Qualche giorno fa mi sono avventurato a scrivere di questioni complicate, riguardanti la cosiddetta GPA (ovvero “gestazione per altri”, oppure “maternità surrogata”, o infine brutalmente “utero in affitto”). Il dibattito prosegue dappertutto (media, social, amici, compagni di partito, …), anche se oggettivamente la cosa in Italia riguarda solo poche centinaia di casi all’anno. È diventata una questione di principio … nel senso che il dibattito è stato sempre più caricato di significati ben oltre il ragionevole: per alcuni/e dietro ai dubbi, o alla condanna esplicita, della GPA ci sarebbe nascosta una voglia di sopraffazione liberticida che infierirebbe sull’insopprimibile sentimento genitoriale di alcune coppie (etero o omo che siano) di avere un bimbo. Ecco, il verbo “avere” ci deve far riflettere … Evoca possesso, acquisizione, è molto “materiale”: d’altronde in molte parti d’Italia, Piemonte compreso, al posto di partorire un figlio si dice comunemente “comprare” un figlio. Ricordo quanto, nei miei primi tempi a Torino, oltre cinquant’anni fa, questa espressione mi avesse colpito. Nel mio Abruzzo d’origine non l’avevo mai sentita … Tant’è, e se l’espressione dialettale è rimasta nel tempo, anche aldilà del suo significato letterale, essa dimostra davvero l’esistenza di un primordiale aspetto “mercantile” legato alla gravidanza. Oggi, laddove la GPA è consentita (una ventina di Paesi in tutto, tra cui alcuni Stati degli USA, del Canada, del Sud America, oltre alla Russia e all’Ucraina), questo è reale: si paga (a volte la GPA è consentita solo gratuitamente, ma bisogna crederci …) e si ottiene una gestazione con parto annesso e consegna del bambino. Impossibile non pensare ed essere colpiti da tutto l’armamentario conseguente (tariffe, garanzie, consegna, cautele, tracciabilità, …). Concludevo il mio articolo dicendo che vietare spesso favorisce la clandestinità e l’illegalità e che una società evoluta deve affrontare a viso aperto anche questioni così controverse e spinose. Nel dibattito di questi giorni sono comunque emerse alcune argomentazioni che mi hanno molto colpito: in particolare l’“antiproibizionismo” e l’insopprimibile desiderio genitoriale. Entrambe a me paiono decisamente fallaci. Quanto alla prima, parrebbe che un divieto, in particolare se legato ad un tema così sensibile come la maternità, risulti particolarmente antipatico ed invasivo. In realtà, la nostra società è basata su un’incredibile quantità di divieti, che ogni giorno tutti noi accettiamo, senza sentirci per questo repressi: è vietata la poligamia, l’incesto, il rapporto con minorenni, è vietato lo sfruttamento della prostituzione, è vietato il gioco d’azzardo, il furto, la truffa, il contrabbando, ed anche il fumo nei locali pubblici. È vietato andare in moto senza casco ed in auto senza le cinture, parcheggiare in seconda fila o sulle strisce pedonali, ecc. ecc. Pensateci solo un po’ e l’elenco diventerà lunghissimo … Dietro ognuno di questi divieti ci sono motivazioni non arbitrarie, ma a volte mediche, a volte tecniche, a volte morali, persino semplicemente convenzionali; possono mutare nel tempo (l’adulterio e l’aborto erano vietati, ora non più …), ma si può tranquillamente sostenere che il contratto sociale è basato su un numero elevatissimo di proibizioni che ci imponiamo reciprocamente e che accettiamo di buon grado. La proibizione della GPA è una delle tante e non può certamente essere considerata la più odiosa. Del tutto fuori luogo infine sono i paragoni con altre materie come le droghe leggere o l’alcool, ad esempio, per le quali la proibizione o ha fondate cause mediche o non ha ragione di esistere. Insomma, se la società giudica sconveniente il commercio delle gravidanze e lo vieta, non c’è nessun motivo per appellarsi alla difesa delle libertà. Si discuta nel merito, ma senza scomodare i sacri principi. Quanto all’insopprimibile desiderio genitoriale, mi chiedo perché sia così insopprimibile. Se sono nato basso e avrei voluto insopprimibilmente essere alto, non è che debba accettare di farmi stirare per crescere … Ho usato un esempio “assurdo” a bella posta, perché in molti altri casi riteniamo invece accettabile l’intervento chirurgico per modificare uno stato di natura: il trapianto dei capelli caduti, l’aumento del seno e di altri attributi sessuali, la chirurgia estetica in generale, interventi che non hanno alcuna esigenza medica ma solo motivazioni estetico-psicologiche. Solo che queste pratiche, a mio (e sottolineo mio) avviso deprecabili, non coinvolgono nessun altro oltre chi le fa. Se uno/a vuole farsi tatuare tutto il corpo, faccia pure! Al massimo ne risponderà a chi gli (o le) sta vicino, che potrebbe non gradire. Fatti loro! Supplire all’incapacità di procreare appaltando l’onere ad un’altra persona, seppure consenziente, è invece qualcosa che va nettamente aldilà e che coinvolge soprattutto (e non solo) un essere che non esiste e che viene creato “a sua insaputa” con questa pratica. Il bimbo nasce da una madre che gli viene tosto sostituita da un’altra donna, che si atteggerà a madre senza esserlo, senza avere avuto alcuna parte nel processo che lo ha portato al mondo. E allora, perché questo tipo di desiderio può diventare “insopprimibile”? Se la natura, o il caso, o il destino, ti ha portato quella limitazione, chi sei tu per aggirarla coinvolgendo un’altra donna e soprattutto un bimbo che si troverà, senza averlo voluto, due madri? Solo perché è tecnicamente possibile? Una volta, in modo decisamente più diretto, si appaltava anche l’atto sessuale … È difficile non considerare questo desiderio “insopprimibile” un puntiglio, un capriccio, una sfida alla realtà che, ripeto, non coinvolge solamente il soggetto del desiderio ma altri soggetti, generando in aggiunta non piccole conseguenze anche formali. Che fare, allora? Vietare tout court, normare in modo più o meno bizantino o ipocrita, fare finta di nulla e lasciar fare? Io credo che, come hanno fatto rimarcare in tanti, sia a prescindere preponderante l’interesse del bambino che, in ogni caso (comunque sia venuto al mondo), ha il diritto di avere una famiglia che lo assista, lo faccia crescere e lo educhi. La famiglia (etero o omo che sia) nella nostra società ha un ruolo centrale che non può essere compromesso dalle scelte anche avventurose che possono fare le coppie. Quindi nessun dubbio sulla registrazione dei bimbi, sulle modalità dell’adozione rapida, su tutto quanto serve a non creare difficoltà alla vita del bimbo. Sulla GPA in sé, o l’ONU (o struttura analoga) riesce ad omologare le norme in tutto il mondo (cosa francamente molto poco probabile) oppure ogni Stato farà per sé, vietando (come in Italia e buona parte della UE oggi), modulando, permettendo. Non è la soluzione ottimale? Può darsi ma, riconosciamolo, siamo pieni di soluzioni così così, e su argomenti simili l’unica guida che pare corretta non è quella dello scontro ideologico ma, come sempre, il buon senso ...
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