Recentemente un uomo non particolarmente simpatico, e pure molto chiacchierato, come Gianni Infantino, presidente svizzero della FIFA, l’organizzazione che gestisce il calcio mondiale, ha fatto una considerazione sulla quale a mio parere vale la pena riflettere. Alle critiche rivolte alla FIFA di essere poco sensibile ai temi civili molto cari a noi democratici occidentali (e orientali assimilabili), ha risposto che la sua organizzazione è composta da 211 Stati (tutti quelli esistenti al mondo, in pratica) e di questi solo una sparuta minoranza, sia in numero che in popolazione, ha a cuore i temi delle libertà, dei diritti, di tutto quanto a noi sembra basilare ed irrinunciabile. Che piaccia o meno, questo è un dato di fatto: una larghissima maggioranza di Stati e di popolazione mondiale vive in regimi illiberali, spesso dispotici, violenti, nei quali le nostre belle e care libertà non sono tenute in conto alcuno. Vivono bene oppure male, sono più o meno ricchi, più o meno felici, ma la democrazia liberalsocialista, con libertà e welfare annessi, è merce molto rara, una roba da élite del mondo. Infantino ne deriva che la FIFA non può imporre a tutti i suoi partecipanti valori e modi di vita che sono prerogativa solo di una piccola parte del complessivo della sua organizzazione … difficile dargli torto. Ciononostante, a noi i modi di fare degli emiri, degli sceicchi, dei despoti, dei regimi totalitari, danno sui nervi e ci piace auspicare di poter diffondere i nostri valori a livello globale. Ma non si può … Allora dobbiamo prendere atto che siamo minoranza, che saremo forti e ricchi (come armamenti e come PIL non stiamo affatto messi male), ma il nostro peso nei consessi mondiali è quello che è. Aggiungiamo che la sfiga (e non solo la sfiga …, ma sarebbe un discorso molto lungo) vuole che una parte consistente del nostro PIL dipenda da risorse energetiche e materiali strategici che la natura ha depositato proprio in quei posti dove meno attecchiscono i valori “occidentali” col che siamo, piaccia o meno, costretti a mantenere e coltivare rapporti economici e politici con quelle realtà che giustamente tanto schifiamo. Per secoli la questione è stata affrontata in modo spiccio e brutale con il colonialismo (vado lì e mi prendo ciò che voglio …), poi, come direbbero i fini strateghi Meloni e Salvini, “la pacchia è finita” (per noi, stavolta!), e si sono dovuti trovare altri mezzi, tutti complicati, spesso compromettenti, anche eticamente discutibili, per sostenere il nostro evoluto (e dispendioso) stile di vita. Insomma, dobbiamo prendere atto senza tante sottigliezze che il mondo “occidentale” è parte piccola, anche se ricca e potente, ma pure molto poco autosufficiente, e che di trattare con regimi a dir poco antipatici oppure addirittura imbarazzanti abbiamo assoluto ed inderogabile bisogno. Lo disse molto chiaramente Mario Draghi quando diede, forse un po’ troppo ruvidamente, del “dittatore” al turco Erdogan, che aveva lasciato senza sedia la signora von der Leyen, Presidente della Commissione Europea. Disse: sono dittatori con i quali abbiamo bisogno di trattare. Papale papale. Erdogan non la prese molto bene, ma dovette fare buon viso a cattivo gioco. Ovvio che ci sono dei limiti alla realpolitik, e che quando un despota come Putin pensa di poter disporre del territorio di uno Stato confinante a suo piacimento, bisogna fare resistenza; ma vediamo quanto sia difficile tenere insieme valori etici e fabbisogni pratici … È duro il compito delle democrazie occidentali che, tra l’altro, non godono buona salute per le evidenti contraddizioni interne tra principi e valori e disponibilità concrete di benessere per tutti. Le disuguaglianze crescono, lo scontento pure, le tentazioni autoritarie sono sempre più difficili da controllare. Si rischia di espandere la già larga fetta di regimi illiberali: inutile ricordare cosa ha rischiato (e rischia ancora) l’America con Trump o il Brasile con Bolsonaro. L’Italia è già governata da una destra sulle cui credenziali non possiamo ancora mettere la mano sul fuoco, la Francia è scossa da tensioni mai viste, il blocco dei Paesi dell’est della UE è in evidente contrasto con il resto dell’Unione su temi di fondo. Serve tanto equilibrio, tanta prudenza ed altrettanta determinazione nel tenere la barra dritta e non lasciarsi trascinare dalle pulsioni del momento. Inutile spargere pessimismo ed allarmismo: è sempre meglio accendere una candela che imprecare contro il buio. E la candela è la presenza di una opposizione non pregiudiziale e ideologica, ma pragmatica e preparata tecnicamente ad affrontare le sfide sempre più complesse che abbiamo davanti. Serve a poco mobilitare le piazze (che tra l’altro hanno ben poca voglia di riempirsi, e ancora meno di affrontare complessi ragionamenti geopolitici), serve invece studiare, prepararsi, proporre, incalzare la maggioranza su argomenti concreti e comprensibili a tutti, o quasi … È un compito da élite? Certo, ma senza di quelle la Storia dove va? Dove è mai andata? Inutile fare i moralisti a buon mercato, indignandosi con chi ci vende il gas o le materie prime. L’Occidente deve vivere e dare continuo esempio della superiorità dei suoi modelli e stili di vita: è un processo lungo, ma inevitabile e senza alternative né scorciatoie. Abbiamo già sperimentato con molto poco successo cosa significa tentare di esportare la democrazia. La democrazia non si esporta, si conquista, con la fatica e spesso con il sangue. L’eroica resistenza ucraina e le lotte della gioventù in Iran ce lo ricordano ogni giorno. Noi presunti padri della civiltà democratica dobbiamo essere presenti con ogni tipo di supporto ed aiuto, ma alla fine i popoli si liberano da soli … o non si liberano. A casa nostra dobbiamo essere rigorosi, restare sempre attaccati alla concretezza della politica possibile, lasciando da parte sogni e nostalgie. Il compito di una sinistra democratica, liberalsocialista, non è quello di testimoniare ideali, ma quello di cambiare davvero il mondo, un passo alla volta, alla velocità permessa dalle condizioni date. Le fughe in avanti scaldano i cuori (forse), ma non incidono e spesso sono controproducenti. Vorrei essere molto chiaro: questo compito storico spetta al costituendo prossimo futuro partito riformista (direi meglio, futuro prossimo, più prossimo che si può …, ben oltre la Federazione) ed a quello che resterà del PD dopo il suo allucinante viaggio congressuale. Non è affatto chiaro quale sarà l’approdo di tutte le esplosive contraddizioni che da tempo lo stanno squassando, ma resta comunque intatta l’esigenza che portò alla sua fondazione nel 2008: rappresentare la società attiva e democratica, quella che rispetta le regole e non rinuncia a tenere insieme libertà e giustizia sociale, garante dei princìpi e dei valori di quello spicchio di mondo al quale siamo tutti fieri di appartenere. Speriamo che non si perdano nei fumi avvelenati dei risentimenti, delle gelosie, delle finte rifondazioni e del populismo. Dovremmo tutti considerare che la Storia, tra alti e bassi, si è sempre mossa nella direzione giusta, quella del progresso e dell’evoluzione, malgrado emiri, sceicchi, despoti e dittatori. Non perdiamo la capacità di guardare il bosco oltre che l’albero! È difficile, è sempre più difficile ma, se non lo facciamo noi, chi lo farà mai? Il bigotto ed asfittico provincialismo di Meloni, Salvini e sodali? Buon anno e buon futuro a tutti.
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