Per millenni l’essere umano si è interrogato su come distinguere il vero dal falso. Di fronte a qualsiasi fenomeno, ci si interrogava (la curiosità è la costante fondamentale del carattere del sapiens …), si azzardavano risposte e si doveva decidere quale fosse la spiegazione vera e quali altre no. Un bel problema, usualmente risolto in modo molto poco elegante: vero era ciò che sosteneva il più potente. Punto. Faraone, re, gran sacerdote, oracolo, e poi papa, cardinali, gerarchia ecclesiastica varia, … Una cosa era vera se la sosteneva il più potente, il quale poteva (bontà sua!) riferirsi a tradizioni consolidate, a libri di saggezza come la Bibbia, a sapienti riconosciuti come Aristotele, Tolomeo o i Padri della Chiesa, o semplicemente al suo arbitrio. La cosa è andata avanti così per millenni, fino a quando qualcuno ha cominciato a pensare che doveva esistere un sistema più convincente e soprattutto più legato alla realtà. Ecco appunto: la realtà, l’esperienza diretta, l’esperimento e la misura, realizzabili da chiunque lo volesse. Per farla breve, uomini come Galilei e Spinoza, giusto quattrocento anni fa, cambiarono radicalmente l’approccio all’analisi della realtà, dando inizio ad un travolgente sviluppo dell’umanità stessa. Nulla è stato più come prima. In soli quattro secoli l’umanità è passata dal buio della superstizione e della ignoranza alla conquista della conoscenza ed alla modernità. Non tutto è andato bene nel frattempo, ma non c’è dubbio alcuno che il progresso sia stato tangibile e pure tumultuoso, in ogni ambito della vita umana. Spesso il progresso si è presentato in forme mai viste (l’invenzione della macchina a vapore o la scoperta e la diffusione dell’elettricità, o l’energia dell’atomo con le sue spaventose conseguenze, ma anche i vaccini, gli antibiotici, i trapianti, le cellule staminali, e via dicendo) ma, dopo un periodo di diffidenza, ciò che cambiava la vita inevitabilmente si affermava e diventava consueto. I luddisti nel primo Ottocento distruggevano i telai meccanici ritenuti portatori di miseria e ancora oggi non è difficile trovare approcci così poco illuminati al progresso scientifico e tecnologico. Le resistenze ancora forti ai vaccini di nuova generazione, agli OGM, al denaro elettronico, perfino al 5G nei cellulari, per quanto strumentalizzate a scopi politici, sono segno che il nuovo è spesso guardato con un sospetto misto a diffidenza se non paura. Capita anche il contrario, come ad esempio capitò con l’infatuazione (fortunatamente scemata) per l’omeopatia, oppure per l’agricoltura biodinamica, pratiche senza alcun fondamento scientifico, diventate note ed attraenti sotto la spinta di sapienti e pelose strategie di marketing. Siamo alle solite: serve un criterio per decidere cosa è vero e cosa non lo è; un criterio che da quattrocento anni è sempre lo stesso: il metodo scientifico, basato su prove, controprove, misure e verifiche sperimentali. Non importa chi enuncia una proposizione, importa il metodo con cui l’ha elaborata, formulata e sottoposta al vaglio di tutti quelli che di quell’argomento si occupano. Non conosciamo altro sistema: altrimenti ricadiamo nella superstizione, nel luddismo, nell’arbitrarietà. Nei giorni scorsi il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida (cognato della Presidente) ha presentato e fatto approvare in Senato un disegno di legge per mettere un freno allo sviluppo e alla crescita di mercato delle proteine alternative, vietando alle aziende italiane di sviluppare e commercializzare la cosiddetta carne coltivata. È un grave attacco ad una tecnologia che non prevede uccisione di animali, non richiede uso di antibiotici e altri farmaci, né produce tonnellate di deiezioni estremamente inquinanti. Tutte problematiche che invece sono connesse al settore zootecnico, soprattutto quello industriale, che con questa proposta viene apertamente favorito e sostenuto, a scapito della ricerca di alternative meno impattanti. Lo sviluppo della carne coltivata, in corso da tempo, con metodo scientifico, in numerose parti del mondo, si propone di offrire un’alternativa al consumo di carne bovina, non costituendone, se non in piccola parte, un sostitutivo, ma semmai un’integrazione, necessaria soprattutto nei territori ed a popolazioni per le quali il consumo di carne è molto problematico. Né vanno dimenticati i benefici ambientali che deriverebbero dalla diffusione di una tecnologia che risulta molto meno impattante dell’allevamento tradizionale, in specie quello industriale, in quanto a consumo di acqua, di suolo, di emissioni climalteranti. Impedire alla ricerca italiana di prendere parte attiva in promettenti sviluppi scientifici, tecnici, tecnologici ed infine industriali, in un settore come quello del food, cruciale nella nostra economia, costituirebbe un clamoroso autogol. Il Made in Italy è anche tecnologia, innovazione e ricerca, alle quali i riformisti devono contribuire con intelligenza e capacità di gestione, senza rinchiudersi in ridotte protezionistiche che rischiano di risultare passatiste ed anche autolesioniste. A fronte di inarrestabili (perché il progresso non si è mai fermato davanti a un decreto) sviluppi scientifici di tale portata il dovere dei riformisti è quello di favorirli e guidarli, non certo di proibirli. E poi, in un settore cruciale per l’umanità come quello dell’alimentazione, l’obbiettivo deve essere allargare l’offerta, non già restringerla. Naturalmente dovranno essere seguiti scrupolosamente tutti i passi necessari a valutare impatto, conseguenze, fattibilità tecnica industriale ed anche la convenienza economica, rispettando il principio di precauzione ed il metodo scientifico, ma lasciare ad altri queste attività aspettandone passivamente l’esito pare una scelta ai limiti del luddismo. Disponiamo di tutti gli strumenti per garantirci dai rischi di eventuali fughe in avanti: basta usarli con attenzione ed onestà intellettuale, senza cedere alle pressioni di lobbies che hanno il solo interesse di proteggere l’esistente. Sappiamo che dalle crisi alimentari, climatiche, ambientali non si esce stando fermi o peggio tornando indietro. Si esce guardando avanti, progettando il futuro, guidandolo e regolandolo. Tra dieci anni queste discussioni ci sembreranno preistoria. Spero che il passaggio del ddl alla Camera trovi l’opposizione ferma e convinta di tutti i riformisti. I riformisti non hanno paura del futuro.
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