“Fascista sionista!” “Fascista islamista!” Dal pogrom (cfr. Treccani – violenta sollevazione con massacri e saccheggi contro comunità ebraiche) di Hamas del 7 ottobre scorso, nel mondo ci si sta dando del fascista a vicenda, mentre è in corso una tragedia umana e politica di inaudita violenza. Si dà del fascista a chi condanna Israele: motivi storici evidenti e motivi che riconducono all’antisionismo ed anche all’antisemitismo, sentimenti mai scomparsi, che viaggiano come un fiume carsico sia nella destra che nella sinistra più o meno estrema (in UK Jeremy Corbyn, ex-capo del Labour, è stato alla fine allontanato, anche perché non riusciva a nascondere il suo antisemitismo …). Si dà del fascista a chi condanna Hamas, perché giustificherebbe la violenta reazione di Israele, addirittura un genocidio, che sta mettendo in ginocchio la Striscia di Gaza. Tutti fascisti, nessun fascista! Verrebbe da dire. E invece …! Forse la categoria usata non è la più adatta a spiegare la complessità di quello che avviene. Certo, il fascismo ed il nazismo hanno elevato a ragion di Stato l’eliminazione degli Ebrei e la Shoah resterà per sempre una delle pagine più infamanti e vergognose nella storia del genere umano. Ma è anche innegabile come regimi teoricamente di segno opposto (lo stalinismo) si siano macchiati di altrettanti efferati crimini sempre nei confronti degli Ebrei, colpevoli solo di essere riconoscibili, molto operosi, di non avere tanta voglia di mescolarsi con i gentili e molto gelosi delle loro tradizioni. Si può dire che l’atteggiamento di diffidenza, se non di aperta ostilità, verso l’ebraismo è purtroppo trasversale a molte ideologie novecentesche, e che comunque tutta la storia degli Ebrei, anche nei secoli precedenti, prima e dopo Cristo, sta lì a dimostrarlo. Più in generale, non solo i regimi politici, ma tutte le religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo, Islam) hanno sviluppato nei secoli una forte tendenza all’intolleranza reciproca, malgrado sia logicamente evidente che, se il Dio è unico, non può che essere lo stesso per tutti, e questa banale constatazione dovrebbe essere risolutiva di ogni controversia teologica. Perfino Papa Francesco però, che pure l’ha riproposta ad inizio del suo pontificato, non ha poi avuto la determinazione per costruirci sopra una nuova e completa teologia della tolleranza. Il tempo e l’operato degli ultimi Papi hanno comunque fortemente attenuato l’intolleranza dei Cattolici, così come la storia, la cultura e lo spirito critico hanno “laicizzato” gli Ebrei (almeno gli askenaziti). Nessuna significativa riflessione autocritica ha invece investito finora l’Islam, che ancora oggi resta potenzialmente molto insofferente verso gli altri monoteismi e in più radicalmente spaccato al suo interno tra sunniti e sciiti. È evidente che un Islam profondamente riformato potrebbe dare un contributo determinante al raggiungimento di un’equilibrata convivenza civile. Nessuno è perfetto quindi, e nessuno può chiamarsi fuori né dagli integralismi né dai fanatismi che hanno insanguinato la Storia per millenni e che continuano a produrre atrocità sempre più efferate. Le ideologie politiche hanno cinicamente sfruttato le frizioni già presenti, amplificandole e portandole a picchi di sempre maggiore ferocia. Ovviamente gli interessi economici e la volontà egemonica degli Stati hanno ulteriormente fomentato tutte le divergenze esistenti. E quindi? Dobbiamo assistere con fatalismo e rassegnazione alle esplosioni di violenza o cerchiamo una strada per una migliore convivenza civile? Sarebbe l’ora di sgomberare il campo di un macigno che sta diventando sempre più soverchiante. Sarebbe l’ora di una nuova laicità, che permetta la coesistenza di sensibilità e tradizioni diverse, in un modello di convivenza civile che non coinvolga le religioni. Attenzione, non sono le religioni in sé il problema, bensì l’uso politico che se ne fa. Il bisogno di spiritualità, di trascendenza, la speranza di un aldilà, sono esigenze che molti nutrono, che aiutano ad affrontare le difficoltà della vita: le religioni possono aiutare a soddisfare questa esigenza. Insomma, ognuno fa i conti con se stesso e crede a cosa desidera credere. Nemmeno la socialità delle religioni è un problema, perché esseri umani con un simil-sentire è normale che tendano ad aggregarsi e condividano fede ed esperienze. Il problema, l’enorme problema, è quando questa esigenza viene utilizzata come arma politica, come strumento di potere, come discriminante, come elemento di fedeltà cieca a qualcosa o qualcuno. Quando la fede religiosa, qualsiasi fede religiosa, diventa fedeltà ad una causa politica, ecco che il fanatismo, l’integralismo, la discriminazione del diverso scatenano le peggiori pulsioni dell’animo umano e provocano quello che la Storia ci ha purtroppo tramandato, dalle Guerre Sante alla Jihad, dalla Shoah al fanatismo di Al Qaeda, di Daesh, di Hamas, di Hezbollah, e così via. Sembrano ovvietà? Certamente lo sono, ma con queste ovvietà dobbiamo fare i conti, se vogliamo davvero fare qualche passo avanti verso una corretta convivenza civile. Nient'altro che “dare a Cesare ciò che è di Cesare …”, ma anche il principio calvinista di “libera Chiesa in libero Stato”, che Cavour aveva richiamato fin dalla proclamazione dell’Unità d’Italia, 162 anni fa. Nessuno allora gli diede dell’illuso, né del folle visionario. E proprio giorni fa il vicecancelliere tedesco Habeck ha ancora richiamato con forza quel principio: la tolleranza non può tollerare l’intolleranza religiosa. I tedeschi sentono il dovere storico di prendere posizione in proposito. Perché noi no? Perché non tutto il mondo occidentale? E perché non tutto il mondo? Invece di darci reciprocamente del fascista, non sarebbe meglio amare la vita e gestire gli Stati, lasciando la religione nell’ambito spirituale che le è proprio? Se Dio è uno, è lo stesso per tutti, anche per chi non ci crede. Ognuno lo preghi, lo veneri, lo brami, lo ignori o lo neghi del tutto, come vuole. La tolleranza è un dovere, l’intolleranza un delitto. La natura dell’essere umano fa sì che la pace in assoluto non possa esistere. Può esistere invece un congruo equilibrio di valori ed interessi, costruito sulla tolleranza e la laicità. In alternativa ci sono i regimi oppressivi, che impongono i loro valori con la forza: il tallone del più forte che schiaccia il più debole, e non si può chiamare pace. La politica serve per mantenere l’equilibrio, la guerra a volte è indispensabile per ristabilirlo. P.S.: questa è la mia newsletter n. 500. Sono davvero felice di dedicarla a questo tema così “alto” e difficile. Sono sicuro che anche tutti i miei pazienti e tolleranti lettori concorderanno.
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