Non pretendo certo di essere originale se osservo le evidenti analogie tra il Vietnam e l’Ucraina … Sono passati cinquant’anni buoni, ma salta agli occhi la similitudine dei due casi. Una grande potenza invade un (relativamente) piccolo Stato, con lo scopo dichiarato di portarlo sotto la sua sfera di influenza geopolitica, innescando uno scontro con l’altra grande potenza (allora erano solo due …!), che ovviamente non ci sta e interviene nel conflitto, supportando la resistenza delle popolazioni locali, peraltro per niente felici di essere trattate come birilli, a disposizione del potente di turno. Il mondo libero s’indigna e chiede a gran voce il ritiro della potenza invadente (“Yankee, go home!”) nonché l’autodeterminazione del popolo invaso. Ho preciso ricordo di innumerevoli, continue, manifestazioni di tutte le forza di sinistra, comunista, socialista, cattolica, liberale, radicale, spesso finite anche a botte con i giovani missini, FUAN, Fronte della Gioventù, strenui difensori dei “berretti verdi” esaltati dalla destra hollywoodiana di John Wayne e Ronald Reagan (non ancora Presidente). Nessuna anima libera, qui e negli USA, aveva dubbi sulla condanna dell’intervento americano e sulle ragioni della resistenza mesa in atto dai vietcong, armati ed addestrati dall’Unione Sovietica. Sappiamo come è finita: un ritiro poco dignitoso degli americani nel 1975, il Paese che si autodetermina e dopo qualche anno rientra nella sfera, almeno commerciale, del mondo occidentale. Oggi il Vietnam, unificato e pacifico, gode di una buona economia e di una invidiabile ricchezza. Il capitalismo, se vogliamo dire così, fu sonoramente sconfitto militarmente, ma alla fine vinse con la forza dell’economia di mercato. Oggi una ex-grande potenza (la Russia), che di grande ha solo più l’arsenale atomico e le pretese egemoniche imperiali, invade uno Stato confinante indipendente, rivendicando parti consistenti del suo territorio e pretendendo sul resto una qualche forma di vassallaggio, che la popolazione locale ha ripetutamente mostrato con ogni mezzo di non gradire affatto. L’altra grande potenza ovviamente non ci sta e, con i suoi alleati della NATO, interviene supportando la resistenza della popolazione locale. La terza grande potenza (nel frattempo il numero è cresciuto …) si tiene fuori, limitandosi a dichiarazioni formali piuttosto generiche. Probabilmente aspetta di vedere gli sviluppi della situazione per trarne qualche vantaggio. Le anime libere, che non avevano indugiato a schierarsi nel caso del Vietnam, entrano in gravi ambasce e faticano a cogliere l’essenza dello scontro, ovvero: può una grande potenza compiere azioni di sopraffazione verso altri Stati indipendenti, non minacciosi della sua sicurezza, per puro espansionismo egemonico? La risposta in buona fede sarebbe semplice ma … chi ancora non capisce la vera natura dispotica e fascista del regime putiniano e si ammanta di discorsi generici sulla pace non può essere in buona fede. In realtà è talmente obnubilato dal ricordo romantico del mitico comunismo sovietico da non capire quanto esso sia sempre stato affine al fascismo. C’è chi giustamente ricorda il patto Molotov-von Ribbentrop (23 agosto 1939), che rivelava la natura imperiale ed oppressiva dei due regimi totalitari e che aprì la strada alla spartizione cruenta della Polonia, invasa una settimana dopo dalle forze del Terzo Reich e subito appresso da quelle sovietiche. Il quale Terzo Reich l’anno prima, con la tacita accondiscendenza pelosa delle potenze occidentali, aveva invaso e annesso prima l’Austria (l’Anschluss), poi i Sudeti, sempre con la pretesa di riprendersi il dovuto. Siamo ancora lì. E non possiamo dimenticare ciò che successe dopo… Qualsiasi cedimento alle mire dei prepotenti di turno può rivelarsi letale per le nostre fragili democrazie. È assolutamente comprensibile il “tormento”, come lo chiama Renzo Piano, provocato dall’attuale situazione di guerra aperta, ma è un tormento inevitabile se vogliamo difendere le nostre conquiste di libertà e democrazia. E poi il nostro tormento è nulla in confronto a quello degli ucraini invasi, bombardati, torturati … Chi ha detto che non si soffre per la pace? Soffriamo noi, soffrono loro (molto di più di noi), e soffriremo tutti, fino a quando il regime putiniano non abbasserà la cresta. Ci sono spigoli duri nella Storia che vanno smussati, con l’intelligenza, la diplomazia, certo, ma, se non basta, anche con la forza. Una malattia va combattuta fino alla guarigione. E allora, se cinquant’anni fa in tutto l’Occidente si manifestava al grido “Yankee, go home”, “Stop the war”, mentre Muhammad Alì sopportava il carcere e la perdita del titolo mondiale per non combattere i vietcong, e nessuno chiedeva al Vietnam di cedere alle pretese dell’invasore, perché oggi tentenniamo, perché il “tormento” non si tramuta in condanna per la sopraffazione, in spinta non per una generica pace sulla pelle di chi è stato invaso, ma per una pace che ristabilisca i diritti offesi? Come non riconoscere il carattere autoritario e prevaricatore di un regime che dagli Zar a Lenin, da Stalin a Breznev, e poi a Yeltsin e Putin (con Gorbaciov confinato in una piccola e purtroppo insignificante parentesi), in una impressionante continuità storica non ha mai rinunciato a cercare di imporsi come potenza dominante verso i suoi vicini? Come non capire l’impressionante permanenza della sua politica imperiale? Purtroppo l’antiamericanismo pregiudiziale e un po’ ottuso di una parte consistente della cultura europea cattolica e “di sinistra” (diffidenza verso il mercato, verso l’iniziativa privata, verso il dinamismo sociale) prevale sull’amore per la libertà e per i diritti dei popoli. Pronti a condannare le sbandate (anche innegabili, come il Vietnam) dell’America, ma sempre indulgenti con la prepotenza russo sovietica. Persino di fronte all’evidenza palmare dei fatti e dei misfatti, si insiste a cercare motivi per dare loro quello che pretendono con la forza. Non può esserci pace senza ristabilire un minimo di stato di diritto. Una cosa è la pace, un’altra è la resa. Sembra evidente, ma …
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