Si dice sempre che la Storia la scrivono i vincitori. Questo vorrebbe dire che le (eventuali) ragioni dei perdenti non sarebbero tenute nella dovuta considerazione quando si tramandano le vicende umane. È indubbio che se, mettiamo il caso, Hitler e il Terzo Reich avessero vinto la seconda guerra mondiale, tutto il dopo sarebbe stato diverso ed anche le analisi storiche sarebbero state altre. Ciononostante, la realtà è ciò che è effettivamente avvenuto e quindi l’esercizio del “se” risulta forse letterariamente interessante ma di sicuro storicamente vano. Lo stesso dicasi per l’eventuale Storia che gli ipotetici vincitori avrebbero potuto scrivere. Hitler e il Terzo Reich hanno perso e noi adesso quella sconfitta analizziamo e giudichiamo. Anche Stalin, con tutta l’esperienza comunista sovietica, ha indubbiamente perso, ma siamo sicuri di analizzare e giudicare questa sconfitta con la stessa forma mentale? Insomma, questi orribili totalitarismi del Novecento sono stati entrambi sconfitti, nel 1945 il primo e nel 1989 l’altro, ma siamo sicuri di averli trattati nello stesso modo, applicando le stesse categorie di giudizio? Qualcuno potrebbe dire: ma il nazismo aveva alla base un inaccettabile principio di sopraffazione, di primato della razza, di dominio dell’uomo sull’uomo, mentre invece l’esperienza sovietica si fondava su un nobile principio di uguaglianza e solidarietà, in vista di una futura libertà dal bisogno, ed anche se la sua applicazione è stata nefasta, almeno il principio era condivisibile. Non è così semplice. Non è solo di principi che si nutre la storia umana: certo, senza si viaggia alla cieca, senza una direzione, ma la loro realizzazione concreta li connota storicamente in senso positivo piuttosto che negativo. A quei principi si sono ispirati movimenti di liberazione che hanno cambiato la vita di interi popoli, emancipandoli dalla schiavitù e dalla miseria, ma nel contempo al riparo di quegli stessi principi si sono sviluppati movimenti oppressivi e repressivi, che hanno provocato morte e dolore in larghe parti del mondo. Tutte le rivoluzioni hanno avuto il loro aspetto sanguinario, violento, eversivo (altrimenti che rivoluzioni sarebbero?), ma alcune hanno presto messo la rotta sulla costruzione di un nuovo ordine, altre hanno seguito percorsi affatto diversi, instaurando regimi dispotici, basati sul terrore, sul controllo verticistico e maniacale di ogni attività umana. Tutti conosciamo le atrocità commesse dai nazisti (dico “nazisti” e non “nazismo” perché le atrocità le hanno commesse esseri umani in carne ed ossa). Anche le atrocità commesse da Stalin prima, e da tutto il regime sovietico poi, fino a Michail Gorbaciov escluso, sono ben note e sono riconducibili ad esseri umani che per oltre settant’anni hanno interpretato un copione sanguinario e malefico. Il fatto che derivassero i loro comportamenti da un malinteso principio di giustizia sociale cambia qualcosa? Vogliamo chiederlo agli ungheresi del ‘56, ai cecoslovacchi del ‘68, ai tedeschi dell’est, ai bulgari, ai quattro milioni di ucraini affamati dal tragico Holodomor nel ‘32, agli ebrei uccisi ed emarginati da Stalin? Sono domande oziose, che dovrebbero convincerci che davvero dovremmo buttare nella spazzatura della Storia tutti i totalitarismi del Novecento e dedicare la nostra attenzione a quelli che ancora esistono, che non sono pochi né meno pericolosi. E questo non perché ci arroghiamo il diritto di scrivere la Storia da vincitori (ma abbiamo davvero vinto?), quanto perché abbiamo la responsabilità di scriverla, partendo dai fatti. Oggi, nel 2022 dopo Cristo e nel 33 dopo il Muro di Berlino, qualcuno (Goffredo Bettini, per fare nomi e cognomi) cerca ancora la scintilla accesa nel 1917, la cerca ancora sotto le macerie del Muro, ma non si è accorto che quella fiammella, ammesso che si sia mai accesa, è da lunga pezza spenta e sepolta sotto milioni di morti. Berlinguer lo disse chiaro, seppur con colpevole ritardo, nel 1981, oltre quarant’anni fa, e non ebbe il coraggio politico, perché – disse – “legato agli ideali della mia gioventù”, di derivarne le più ovvie e dirette conseguenze che era lecito attendersi, ovvero il cambiamento del nome del Partito e del suo simbolo. Il PCI aveva fatto (non da solo) la Resistenza, aveva scritto (non da solo) la Costituzione, non minacciava di certo la democrazia, ma dal 1921 non riusciva a staccarsi dal quel terribile cordone ombelicale. E anche dopo Berlinguer, servirono altri 10 anni … persi nel nulla della Storia. Oggi chi, fingendo di condannare anche Putin, condanna in primis il mondo occidentale (USA, NATO, UE), colpevole di appoggiare la resistenza ucraina, cerca ancora la famosa scintilla e non capisce che gli ideali di uguaglianza, solidarietà, libertà, sono mille miglia lontani, sono agli antipodi del dispotico regime post-sovietico di Putin, che mutua le stesse modalità imperiali degli Zar, di Stalin e di tutta la nomenklatura sovietica. Forse, anzi certamente, quegli ideali non sono ancora acquisiti neppure qui da noi, ma almeno siamo qui a discutere, a confrontarci, mentre qualcuno guarda dall’alto in basso il migliaio di manifestanti di Milano che sarebbero, dice Santoro, servi della NATO, mentre la piazza, certamente più popolosa, di Roma sarebbe quella della “scintilla”! Allora parliamoci chiaro! Dietro questo (poco civile) confronto c’è la solita voglia di cambiare discorso, di mistificare i termini della questione, mettendo sullo stesso piano chi quegli ideali cerca con immani difficoltà ogni giorno di realizzarli e chi invece li ha calpestati per secoli, e tuttora li calpesta, in nome della più bieca supremazia imperiale. Chi crede davvero in quegli ideali non accetta di arrendersi alla sopraffazione, non li negozia per quieto vivere, rischia la vita per affermarli, come sta facendo il popolo ucraino. Tutto il resto non è Storia, è solo fuffa e propaganda.
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