C’è un tormentone che gira gira e continua ad inquinare, a mio modesto parere, il dibattito politico riguardante il Terzo Polo (che anche senza il Calenda furioso esiste ancora in natura …!). Chissà che forma prenderà e come si chiamerà, ma l’esigenza di quel progetto politico resta intatta, malgrado le intemperanze e gli scatti di nervi. Non starò a descriverlo per l’ennesima volta, ma su un punto vorrei insistere, a costo di risultare pedante. Il polo riformista non dovrà essere né moderato né di centro, anche se dappertutto si legge e si dice che quello sarebbe il target individuato ed ineluttabile. Per quel che vale (poco o niente) non sono affatto d’accordo, anche se comprendo le esigenze comunicative di politici e media di utilizzare categorie conosciute, a cui s’è fatta l’abitudine e perciò non urticanti per alcuno. E si sa che moderati e centristi sono rassicuranti e non hanno mai fatto perdere il sonno a nessuno. Peccato però che ciò di cui l’Italia ha, e non da oggi, urgente bisogno, e che nessun populismo, comunque camuffato, potrà realizzare, è proprio una stagione di riforme profonde, incisive e per nulla tranquillizzanti per chi sguazza nello status quo, magari facendo finta di agitarsi tanto per il cambiamento. Cambiamento sì, ma con la solita logica del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla. No, non è quello che serve. Le riforme o cambiano il quadro o sono solo uno spreco di tempo e di risorse. E non è roba da moderati, centristi, pantofolai in genere. È roba forte, per spiriti forti, per stomaci forti. Si tratta quindi di ridefinire le categorie politiche: oggi quello che riconosciamo come destra e sinistra è in realtà un mischione di velleitarismo, di qualunquismo, di populismo, di protesta massimalista, di qua e di là. Un partito riformista si deve invece distinguere per i contenuti che propone e non può definirsi “di centro” per il semplice fatto che così facendo avallerebbe uno schema che invece vuole contestare. Dire “centro” vuol dire riconoscere una destra ed una sinistra “storiche”, che invece oggi hanno acquisito connotati spesso comuni e lontani dalle originali premesse ideali. Contro le riforme delle pensioni lottano uniti leghisti e sindacalisti “di sinistra”, qui come in Francia, dove si trovano in piazza gli Insoumises di Mélechon con i frontisti di Le Pen. Per non parlare della collocazione atlantista e conseguente posizione di sostegno alla resistenza ucraina nella guerra imperialista di Putin. O di un certo giustizialismo di facile presa. Tutti obbiettivi comuni ai populisti di vario colore. Ma si tratta di acqua passata, il tempo ha fatto giustizia degli schematismi legati alle ideologie ormai morte. Noi riformisti (io perlomeno …) sentiamo il bisogno di ridefinire il quadro, distinguendo tra chi vuole trasformare il Paese con i contenuti che spesso abbiamo ricordato e chi invece fa ammuina perché ha paura del cambiamento e finisce perciò per assumere posizioni reazionarie e conservatrici, sia a destra che a sinistra. Questo riformismo è la nuova sinistra, è la sinistra moderna del XXI secolo. Il resto sono chiacchiere da bar. A questo riformismo pragmatico e concreto si oppongono conservatori che temono le sfide del futuro e vorrebbero mantenere le categorie politiche collaudate che non provocano scossoni. Ma qui di scossoni ne servono tanti: come si cambia la Sanità senza scosse? Come si ricostruisce una scuola moderna ed efficiente senza scuotere dalle fondamenta le comode certezze dei sindacati degli insegnanti? Come si riforma un fisco antiquato ed iniquo per ridurre le enormi sacche di evasione e ridistribuirne più equamente il carico sui cittadini? Come ci si prepara alle ristrutturazione dettate dalla transizione energetica senza terremotare le infernali burocrazie di ogni livello istituzionale? Potrei andare avanti … Capisco che, detta così, sembra la Rivoluzione Francese, che uno poi si aspetta il Terrore e la ghigliottina, ma non è così. Ogni riformismo cambia le cose e i riformisti della nuova sinistra vogliono cambiarle nel senso di conciliare giustizia sociale e libertà individuali, mercato e welfare, merito e uguaglianza dei punti di partenza, diritti civili e rispetto per tutti, diritti sociali e doveri sociali, e via così. Si può, e si deve, fare. E se qualcuno si spaventa, bisogna essere pronti a rassicurarlo, spiegandogli che, nel mondo globalizzato delle Grandissime Potenze che si sta preparando, non c’è più spazio per il provincialismo ed il localismo un po’ beghino o per il sovranismo del “padroni a casa nostra”, che tanto piace a certe forze politiche. Questo io credo che serva al Paese. Non sono affatto sicuro che ci siano le condizioni per realizzarlo né che si possa effettivamente costruire un Partito con queste premesse e questi programmi, ma io ci credo lo stesso e voglio sperare che ci sia gente che come me pensa che sia possibile avviarsi in quella direzione, anche se la strada sarà lunga ed accidentata e i compagni di viaggio tutti da definire, sperando di non sbagliare. Non accetterò una qualifica di “centrista” senza far presente queste esigenze, né mi acconcerò a sentirmi classificare “moderato”. Riformista sì, riformista di sinistra pure, purché sia chiaro che non sono un nostalgico di “quel” sol dell’avvenire. Massimo rispetto per la Storia, che è anche la mia ma, come diceva il Poeta sessant’anni fa, “the times they are a-changin’”, i tempi stanno cambiando, sono già cambiati, che ci piaccia o meno. L’avvenire è già arrivato: ora spetta a noi accenderlo ed illuminarlo nel modo più civile, più equo, più libero.
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