Non so, e neppure mi interessa granché sapere, se e come la signora Ferragni abbia commesso irregolarità o addirittura reati con i suoi pandori, uova di Pasqua o qualsiasi altro prodotto da lei sponsorizzato. Se ne occuperà chi di dovere. Né sono interessato a condannare a priori forme di business che ai nostri tempi, ma anche molto prima, si basano sull’immaterialità di un rapporto di fiducia/sudditanza tra personaggi più o meno famosi e larghe platee di consumatori, più o meno avvertiti. Diciamo che sono sottoprodotti di un’economia di mercato che fortunatamente ha ben altri vantaggi sociali e che permette lo sviluppo e l’emancipazione di tutte (nessuna esclusa) le società moderne. Inutile ricordare i fallimenti colossali di eventuali improbabili alternative … Mi interessa invece fare qualche considerazione sul pubblico, tutti noi (intesi collettivamente …) che dimostriamo di essere disposti ad appaltare a perfetti sconosciuti, di nulla dotati se non di tanta spregiudicatezza, le nostre scelte commerciali, ovvero l’impiego dei nostri soldi. Si danno casi diversi: se Jannick Sinner mette la sua faccia sul parmigiano, o su una carta di credito, o se George Clooney la lega ad un caffè, quello su cui essi fanno leva è la loro notevolissima notorietà, una notorietà basata su un particolare talento, di tennista vincitore di coppe e tornei, o di attore e regista di mille film, pluripremiato per le indubbie qualità artistiche. Lo stesso dicasi per un direttore d’orchestra (meglio se una direttrice) o uno chef molto quotato. Ovvero, il rapporto con il pubblico si stabilisce prima con una performance di qualche rilievo, poi lo si trasporta sul caffè o sulla carta di credito. Il messaggio è: tu pubblico ammiri quello che faccio, mi apprezzi per le mie qualità, e allora lascia che ti consigli un prodotto. Normalmente si tratta di un prodotto con pretese (almeno presunte) di eccellenza. Il caso degli influencer è però molto diverso: si tratta di persone che non hanno qualità specifiche, non hanno dimostrato una qualche eccellenza in qualsivoglia campo. Hanno solo promosso se stessi come promotori di qualcosa. È una tautologia davvero interessante: sono famoso perché ho deciso che voglio esserlo e sono tanto sfrontato da dare la mia notorietà ed il mio potere di persuasione per scontati. Chiara Ferragni, e mille altre/i come lei (ma lei con numeri certamente eccezionali), non canta, non balla, non suona, non recita, non scrive, non compete in alcuno sport, non esprime idee particolarmente interessanti o men che meno originali (la sua presenza a Sanremo 2023 si è estrinsecata in uno slogan – pensati libera – che qualsiasi donna con un normale livello di coscienza sociale avrebbe potuto fare suo), è sposata con un presunto artista che è palesemente subornato dalla personalità della moglie, insomma non possiede null’altro che un aspetto gradevole (anche se non certamente eccezionale … tutti noi potremmo elencare decine di donne più belle, e sicuramente più brave in qualcosa di lei) nonché la sua spiccata propensione agli affari, peraltro del tutto immateriali, ed alla valorizzazione di se stessa come “immagine di successo”. Ciononostante, milioni di persone la considerano un esempio da seguire, le affidano le scelte commerciali di millanta prodotti, le credono se racconta che un certo prodotto genera beneficenza (anche se poi scopriamo che non è vero). Non senza ragione la mitica Wanna Marchi rivendica una sorta di primogenitura nel “mestiere”, fin dagli anni Ottanta, e fa bene anche a ricordare che il suo rapporto con il vasto pubblico che la seguiva non aveva alcuna altra pretesa se non propinare illusioni a persone particolarmente, diciamo così, “ricettive”. Con la sua rinomata ed esclusiva finezza di gentildonna, ha recentemente ricordato di avere sempre sostenuto che “i coglioni, è giusto che siano inc**ati”. Certamente i modi della signora Marchi non sono paragonabili per urbanità a quelli della signora Ferragni di cashmere vestita, ma in comune le due signore hanno un rapporto quasi fideistico con i loro seguaci. E quelli di un/a influencer nella rete sono per ordini grandezza superiori a quelli di una televenditrice di qualche decennio fa. Cosa ne traiamo? Che più tempo passa, e più gli strumenti tecnologici si evolvono, tanto più diventa potente il potere di suggestione e si abbattono le difese della nostra indipendenza di giudizio. Il fenomeno non è disgiunto dal parallelo indebolimento delle nostre democrazie in favore di forme più ruvide, più invasive, che affidano poteri in modo sostanzialmente acritico, alla fine meno rispettose della dignità delle persone, forme che sempre più diventano attrattive e popolari. Esagero? Non credo, perché quello degli/delle influencer sta diventando un business enorme, terribilmente invasivo, che non può essere trascurato e dal quale è difficile sfuggire. Un business anche estremamente volatile perché, non essendo la notorietà basata su performance concrete (vittorie sportive, opere artistiche, successi scientifici, …), basta poco perché esso venga travolto in un meccanismo di distruzione, che è parente stretto del meccanismo di costruzione del consenso. Le barriere d’ingresso sono peraltro bassissime (basta uno smartphone e tanta faccia tosta), per cui il turnover nel settore è rapidissimo e, se mai la signora Ferragni dovesse cadere in disgrazia, altre cento sarebbero pronte a rilevare i suoi follower, ovvero persone che “seguono” qualcuno che riesce ad attrarre acriticamente la loro attenzione. Insomma, questo sottoprodotto così invasivo dell’economia di mercato si rivela a mio parere pericoloso per la tenuta culturale delle democrazie occidentali. Meriterebbe di essere analizzato nel dettaglio, monitorato attentamente, e andrebbero elaborate opportune strategie di contenimento, alle quali ad esempio la scuola, per non dire la famiglia, non può dichiararsi estranea. La scuola insegna (dovrebbe insegnare) a capire ed ammirare l’eccezionalità in ogni campo, dovrebbe anzi innescare meccanismi virtuosi di emulazione. E non mi pare un grosso problema se l’ammirazione, in una economia di mercato, possa essere utilizzata anche per scopi commerciali. Quello che mi pare invece preoccupante è che lo stesso fenomeno si produca, persino ingigantito, a fronte di nulla. Sarò un irriducibile vecchio boomer, ma la cosa mi pare profondamente diseducativa e pericolosa. Con tutto il rispetto, è differente che un giovane prenda esempio da Sinner, Messi, Clooney, Fiorello, o chiunque altro rappresenti un’eccellenza, oppure che si modelli su una Chiara Ferragni, che di eccellente ha solo la sua formidabile capacità di sfruttare la sua persona, la sua vita, la sua famiglia. Non è la stessa cosa … Temo purtroppo che queste siano tutte parole sprecate, visto il vento che tira, ma se la nostra Presidente del Consiglio, con tutta la sua improbabile corte dei miracoli, adotta le stesse strategie vincenti, comportandosi come una influencer persino in Parlamento, le conseguenze vanno molto aldilà del successo o meno di un pandoro o di uno shampoo. Purtroppo entrano in gioco i beni più grandi che abbiamo: la democrazia, l’indipendenza di giudizio, la dignità di cittadini. E questa non è una esercitazione. Buone feste a tutti.
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