In questi ormai lunghi mesi trascorsi dal sanguinario pogrom di Hamas in Israele ed a proposito della conseguente violenta reazione israeliana, con la caccia spietata ai terroristi, spesso celati dietro scudi umani, non importa se israeliani rapiti nel corso del raid o inermi palestinesi, compresi medici e infermieri, si è molto parlato dell’uso della violenza, del diritto di ottenere giustizia, delle modalità di riparazione dei danni subiti, insomma dei conflitti che si generano a partire da un’aggressione. Qualcuno ha anche fatto paralleli arditi con la reazione del cittadino che si fa giustizia da solo nei confronti di un aggressore, ladro o rapinatore che sia. Si dice con pelosa ipocrisia: come si può condannare il famoso tabaccaio, o gioielliere, che si fa giustiziere, e giustificare invece la reazione oggettivamente molto violenta di Israele? Paradossalmente, sia per il sedicente pacifista di sinistra che per il leghista o fratellista d’Italia, non c’è differenza, solo che l’uno condanna entrambi, l’altro approva e giustifica entrambi (più il gioielliere che Israele, a dire il vero …). Non sono diverse le considerazioni per l’aggressione russa all’Ucraina, e per la conseguente strenua difesa e controffensiva messe in atto dalle forze di Kijev. Violenza contro violenza, botta e risposta. Dov’è la differenza? Forse è il caso di operare una qualche distinzione, sfidando la banalità. Il rifiuto tout court della violenza è certamente una bella cosa, che scalda il cuore e garantisce facili consensi, ma la realtà è che bisogna tenere in debita considerazione il contesto delle azioni e delle reazioni, come pure la simmetria delle forze in campo, o la mancanza di simmetria. Nel rapporto tra il rapinatore ed il cittadino è evidente lo squilibrio di forze tra l’uno e l’altro, tra l’aggressore e l’aggredito e, se si condanna l’uso improprio della forza da parte di quest’ultimo, è perché l’organizzazione sociale ha convenuto che la difesa del cittadino è demandata alle forze dell’ordine che, non a caso, hanno l’esclusiva nell’uso delle armi. Per evitare il Far West in cui tutti sparano in libertà, si conviene di fare ricorso ad una forza terza ed istituzionale, che difende l’aggredito e persegue l’aggressore, anche con la violenza, ma nell’ambito della legge. Il cittadino dispone insomma di un servizio pubblico per la sua protezione e, salvo i casi previsti dalla legge, è tenuto ad avvalersene, evitando di fare da solo. Non c’entra il pacifismo né il rifiuto della violenza: si tratta di mantenere i ruoli che ci siamo assegnati all’interno della società. Non ci si fa giustizia da soli perché c’è chi è preposto al compito. Non è qui attinente alcuna considerazione sul “come” il compito venga svolto: è un altro discorso ... Se passiamo però ai casi di aggressioni non su singoli individui ma su intere comunità, la faccenda assume contorni affatto diversi. Se ti aggredisce Putin con esercito e carri armati, cosa fai, chiami la polizia? Esiste una polizia sovranazionale? No, esistono le alleanze, come la NATO, che funzionano sulla base di trattati internazionali, mentre sull’irrilevanza dell’ONU stenderei un velo pietoso … Esistono i rapporti internazionali, le affinità politiche e culturali, in base alle quali una comunità può chiedere aiuto, ma la reazione all’aggressione non può che essere quella diretta di tutta la comunità aggredita, che risponde con il massimo dell’efficacia possibile, pena il suo annichilimento. Ancora, se ti aggredisce un gruppo ben organizzato (praticamente un esercito) di terroristi, chi ti protegge, se non la difesa nazionale? Non è certo un problema di ordine pubblico il massacro di centinaia e centinaia di civili inermi ad un rave party o alla torri gemelle, al Pentagono, a Parigi, a Nizza o a Berlino. Di nuovo, puoi rivolgerti agli alleati, puoi cercare il loro aiuto e la loro solidarietà, ma la reazione non può che essere di chi ha subito l’aggressione, e deve essere efficace, pena lo sconvolgimento dell’ordine sociale. Nei rapporti tra Stati o con grandi organizzazioni (come quelle del terrorismo internazionale) non può esserci intermediario: lo scontro è diretto e purtroppo cruento. Da che mondo è mondo si chiama “guerra”. Ovviamente ciò non esclude la diplomazia, le trattative, l’intelligence, tutto quanto razionalmente possibile, ma la difesa nazionale non può essere delegata ad altri se non allo Stato stesso. Solo una pelosa ipocrisia può confondere la reazione (impropria) del tabaccaio aggredito con quella di un popolo aggredito da un altro Stato o da gruppi organizzati di terroristi. La rozzezza o la naïveté di sovranisti e pacifisti non fa distinzioni, ed entrambe minano alla base le regole di convivenza pacifica tra le comunità e all’interno delle comunità, rifiutando genericamente ed ideologicamente il ricorso alla violenza. Esattamente come risulta estremamente semplicistico ricondurre le violenze alle pressioni ed agli interessi dei fabbricanti di armi. Certo, questi fanno soldi a palate quando ci si spara e ci si ammazza, è evidente, ma ci si ammazzava anche quando le armi le fabbricavano valenti artigiani, dall’era degli Egizi fino alla rivoluzione industriale. Non credo che Annibale fosse sponsorizzato dai fabbricanti di daghe tunisini né Attila dalla lobby degli acciaieri tedeschi. La violenza fa sempre schifo, la guerra è sempre orrenda, ma purtroppo c’è sempre uno che comincia, e non si può fare finta di niente. Questo dovrebbe essere sufficiente per stroncare qualsiasi polemica in corso. Se due persone si picchiano per strada, puoi cercare di separarle o chiamare qualcuno che lo faccia. Se due comunità entrano in conflitto tra di loro, quella è guerra. E purtroppo la guerra va combattuta, se non vuoi soccombere all’aggressore. La cultura, la storia, la politica aiutano a distinguere tra l’aggressore e l’aggredito e permettono di decidere da che parte stare, ma quando uno scontro comincia, normalmente non finisce da solo, salvo che uno dei due non soccomba o che l'altro non arresti l'aggressione. Allora, invece di farla tanto lunga, decidiamoci: accettiamo che soccombano gli Ucraini o vogliamo che Putin rinunci all’aggressione? E ancora, accettiamo che Hamas provi ad uccidere tutti gli Ebrei, come gridavano i terroristi durante il raid di ottobre (evidente volontà di genocidio nazista), o vogliamo che Israele continui ad esistere, magari con un Governo migliore di questo? Se non ci è chiaro, ogni discorso sulla pace è ipocrita, mistificante e drammaticamente inutile, anche se a farlo è il Papa. O meglio, è utile all’aggressore di turno, russo o Hamas che sia, che ovviamente non si fa scrupoli morali di sorta e procede spedito per la sua sporca via, calpestando i diritti dei popoli che, non dimentichiamolo mai, sono frutto di secoli di lotte, di dolore, di morti e distruzioni. Ma ogni volta sembra di dover cominciare da capo …
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