Non doveva succedere. È successo.Quello che ogni persona di buon senso auspicava, e riteneva persino possibile (noi poveri illusi!), è stato stravolto da un vorticoso susseguirsi di accadimenti, che hanno portato la crisi alle sue più estreme conseguenze. Chi pensava che, dopo le convulsioni di Conte e i suoi residui patetici cinquestelle, potesse manifestarsi un comune sentimento di reazione positiva e costruttiva per portare a termine un programma e una legislatura, è stato clamorosamente smentito. Come è potuto succedere? Se ne discuterà a lungo nella ormai prossima campagna elettorale, visto che essa scaturisce da questo evento così catastrofico, temuto ma così poco previsto. Qualcuno dirà: ma cosa c’è di così catastrofico in una legislatura, peraltro bizzarra, che si chiude in anticipo? Cosa c’è di bizzarro nell’anticipo di otto mesi di una scadenza che in ogni caso era fissata per la primavera dell’anno prossimo? Non sarà che siamo tutti diventati ipersensibili agli shock, che poi in fin dei conti sarebbero solo fisiologici eventi, connaturati ad un sistema democratico basato sulla rappresentanza? Domande legittime a cui è opportuno cercare di rispondere senza troppo fervore e con un po’ di lucidità. Cosa è successo? Quali interessi, e di chi, erano e sono in gioco? Escluso l’impazzimento, che è categoria che difficilmente si applica agli eventi sociali e politici, cosa ha determinato la precipitazione degli eventi? Partiamo dall’origine: dopo la disperata mossa di Conte di non dare la fiducia ad un provvedimento di forte impatto sociale, estremo tentativo di rimettere il suo ormai moribondo movimento al centro della scena politica, con il ridicolo pretesto del termovalorizzatore di Roma, ma in realtà come ripicca per la supposta “umiliazione” politica del Movimento, si sarebbe potuto pensare che le altre forze politiche avrebbero agito in modo da approfittare del suicidio di una forza concorrente, che liberava spazio e voti, emarginandola dall’area del potere. Draghi in Senato ha portato, cartesiano come sempre, un discorso precisissimo sulle cose fatte e sulle cose da fare, peraltro nulla che non fosse straconosciuto da mesi, non ha espresso un programma rivoluzionario estemporaneo! Bastava dire di sì e si sarebbe arrivati ad aprile del prossimo anno a giocarsi le elezioni con i cinquestelle fuorigioco e tanti voti da conquistare. Invece proprio lì stava il problema. Arrivare alla elezioni con una buona finanziaria fatta, con una trattativa europea ben avviata, con i soldi del PNRR correttamente allocati, con alcune riforme importanti realizzate, significava riconoscere la forza della logica, del buon governo, del riformismo che vince sul populismo. In pratica una sonora sconfitta per quest’ultimo e per i partiti che ne fanno la base della loro esistenza. Un suicidio che avrebbe probabilmente consegnato la vittoria alle forze sicuramente aliene a quel mondo. Per questo, sconfitto ed emarginato il populismo di Conte e i suoi cinquestelle, i restanti populisti si sono sentiti minacciati, anzi presi in ostaggio, da una politica che li avrebbe inesorabilmente tagliati fuori. Un suicidio. Meglio allora approfittare del casino creato dal confuso avvocato con la pochette per sferrare il colpo mortale ai riformisti. Berlusconi, che dei populisti italiani è l’inventore, il padre spirituale, la guida incontrastata ed incontrastabile, si è immediatamente rimesso in modalità “caimano” e con l’amico di sempre e suo erede designato Salvini (in realtà di eredi ne ha designati tanti, ma sono finiti tutti malissimo, perché l’unico capo è e resta lui, quello con la borsa) si è prontamente fiondato nella crepa aperta da Conte e l’ha fatta deflagrare. Berlusconi ha sentito profumo di vittoria in elezioni ravvicinate e non ha saputo, né voluto, resistere alla tentazione di approfittarne. L’odore del potere eccita istinti primordiali incomprimibili, si sa. Che così facendo abbia messo Meloni in pole position è evidentemente giudicato un rischio gestibile, al momento: se ne occuperà a tempo debito. Intanto porta a casa la possibilità concreta di ritornare in sella e prendersi tutte le rivincite del caso. Un sintomo chiaro di quale campagna elettorale ha in testa il “caimano” è la tempestiva dichiarazione, come sempre senza vergogna né pudore, che Draghi si sarebbe dimesso perché stanco e per le troppe ore di lavoro … Loro non c’entrano mica, anzi, gli hanno fatto un favore! Ora potrà riposare. D’altronde, Draghi da par suo non aveva lasciato il benché minimo dubbio sulle cose da fare nei prossimi mesi: il suo elenco è stato dettagliatissimo, dai taxi ai balneari, dalla revisione del superbonus a quella del reddito di cittadinanza, dagli investimenti in rinnovabili ai rigassificatori, dal recupero crediti al “teniamo la mafia lontana dal PNRR”. Una serie di propositi dirompenti (soprattutto l’ultimo …!) per una base elettorale terrorizzata dall’efficientismo draghiano. Quella “constituency” non poteva essere abbandonata a se stessa, chiedeva protezione ed ecco pronta l’assistenza. E a culo tutto il resto … (cfr. F. Guccini – L’avvelenata). Ora ci sentiamo sballottati dalla tempesta: abbiamo perso le poche certezze che ci facevano pensare di sfangarla fino ad aprile e presentarci agli elettori con un po’ di cose fatte. La dura realtà invece ci si para davanti in tutta la sua minacciosità. Ce la faremo lo stesso a mettere insieme una coalizione riformista, un’area Draghi, con un’agenda Draghi, anche senza Draghi, ma con il suo rigore e la sua nettezza, oppure ci avviamo all’ennesimo pasticcio immangiabile e indigesto, che porterà a farsi maciullare allegramente dalle peggiori destre populiste e sovraniste alle elezioni tra due mesi? Si parte in salita: il nefasto “campo largo” fortunatamente è scomparso (salvo non escludibili colpi di coda della parte più deleteria e retriva del PD); dovrebbe essere semplice riconoscersi tra riformisti, mettere giù un programma chiaro e comprensibile a tutti e giocarsela apertamente, ma per vincere, non per fare un buon risultato, cosa che piace tanto a certi acchiappanuvole della cosiddetta sinistra. Dovrebbe. L’esperienza purtroppo non ci conforta. Anzi. Ma se almeno non ci si prova (però: Do or do not, there is no try, diceva Master Yoda), se invece ci si lascia trasportare sul piano del populismo, seppur ammantato di falsa sinistra, cosa diavolo potrà votare la gente normale, quella che vorrebbe un Paese attivo, schierato con le maggiori potenze democratiche, in corsa per la ripresa che dovrà pur arrivare? Cosa penserà di una politica ancora una volta incapace di realizzare, di concludere, di cambiare, di migliorare? In culo anche il riformismo!, penserà (cfr. A. Baricco – Novecento). Attenzione, amici riformisti, attenzione!
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