: è una parola …! Quando la realtà è quella vera e non quella simulata, qualcuno può costringerti a giocare, anche controvoglia. E ti mette di fronte ad atti che non vorresti accettare, ma che sei costretto comunque a fronteggiare. A poco serve chiedersi se il comportamento è razionale o meno. È una rottura dell’equilibrio ed è quella che devi gestire, cercando la strada verso un nuovo equilibrio che non conosci, ma che speri possa essere accettabile anche per te. Putin ha rotto l’equilibrio, in modo palese, violento, forse inatteso. Lo ha rotto lui, solo lui, e sta imponendo un cambio di schema che rischia di portare anche ad altre rotture, su altri fronti. Per essere chiari, penso alla Cina e a Taiwan. L’idea che le controversie internazionali si possano risolvere con le invasioni e con le armi ha dominato tutta la storia del mondo. È solo da meno di ottant’anni che, con molta fatica, si è cercato di stabilire un nuovo schema. La deterrenza nucleare ha giocato un ruolo fondamentale, per ovvi motivi: la “guerra-che-non-può-essere-vinta”, perché distrugge tutto e tutti, è un buon argomento di dissuasione, che ha funzionato per decenni. Ma ha comunque lasciato spazio ad innumerevoli conflitti, più o meno piccoli, nei quali qualcuno ha sempre cercato di prendersi dei benefici, proprio giocando sulla paura di una ”arma-fine-di-mondo”. Putin, e non è la prima volta, ha deliberatamente scelto di forzare la mano e andare a prendersi ciò che ha unilateralmente deciso debba essere suo; ora sta sfidando il resto del mondo ad opporsi alla sua volontà. Lo ha fatto, e adesso spetta al resto del mondo decidere se e come rispondere. La sfida è, come spesso capita, asimmetrica, perché da una parte c’è un autocrate che decide ed agisce pressoché da solo, eseguendo disegni solo a lui noti, incurante (almeno per ora) delle reazioni sia interne che internazionali, dall’altra ci sono Paesi che vivono all’interno di un sistema di regole di convivenza che richiede consenso, controlli sulle decisioni, responsabilità di cui rispondere rispetto alle istituzioni. La Cina, per ora, sta a guardare … Si rischia un incontro di boxe dove un contendente segue le regole e l’altro sferra anche calci e testate, sopra e sotto la cintura, e nemmeno indossa i guantoni. Che fare? Scendere dal ring, “non giocare”, non si può. Sarebbe bello, ma non si può. Se scendi, non risali più. Quindi, tocca restare. Ovviamente, più i conflitti si avvicinano al cuore del mondo, più la loro drammaticità aumenta. E l’intensità dello scontro è difficilmente modulabile. La reazione non può che essere adeguata all’azione, ma i mezzi usati debbono essere diversi. Nessun compromesso può essere accettato sui principi e sui valori che sono alla base della convivenza: chi ricorre alla sopraffazione non può far parte del consesso civile. Ma scatenare una guerra totale non può essere un’opzione. Il popolo russo può anche accettare lo stesso Presidente autocrate da 23 anni: è una sua (molto poco) libera scelta, e soprattutto non si sa quanto ancora potrà durare, ma nei rapporti con gli altri Stati dovrebbe vigere il rispetto reciproco. Quello che Putin sta compiendo in questi giorni è con tutta evidenza un atto di aggressione del tutto ingiustificato e fuori da ogni scala del comprensibile. L’Occidente, ma direi tutto il resto del mondo, non può stare a guardare: deve ristabilire il rispetto delle regole più basilari della convivenza. Esiste l’ONU, ma la farraginosità dei suoi meccanismi rende i processi impacciati e pletorici. Il diritto di veto, anacronistica eredità della Seconda Guerra Mondiale, paralizza ogni decisione, eppure una sede di confronto deve pur esistere. Non possiamo scoprici così impotenti, in balia delle prepotenze dell’autocrate di turno. Il Novecento non può essere passato invano. Due guerre molto calde, una guerra fredda, innumerevoli teatri di guerre periferiche: non possiamo ritrovarci come se niente fosse stato. Tutti, a destra e a sinistra, fanno equilibrismi dialettici, non riescono a parlare chiaro; impera il cerchiobottismo più o meno velato: Putin è un despota prepotente ma anche l’Occidente è stato imprevidente, poco lungimirante, egoista e a sua volta prevaricatore. Gli opinionisti non hanno opinioni intellegibili: colpa di tutti, colpa di nessuno. Reagire sì, ma attenzione … Il fatto è che, quando qualcuno rovescia il tavolo e sovverte le convenzioni esistenti, tutto diventa scivoloso, non si sa come muoversi, è arduo ricreare una scala di valori a cui fare riferimento. Le variabili in gioco sono talmente tante che nessuno è in grado di metterle in fila in un ragionevole ordine di priorità. Ci eravamo illusi che il mondo fosse cambiato e improvvisamente riscopriamo che basta la protervia di un autocrate per riportarlo dov'era un secolo fa. Tutto è in movimento e dobbiamo sperare che le forze interne ai sistemi contrapposti operino per ristabilire un equilibrio accettabile: il popolo russo, e bielorusso, prima o poi entrerà in scena? Gli ucraini sapranno resistere a lungo? La Cina resterà a guardare il deterioramento di una situazione dalla quale non pare derivare grossi benefici? Gli europei sapranno trovare un’unità di intenti e di azione? Gli Stati Uniti metteranno tutto il loro peso in campo? E infine, dove vuole arrivare l’autocrate russo? Nessuna intelligenza artificiale ci aiuterà a rispondere a tutte queste domande; sono troppe e nessun modello è capace di tenerle tutte insieme. I guai degli uomini devono ripararli gli uomini stessi (e ho usato la parola uomini non in senso generico …). La conclusione non può essere: “The only winning move is not to play.” Tocca giocare, e conta solo vincere. |