Un diamante è per sempre, diceva un famoso slogan dei gioiellieri De Beers (e, al plurale, anche un film di 007, con omonima colonna sonora di John Barry e Shirley Bassey …). La democrazia invece no. Non suoni strano né blasfemo l’accostamento: la democrazia è davvero un diamante nella storia della umanità. Dal tempo di Pericle ha sempre condotto le società che l’hanno adottata alla libertà, alla emancipazione, all’egemonia culturale, al successo, ma si è sempre dimostrata fragile e quindi caduca, non dura e perenne come il diamante. Eppure vale anche più del diamante. La sua idea di base, che una società organizzata funzioni meglio se i “cittadini”, non “gente” o popolo indistinto, ma “persone” qualificate come appartenenti a quella società, tutti con la stessa dignità nei confronti della struttura sociale, tutti con gli stessi diritti e gli stessi doveri, non uguali ma “pari”, concorrono alla gestione dei problemi che il vivere associato comporta e si dotano di strumenti adatti a farlo, è semplicemente vincente; è superiore a tutte le altre forme di organizzazione della società. La Storia lo ha dimostrato in tutti i modi, in oltre due millenni. Ma allora perché non è diventato lo standard assoluto? Perché è così facilmente corruttibile e deteriorabile? Perché è continuamente sotto attacco? Nella scienza il metodo scientifico, da Galileo in avanti, è presto diventato l’unico metodo seguito ed accettato da tutti, ha superato le rivoluzioni di Copernico, di Newton, di Einstein, della quantistica, shock formidabili che ancora oggi lo mettono a dura prova. Ma resiste. Perché? È applicato da occidentali, da orientali, da laici e credenti, da cattolici e musulmani, da confuciani ed ebrei, in regimi dittatoriali, liberi e semi-liberi. Nessuno (almeno finora) si sogna di metterlo in discussione (a parte il folklore di terrapiattisti, no-vax, omeopati e biodinamici steineriani). La democrazia, che è nata prima ma si è imposta dopo, suscita invece diffidenza, a volte repulsione, o vero fastidio, fino al rigetto, allo stravolgimento dei suoi principi di base. Interi popoli ne fanno volentieri a meno o si accontentano di brutte copie, forse accattivanti ma false. Perché? Perché tanta apparente irrazionalità? Forse il problema è proprio nella razionalità: la scienza ha sempre usato il ragionamento, la logica, anche prima che fosse canonizzato il “metodo”. La speculazione intellettuale ha sempre fatto affidamento sulla ragione, su ciò che si capisce e si può spiegare usando gli strumenti del ragionamento. Maestri di logica e raffinati retori hanno da sempre spinto al limite le capacità del nostro cervello. I risultati non sempre sono stati apprezzabili, ma pensatori come Epicuro, Lucrezio, Spinoza, hanno lasciato segni incancellabili nella storia del progresso umano. Galileo mise il sigillo e canonizzò l’uso razionale del ragionamento, applicandolo allo studio della natura, alla scienza. E da allora l’umanità, abbandonando pratiche supportate solo da superstizione, tradizione e superficiale religiosità, ha cambiato marcia ed ha acquistato una velocità impressionante, sviluppando enormi capacità di emancipazione. Non tutto è andato per il verso giusto, ma con le Rivoluzioni del Settecento, e con l’affermazione dell'economia di mercato, sembrava che anche nell’organizzazione sociale un metodo potesse essere condiviso e standardizzato. Il metodo democratico moderno, nato da quelle esperienze, pareva avere stabilito un modello. Cosa poteva esserci di meglio che chiamare tutti i cittadini alla gestione della cosa pubblica attraverso le consultazioni elettorali, estese fino al suffragio universale, sancire la separazione dei poteri tra chi fa le leggi, chi amministra e chi le fa applicare, il principio di delega (revocabile con regole certe) verso i rappresentanti dei cittadini nelle istituzioni, le Costituzioni scritte e condivise da larghissime maggioranze? E poi la tassazione proporzionale e progressiva, in ultimo il welfare, … La strada pareva segnata. E invece non lo era. Qualcuno si mise persino in mente di esportare il modello con la