In questi giorni tempestosi, mentre è in atto una guerra di cui facciamo ancora fatica a misurare la reale portata, è doveroso soffermarsi a considerare come la nostra cara democrazia occidentale, rappresentativa, liberale, keynesiana, stia attraversando una crisi profonda.Sembrava, nel secolo scorso, che quella con gli improbabili sistemi alternativi sorti nel Novecento fosse ormai una partita vinta con schiacciante superiorità (“la fine della storia”), e invece quel modello, teoricamente “vincente”, viene ancora ogni giorno cannoneggiato (anche letteralmente), senza che nello stesso mondo occidentale si manifestino chiari ed evidenti segni di riscossa, di rilancio, di riaffermazione (anzi qualcuno discute persino sull’opportunità che gli ucraini si difendano strenuamente dall’invasore russo …!). Intanto partiamo con il constatare che, su oltre sette miliardi di abitanti del pianeta, sì e no uno vive in sistemi decentemente democratici. Tutti gli altri ne sono sideralmente distanti e paiono anche non lamentarsene affatto. Vivono in regimi autoritari, totalitari, spesso tirannici, violenti, dove i diritti umani sono calpestati, anzi sono proprio ignorati, e non pare di scorgere potenti aneliti verso quella libertà che noi apprezziamo tanto. Questo è un dato di fatto, dal quale non si può prescindere. Abbiamo altresì constatato nel corso degli ultimi decenni quanto sia improponibile “esportare la democrazia”: abbiamo visto i frutti nefasti di tale politica in Iraq, in Afghanistan, in Libia, in Siria e dovunque dietro a quell’affermazione un po’ surreale si sia in realtà nascosta una pura e semplice politica di espansione egemonica. Insomma, chi vuole la democrazia deve proprio conquistarsela da solo, con una lotta dall’esito incerto, e spesso il prezzo da pagare è molto alto. E non bastano pochi illuminati, serve una chiara volontà popolare. E poi capita che, dopo che l‘hai conquistata, arriva il tuo vicino, grosso e potente, e cerca di togliertela, come sta avvenendo in Ucraina, sotto i nostri occhi attoniti. E poi capita anche che, dove c’è ed è pure consolidata da secoli, arriva dal di dentro un Trump qualsiasi e cerca di buttare giù tutto, con la festosa partecipazione di qualche decina di milioni di elettori, di cui qualche migliaio più esagitato tenta pure di assaltare le istituzioni, di nuovo sotto i nostri occhi attoniti. E capita pure che il Trump di turno da qualche parte vinca “democraticamente” (anche Hitler andò al potere con libere elezioni …) e che nessuno riesca più a mandarlo via, anzi (vedi Erdogan, Orbán, Vucic, Kaczynski, …, tutti alle porte di, o anche dentro, casa nostra!). E poi un miliardo e mezzo di cinesi, un miliardo di indiani, 150 milioni di russi, sembrano sopportare senza troppe difficoltà regimi sempre più illiberali. Infine capita che, anche dove tutto sembra più consolidato, si debba palpitare per un ballottaggio con la signora Le Pen, oppure per l’aggregarsi di consenso intorno a persone come Matteo Salvini, Giorgia Meloni e i grillini, che non hanno mai nascosto l’attrazione fatale per tipi di democrazia che non sono proprio consoni ai canoni ai quali saremmo abituati, diciamo così. Allora, che diavolo sta succedendo? Possibile che, dopo due secoli e mezzo dalla Rivoluzione Americana del 1776, sia ancora tutto così precario, così in bilico, come se quella proposta politica fosse invecchiata, fosse fallita, passata di moda, avesse perso attrattiva, interesse, “spinta propulsiva”, come Enrico Berlinguer disse dell’altra Rivoluzione, quella bolscevica, quella sì un flop clamoroso? E dire che il mondo è oggettivamente migliorato, si vive di più, miliardi di persone, grazie anche al libero mercato, alla tecnologia ed alla circolazione delle merci e della conoscenza, sono uscite da condizioni di assoluta indigenza (ma più di un miliardo lo è ancora …), che il