Non si può parlare di violenza sulle donne, di patriarcato, di diritti acquisiti e negati, se non si parte da basi solide e non emotive. E la base più solida su cui poggiare ogni ragionamento non può che essere quella biologica e fisiologica. Nel senso che, se parliamo di uomini e donne, o meglio di maschi e femmine, non si può che prendere innanzitutto atto delle caratteristiche di cui la natura, ovvero l’evoluzione della specie, molto prima dell’organizzazione sociale e della cultura, ci ha fornito. Più la scienza progredisce, più risultano evidenti le differenze biologiche e fisiologiche tra i generi e, ciononostante (lo cito per esempio), solo lo 0,5% degli studi di neuroscienze riguardano il cervello femminile (TG Leonardo del 27/11), essendo tutto il rimanente concentrato sullo studio di cervelli maschili, come se il genere fosse indifferente e non valesse la pena di approfondire le differenze ... Anche la scienza medica, con tutta evidenza, ha i suoi problemi con la parità e preferisce semplificare … Ciononostante è esperienza comune ed indiscutibile che fin dalle origini della specie, in ogni tempo e ad ogni latitudine, si è venuta a creare e si è consolidata una distinzione di ruoli, di compiti, di posizione sociale che da quelle differenza derivava direttamente. Il maschio forte e muscoloso procura il cibo e difende il nucleo sociale dalle minacce esterne, la femmina, dotata di caratteristiche fisiche diverse e specifiche, porta le gravidanze, partorisce, cura e alleva la prole. Per millenni, e sotto ogni latitudine, questa è stata la regola indiscussa. Il diritto romano prevedeva la “patria potestas”, il diritto italiano prevedeva matrimonio riparatore, delitto d’onore, adulterio e simili assurdità fino a pochi decenni fa. Il diritto di voto, le donne in Italia lo hanno esercitato per la prima volta il 2 giugno 1946, nel referendum monarchia-repubblica. Con poche e luminose eccezioni (da Ipazia ad Artemisia Gentileschi, da madame Curie a Rita Levi Montalcini), la Storia è sempre stata la storia degli uomini, cui al massimo qualche donna di particolare peculiarità forniva supporto. Questo per millenni. Ed è da appena poco più di un secolo che il mondo delle donne ha finalmente preso corpo e visibilità autonome, tra mille difficoltà e furibonde resistenze di tutti gli ambienti maschili, in ogni continente, in ogni cultura e religione, praticamente senza esclusione alcuna. E solo in Europa e nel mondo che chiamiamo occidentale si sono visti risultati visibili e concreti. Altrove …, non ne parliamo … Ancora oggi si muore per un velo portato male o viene negata la formazione oltre il livello elementare. In particolare nel secondo dopoguerra e segnatamente dopo il Sessantotto, la trasformazione dei costumi e delle norme è diventata addirittura tumultuosa, aprendo ogni porta, almeno formalmente, senza distinzione di generi. In Italia fino agli anni Sessanta le donne non potevano accedere alla magistratura, oggi ne costituiscono la netta maggioranza. E così per l’esercito, le professioni, la ricerca, la politica, la diplomazia, i consigli di amministrazione, …, le barriere sono, ripeto, almeno formalmente, tutte crollate. Sulla sostanza della parità c’è comunque ancora moltissimo da fare, dal gap retributivo alla concretezza delle pari opportunità, ma almeno ormai nessuno, se non qualche patetico relitto di altri tempi, che vuole farsi notare, ha obiezioni di principio in merito. È stata una evoluzione, una vera rivoluzione, rapidissima, fulminea, se pensiamo ai millenni precedenti. Ed ovviamente ha lasciato, e ancora lascia, strascichi, spesso avvelenati. Nelle consuetudini, nei modelli sociali, nei comportamenti quotidiani, il retaggio millenario è rimasto, sepolto sotto una razionalizzazione spesso solo superficiale, e di tanto in tanto affiora, in modo a volte più o meno leggero, a volte in modo esplosivo e bestiale. È come un cancro, sopito, latente, soffocato, ma sempre presente: un pezzo di noi, di tutti noi, che non è sparito, che forse non sparirà mai. Questa perversa idea del possesso, del totale controllo, della donna da parte dell’uomo viene da così lontano ed è talmente radicata dentro la nostra psiche che, in certe condizioni e su taluni soggetti, produce gli effetti che troviamo nella cronaca nera: un numero di femminicidi che non scende e una pluralità di episodi di violenza che solo per poco non diventano femminicidi, ma che testimoniano il persistere di comportamenti inaccettabili e pericolosi. Nessuno può dirsi davvero immune a questo tarlo, a questo cancro, neanche le donne che, per millenni, sono state “invitate” (leggi costrette) a “stare al loro posto”. Fior di psicologi si sono esercitati nel descrivere i meccanismi che si mettono in moto in questi casi, ma è innegabile che non si può banalizzare riportando tutto ad un generico “patriarcato”, che dice tutto e niente. Tutte le società umane sono state organizzate sulla non parità tra i sessi e, adesso che abbiamo (non tutti) capito che bisogna cambiare, non bastano leggi severe e pene esemplari. O qualcuno pensa che una pena più severa avrebbe fermato la mano e soprattutto la mente di Filippo Turetta? Non scherziamo … Ciononostante, servono leggi, pene, servizi sociali, formazione, conoscenza, informazione, tutto quello che fa delle nostre società delle società civili; serve parlarne, serve prendere coscienza, ma serve anche restare lucidi e non farsi trascinare dall’onda emotiva. Così come abbiamo cambiato tanto negli ultimi decenni, così dobbiamo continuare a cambiare, senza stancarci, ma anche senza illuderci che il fenomeno possa essere superato per sempre ope legis. Millenni di storia non si cancellano con inasprimenti delle pene o con un’ora di educazione sentimentale nelle scuole, ma ciononostante serve anche quello, purché non ci si accontenti e non si riduca tutto a polemiche momentanee, condotte sulla base di un’emozione che poi si spegne in fretta, almeno fino al prossimo fatto di sangue (ché poi non sempre è il sangue a segnare la violenza …). Siamo cambiati, almeno qui in occidente, e dobbiamo continuare a cambiare, giorno dopo giorno, con pazienza e determinazione, senza cedimenti e senza inutili anatemi. Dobbiamo costruire una nuova abitudine mentale, interiorizzare nuovi modelli di comportamento, e nel frattempo predisporre il complesso normativo adeguato. Ce la faremo? La Storia ci consente di non disperare, ma non dobbiamo permettere la radicalizzazione dei conflitti, che è esattamente il contrario di quello che serve. Siamo fatti per convivere, possibilmente in armonia: non c'è alternativa.
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