forza: un pericoloso escamotage per mascherare ben più prosaiche mire espansionistiche; altri ormai sostengono apertamente che la democrazia “occidentale” sia morta e che sul campo resti solo più quella finta, ovvero autoritaria, autoreferenziale, sovranista e populista, un nome senza sostanza. Purtroppo l’economia di mercato, il cui modello è davvero trasversale ed è universalmente accettato e che pareva inscindibile dalla forma democratica, pare invece funzionare anche con quei poveri surrogati di democrazia: interi continenti hanno raggiunto un relativo benessere con il commercio mondiale, pur con sistemi sociali rudimentali, approssimativi, ma evidentemente sufficienti, almeno per ora, alle esigenze di sviluppo di quelle popolazioni. Cinesi, indiani, arabi, persiani, turchi, … sono miliardi di persone, popoli con lunghe e robustissime tradizioni storiche e culturali, sembrano apprezzare molto le loro democrature, finte democrazie semi-dittatoriali, e non sembrano lamentarsene nemmeno un po’. I russi, poi, mantengono in piedi un sistema sostanzialmente zarista, votato all’espansionismo territoriale, e non sembrano affatto pronti né disposti a cambiarlo. Le conseguenze sono tragicamente evidenti. Insomma, questo nostro sistema democratico, che doveva essere quasi perfetto ed universale, pare al momento relegato ad una piccola percentuale di mondo (sì e no un miliardo di persone su quasi otto …) ed in più è continuamente minacciato, tanto da perdere in apparenza terreno rapidamente. L’esperienza di Trump negli USA, non ancora conclusa malgrado l’evidente non democraticità e pericolosità sociale del soggetto, testimonia che non possiamo rilassarci. In Europa, importanti forze politiche, alcune al governo, non nascondono un’esplicita propensione per quel modello. Dobbiamo rassegnarci? È ineludibile la trasformazione in senso autoritario del sistema democratico che pure ha cambiato il mondo? È evidente che bisogna fare qualcosa, che bisogna intervenire aggiornandolo, che bisogna cercare e trovare gli strumenti giusti per adattarlo ai tempi mutati, alle nuove tecnologie, alle nuove sensibilità. Arroccarsi su de Tocqueville di certo non basta. Il mondo va avanti, cambia a velocità impressionante e noi democratici dobbiamo accettare la sfida e rilanciare. Può darsi che alla lunga le popolazioni oggi “poco democratiche” (come i “poco ricchi” di Checco Zalone …) possano diventare più esigenti ed evolversi, ma il tempo potrebbe essere troppo lungo e persino giocare a sfavore. Dobbiamo per prima cosa rafforzarci noi: fare muro contro i nemici interni, elaborare strumenti più efficaci per rispondere con rapidità alle esigenze cambiate, ragionare senza troppi vincoli su cosa serva davvero per costruire una democrazia felice e robusta. Se la democrazia è legata alla razionalità, bisogna sviluppare l’istruzione, la formazione all’uso degli strumenti logici, educare al pensiero ed alla libertà, prosciugare le sacche di ingiustizia e di emarginazione. Bisogna coinvolgere i cittadini, evitare che si trasformino in automi dediti solo al consumo, bisogna eliminare le inefficienze e le lungaggini burocratiche che rendono il sistema repellente e nemico, bisogna lasciare che la libera creatività possa esprimersi con l’unico vincolo di non nuocere agli altri ed all’ambiente. Sono tutte cose molto complicate e soprattutto lunghe, non mi illudo che ci siano ricette di pronta applicazione. Cionondimeno, dovremmo esplicitare il più possibile i rischi che corriamo e le opportunità che dobbiamo cogliere, coinvolgere il maggior numero di persone in questo processo, evitare di coltivarlo in ambiti ristretti ed elitari. È un lavoro immane, ma ne va della nostra civiltà: le minacce non sono affatto trascurabili. Siamo in pochi e tali resteremo, almeno per un po’, meglio non illudersi. Gli strumenti per affrontare la sfida li abbiamo: soprattutto prendiamo in fretta piena coscienza del pericolo … insomma, non solo la democrazia non è per sempre, ma forse non è neppure per tutti … proprio come i diamanti.
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