welfare, laddove c’è, è davvero diffuso ed efficace: basta pensare a come eravamo, anche qui da noi, solo trenta o quaranta anni fa. Eppure la democrazia rappresentativa soffre, diventa sempre più difficile comunicarla, farla capire ed apprezzare, anche adesso che vediamo tutti i giorni in diretta televisiva gli effetti di un’aggressione di un regime autoritario su un giovane e ancora fragile regime democratico. Le tentazione dell’uomo forte, determinato e sbrigativo, delle decisioni sommarie, del controllo del dissenso, del dirigismo, è sempre più evidente, sempre più permeante, anche qui da noi che abbiamo sperimentato, ormai tanti, forse troppi, anni fa, la dittatura. La conclusione pare essere una sola: la libertà fa paura, pesa, imbarazza. Si era posto il problema, quasi centocinquanta anni fa, proprio il russo Dostoevskij, nel racconto “Il grande inquisitore”, all’interno de “I fratelli Karamazov”. Un Cristo riapparso sulla terra viene incarcerato ed accusato di essere un sovversivo, di seminare vane speranze e dubbi, “perché sei venuto a infastidirci?”, chiede l’Inquisitore, perché vuoi inculcare l’idea della libertà in chi non la vuole, non la sa gestire, e preferisce essere guidato da un potere che pensi al suo posto? La responsabilità di vivere in una società libera è in effetti pesante, richiede dedizione, richiede partecipazione (come dicevano Gaber e Luporini …), mentre il Putin o l’Erdogan di turno ti semplificano la vita, purché non ti metti di traverso … Ma si può barattare la libertà con la deresponsabilizzazione, col quieto vivere, con un malinteso senso di sicurezza? Evidentemente sì, se in tanti lo fanno senza stare tanto su a pensarci. E noi che invece vogliamo resistere, che crediamo che nulla valga una vita da suddito, che speranze abbiamo? Come possiamo da una parte mantenere i nostri principi e dall’altra fornire esempi che rendano attrattiva la libertà anche per gli altri? Qual è la chiave di questo rebus? Inutile illuderci, la risposta non ce l’abbiamo: troppe sono le variabili in gioco, troppe le minacce, troppi gli interessi in conflitto. Ciononostante, se non vogliamo dargliela vinta, dobbiamo cercare e trovare strade percorribili. Una mi pare imprescindibile, anche se di esito incerto: dobbiamo educare i giovani, dobbiamo dare loro principi, conoscenza ed informazioni, dobbiamo dare chiavi interpretative del mondo e insegnare l’uso degli strumenti necessari. È poco? Forse. Basterà? Chissà. A giudicare da quanta discussione susciti un fatto all’apparenza incontrovertibile come l’aggressione russa all’Ucraina, parrebbe cosa davvero difficile, ma la Storia è dalla nostra parte, checché se ne dica. Dalle Rivoluzioni di fine Settecento in avanti l’umanità è progredita in modo esponenziale. Il saldo tra i benefici e i disastri (tanti, troppi, inutile elencarli tutti) è largamente positivo; per quanto si possa dare importanza alla parte vuota del bicchiere, è sempre molto più attraente quella piena. La sinistra, per venire a noi, è nata per promuovere il progresso, per emancipare l’umanità dalla schiavitù e dalla fatica, non può mettersi a difendere uno status quo dove chi soffre e chi sta peggio può solo rassegnarsi e contare sulla benevolenza del potere. Per riprendere una delle sciocchezze più colossali (tra le tante!) sentite in questi giorni nei talk show, un bambino può anche essere felice sotto una dittatura, forse, ma poi quando cresce, cresce da schiavo, se gli adulti non gli hanno preparato un mondo libero. Insomma, tra Buñuel e Dostoevskij, la democrazia non solo bisogna conquistarsela da soli, ma bisogna pure coltivarla, coccolarla, mantenerla, insegnarla, ed essere pronti in ogni momento a difenderla, con ogni mezzo. Guai a darla per acquisita! Lo dobbiamo a tutti quelli che l’hanno difesa per portarla fino a noi.
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