“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” Quale giorno migliore del 1^ maggio per rileggere e commentare l’art. 4 della Costituzione? Tutto l’art. 4 però, primo e secondo comma, ché così è scritto il testo. Il diritto al lavoro è riconosciuto a tutti dalla Repubblica. Quindi tutti hanno il diritto di lavorare, a nessuno può essere impedito, visto che la stessa Repubblica è fondata sul lavoro (art.1), ovvero conta sulla volontà e sulla capacità dei singoli cittadini per il progresso materiale o spirituale della società. La stessa Repubblica promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto, ovvero fa sì che a nessuno sia impedito di lavorare, di contribuire al benessere di tutti, fa sì che tutti possano lavorare liberamente e senza vincoli di sorta, nell’ambito delle leggi vigenti. Il testo dell’articolo parla del soggetto del lavoro, ovvero del cittadino che partecipa al benessere comune. Ovviamente non parla dell’oggetto del lavoro, del lavoro in sé, dando per scontato che ogni lavoro è onorevole e proficuo purché svolto nel rispetto delle leggi. In altre parti si parla di lavoro subordinato, di impresa, di artigianato, persino di lavoro minorile, insomma di ogni tipo di attività che contribuisca al progresso materiale o spirituale della società. Si parla di tutela del lavoro, di formazione (art. 35), di retribuzioni (art. 36), di lavoro femminile (art. 37), di assistenza (art. 38), di sindacati e di imprese. Da nessuna parte però è scritto che sia compito o addirittura obbligo dello Stato procurare lavoro ai cittadini, né potrebbe esserlo, visto che il lavoro è libera espressione del singolo e nessuno, nemmeno la Repubblica, può costringerlo o forzarlo in alcun modo. La Repubblica promuove le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro, ovvero deve rimuovere eventuali intralci, deve far sì che nessuna attività legale possa essere ostacolata e deve mettere tutti nelle stesse condizioni di accedere al diritto al lavoro. Quindi tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori (art. 35). Insomma, per andare dritti al punto, in nessun modo lo Stato è responsabile del fatto che ci sia piena occupazione (o giù di lì), che tutti abbiano un lavoro, che tutti “debbano” lavorare. La Repubblica è sì fondata sul lavoro, ma non sulla coercizione al lavoro né tantomeno sulla garanzia della piena occupazione. A chiarire bene il concetto c’è infatti il secondo comma dell’art. 4, quello dove si parla del dovere di ogni cittadino di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione utile alla società. Dovere, non obbligo. Dovere che impegna la volontà del cittadino di rendersi utile al progresso materiale o spirituale della società. Detta un po’ grossolanamente, la Costituzione chiede espressamente che i cittadini si diano da fare per il proprio benessere e per quello comune, che si sforzino di emanciparsi, di prepararsi, di apprendere, di studiare, di cercare opportunità di lavoro, eventualmente di crearsele con la propria intelligenza ed abilità. Quindi lo Stato deve agire sulle condizioni generali che permettano ai cittadini di svolgere il proprio dovere: deve creare norme, strutture organizzate, condizioni economiche e finanziarie, perché ci possano essere opportunità di lavoro, per chi vuole esercitare il “dovere” di darsi da fare. Non può, se non nell’ambito del corretto funzionamento delle sue proprie strutture operative, agire come “datore di lavoro”, né può obbligare alcuno a farlo. Nessuno può essere obbligato a “dare lavoro”, come a nessuno può essere impedito di “creare lavoro”. In questo contesto a me pare quindi del tutto fuorviante ogni pretesa sindacale tendente a chiedere lavoro, a chicchessia, Stato o privati. È lo sviluppo economico, è il mercato, visto che siamo in un’economia di mercato (che può e deve essere temperata e regolata, ma che certamente non è centralizzata né pianificata dallo Stato come in Unione Sovietica) che deve garantire la dinamicità necessaria a che il maggior numero di cittadini abbia un’occupazione utile allo sviluppo collettivo. È l’impresa che crea opportunità di lavoro, e lo fa solo se esistono le condizioni per uno sviluppo economico; anche lo Stato può creare opportunità di lavoro, ma solo entro i limiti del corretto funzionamento delle sue strutture. Insomma, non è assumendo i mitici forestali calabresi e siciliani che lo Stato può affrontare il problema. Lo Stato può, in particolari condizioni di crisi o di emergenza, “scavare buche per poi riempirle”, come diceva John Maynard Keynes, ma questo non può e non deve essere un comportamento strutturale. Meglio è promuovere opere pubbliche di pubblica utilità, ma sempre nel quadro della compatibilità economica e finanziaria. È questo che i sindacati devono pretendere dal Governo: politica industriale, infrastrutture, formazione, e non lo si fa chiedendo di gonfiare a dismisura la spesa pubblica, ed il relativo debito, che davvero ci mette nelle mani di chi ci presta i soldi e giustamente li rivuole indietro, aumentati di un congruo tasso di interesse che copra il rischio. Chiedere lavoro e basta è solo populismo allo stato puro: procura applausi in piazza, ma non sposta i termini del problema. Oggi ci sono condizioni generali (apertura dei mercati, disponibilità finanziarie, dinamismo dell’economia) perché ci sia sviluppo: bisogna fare di tutto perché vengano sfruttate al meglio. L’assistenza va riservata a chi davvero non può concorrere al progresso materiale o spirituale della società. Questo dice la Costituzione, e questo è ciò che bisogna fare, senza troppe chiacchiere. Chiedere a sovranisti e populisti di farsene carico può risultare inutile, motivo in più per superare al più presto questa incresciosa svolta storica e avviare una vera stagione di riforme. Buon primo maggio a tutti! N.B.: prima che qualcuno mi accusi di voler fare il costituzionalista senza esserlo, tengo a precisare che nella vita, e chi mi conosce lo sa, io ho fatto l’ingegnere, il manager nell’industria, ora faccio il pensionato: quindi davvero non sono, né sono stato, un costituzionalista. Sono però, come tutti, un cittadino utente della Costituzione e, visto che la Costituzione non è stata scritta per i costituzionalisti ma per i cittadini tutti ed è per tutti vincolante, non ho remore nel leggerla e commentarla liberamente. Se sbaglio, qualcuno mi correggerà … |