Giorni fa il solito Michele Serra, che contesto spesso e volentieri ma che mi piace leggere perché rifugge dalle banalità, constatando sconsolato che ovunque nel mondo occidentale le città sono di centrosinistra e le campagne sono di destra, invitava le sinistre a muoversi con decisione verso il contado per cercare di incontrare ed affrontare le problematiche che portano le persone colà residenti a votare per le destre, facendo spesso pendere la bilancia nazionale in quella direzione. Vaste programme, avrebbe detto il Generale. È talmente evidente la discrasia di orientamento politico tra città e campagna che nessun politico serio di centrosinistra può non averla notata e non averci dedicato più di qualche pensiero fugace. Malgrado ciò, in Italia, in Polonia, in Turchia, in Francia, in Germania, nel Regno Unito, ovunque lo schema si ripete: le città, con le loro mitiche ZTL, sono tendenzialmente progressiste, e quindi di centrosinistra, i contadi sono compattamente di destra, spesso anche estrema. La colpa di tale squilibrio non può a mio avviso essere imputata solo all’ignavia dei politici di sinistra, non importa se massimalisti o riformisti, o alla loro incapacità di parlare a quel mondo. C’è di più, c’è ben di più, e di più profondo. La battaglia per la conquista delle campagne si gioca a mio parere tutta su quella strana cosa, spesso indistinta ma pesante (una sorta di “materia oscura”, di cui misuriamo gli effetti anche se non la vediamo), che chiamiamo “cultura”, e in senso molto lato: si gioca sulla scuola, sullo studio, sulla conoscenza, sui libri, ma anche sulla televisione, su internet e qualsiasi altro mezzo di comunicazione, sull’abitudine alla socialità. Il localismo, contrapposto al globalismo, è spesso diffidenza verso ciò che non si conosce e quindi si teme. L’apertura verso il mondo, la curiosità su ciò che è diverso, la capacità di procurarsi strumenti di analisi non rozzi, la possibilità di accedere a pensieri anche contrastanti, insomma tutto quello che predispone la mente alla comprensione di quanto abbiamo intorno, tutto questo fa la differenza. E solo lo scambio libero di idee, di opinioni, la conoscenza di altri mondi e altre genti può formare menti aperte che non si rinchiudono nella grettezza del "localismo", dell’orticello, della tradizione autoctona. Non è solo attrezzarsi a rispondere ai bisogni specifici espressi, più o meno organicamente, da quelle realtà: non basta, anzi questo favorisce la demagogia della destra, quella pigrizia mentale che crea l’assistenzialismo, che dà risultati immediati, costa solo soldi pubblici (ammesso di averceli …) e lascia tutto com’è. Promuovere “cultura” che, ripeto, è una massa invisibile ma molto consistente, costa una fatica dell’anima, richiede tempi almeno medio-lunghi, pazienza, perseveranza, controllo continuo della validità delle azioni fatte, richiede esserci in modo strutturale. Richiede essere presenti laddove si scambiano idee, ci si confronta, si discute, dove si formano le opinioni, nella scuola e perfino in ogni pro-loco. Richiede un progetto che costruisca modernità e impresa dove spesso c’è solo tradizione e localismo. Non si tratta di urbanizzare le campagne, ma di urbanizzare le teste, laddove urbanizzare significa favorire scambi e mutuo arricchimento. Se il centrosinistra, o almeno parte di esso, non riesce a pensare ed organizzare questo progetto, sarà sempre subordinato al particolarismo, alla demagogia del populista di turno, alla conservazione di uno status quo che è solo apparentemente tranquillo, ma che conduce in rovina la democrazia. Ci si può, e ci si deve, sentire parte di una società organizzata anche in una malga in montagna o su un peschereccio al largo, basta essere capaci di leggere il mondo e non solo la propria realtà particolare. La politica deve quindi fornire non solo risposte di breve ma soprattutto preoccuparsi di integrare quelle realtà in un disegno complessivo del quale tutti devono sentirsi parte. Che sia complicato è certo, che ci siano scorciatoie ho forti dubbi. Al contadino polacco o ungherese, che ha come suo unico punto di riferimento culturale la chiesa cattolica, la parrocchia, bisogna dare la possibilità di conoscere altre realtà e altre culture. Immagino un Erasmus disegnato apposta per chi vive fuori dei centri urbani, oppure università e centri di specializzazione telematici che raggiungano con la necessaria infrastruttura anche i posti più isolati, oppure strumenti finanziari adatti allo sviluppo dell’imprenditoria del settore primario, insomma tutto quanto contribuisca a rompere l’isolamento ed avvicinarsi a quell’ideale di modernità che promuove lo sviluppo della democrazia. Nell’isolamento è difficile essere di sinistra e poi è la polis che ha generato la democrazia, non dimentichiamolo mai.
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