La tanto discussa e contestata decisione di Carlo Calenda di uscire dal patto troppo affrettatamente firmato con il PD e con i suoi irrinunciabili alleati (i perennemente sconfitti e perdenti della sinistra radicale) ha cominciato a fare un po’ di chiarezza.Se ora, come auspicabile, si concretizzerà la nascita del mitico Terzo Polo con lo stesso Calenda, Renzi, Pizzarotti, Moderati, Repubblicani, un altro passo sarà stato compiuto. Verso dove? La méta, ovvia e scontata per chi non disgiunge la politica dal pragmatismo delle cose possibili e concretamente fattibili, è l’unificazione di tutti i riformisti. Mancano ancora (e mancheranno per un po’ …) i riformisti (non pochi) rimasti ingabbiati nel PD ormai a trazione massimalista e lontanissimo dalle originarie intenzioni dei suoi fondatori. Il discorso di Veltroni al Lingotto di Torino nel luglio 2007 è purtroppo stato travolto dalla smania egemonica dei massimalisti, che non hanno saputo e voluto accettare la nascita di un vero partito riformista moderno pretendendo, come sempre, il diritto all’ultima parola: vogliono un partito socialista … È andata così ed è inutile piangere sul latte versato. Come si dice con abusato luogo comune, il dentifricio, una volta uscito dal tubetto, non ci rientra più. Serve un nuovo tubetto … E sta nascendo: con sussulti, sobbalzi, tra i frizzi e i lazzi della stampa generalista, che teme scossoni alle sue radicate certezze e sommovimenti nei delicati equilibri di potere di cui è garante. Sta nascendo e non potrà che crescere, salvo non auspicabili autolesionismi, mai del tutto escludibili, purtroppo, in un panorama così turbolento. Non è un Centro, non è moderato, non è una via di mezzo, pronta ad andare di qua o di là, in uno dei due forni tradizionali della politica del Novecento. È un altro forno, il nuovo forno, alternativo agli altri due, diverso, e sarà indispensabile per governare l’Italia del prossimo decennio. I suoi avversari saranno i populisti, i sovranisti, gli euroscettici, i massimalisti di sinistra e di destra, quelli che “o così o niente”, che “i poteri forti …”, “la finanza globale …”, il “mondialismo …”, “il nuovo modello di sviluppo …”, forse anche “la decrescita (in)felice”. Quelli che insomma pretendono che sia il mondo ad adattarsi ai loro desiderata e non che la politica debba trovare i modi giusti per entrare nel mondo e cambiarlo, gradualmente, ma cambiarlo: miglioristi, insomma, per riesumare un termine già in voga nel Novecento. Le prossime elezioni saranno un banco di prova importante, ovviamente. Se la proposta riformista, seppur monca delle risorse ancora ingabbiate nel PD, saprà spiegare, saprà illustrare, saprà convincere che quella è l’unica strada davvero percorribile per tornare a crescere in equilibrio con i partner internazionali, da cui inevitabilmente dipendiamo, e con l’ambiente, da cui totalmente dipendiamo per la nostra vita, se ci riuscirà, non solo eviteremo il governo delle peggiori destre sul mercato, ma daremo anche un nuovo impulso allo sviluppo del Paese. Mario Draghi non si tirerà indietro, ne sono certo. Questo è lo scenario auspicabile a mio avviso; questo ciò che spero, per tutti noi, per un Paese che ha bisogno di concretezza e serietà, di idee chiare e progetti fattibili e non degli elisir di lunga vita proposti dagli imbonitori della destra o del perenne “sol dell’avvenire” promesso dagli altri. Il programma è già scritto: è il PNRR, così lucidamente spiegato da Draghi al Senato il 20 luglio scorso in termini di metodo di lavoro, di approccio ai problemi, senza furori ideologici, senza improbabili salti in avanti. Lo scena si sta delineando, i tasselli cominciano ad andare al loro posto più logico; forse non basterà, forse serviranno altre traversie, altri dolori, ma questo dipende da tutti, da chi dovrà spiegare e motivare il nuovo quadro che si va componendo e da chi, come elettore, dovrà fare uno sforzo per uscire dai soliti schemi e dare fiducia alle possibilità del riformismo. Tante volte abbiamo sbattuto il naso e ci siamo dovuti ricredere, ma la storia va avanti così, a piccoli passi, talvolta c’è uno strappo, un salto, ma indietro non si torna mai. Anche questo passaggio, delicatissimo, di settembre sarà decisivo ed in ogni caso determinante per gli sviluppi futuri. Non sarà facile riprendere il discorso interrotto violentemente il 20 luglio da una banda di irresponsabili, abbacinati dal miraggio di un’elezione facilmente vittoriosa. Ora bisogna reagire in positivo, non solo chiudendosi nelle mura di un fortino antifascista. Qui il pericolo non è il fascismo, ormai relegato a folklore storico, ma è l’isolamento internazionale, la perdita di credibilità, di “accountability”, che deriverebbero dalla visione ristretta, limitata, provinciale del sovranismo piagnone e pauroso del futuro. Negli ultimi decenni questo Paese ha purtroppo voluto sperimentare ogni tipo di azzardo, da Berlusconi a Grillo, a Salvini. Vogliamo sperimentare anche l’azzardo di Giorgia Meloni? Davvero pensiamo che abbia la capacità di affrontare i problemi che abbiamo davanti? Sperimentiamo “la qualunque” pur di non accettare un sano riformismo? Un po’ di lucidità, solo un po’, dovrebbe bastare per capire che è ora di mettersi su una strada più sicura, più tracciata, con destinazioni certe e riconoscibili. Sarà lunga, ma “ogni lungo viaggio comincia con un primo passo” (l’antica cultura cinese illumina più di quella moderna). E poi c’è il camion di “anatra di gomma” ad aprire la via …
|