Un controverso articolo di Carlin Petrini su “La Stampa”, erroneamente titolato “La carne sintetica salverà il pianeta”, è stato successivamente corretto e precisato con un lunga intervista allo stesso Petrini, nella quale egli sostiene invece di non essere affatto favorevole all’utilizzo della carne coltivata (espressione molto più calzante che sintetica) per l’alimentazione umana, per motivi di precauzione, di costi eccessivi, di eccessivo dispendio energetico e in nome della difesa dei piccoli allevatori dallo strapotere delle solite arcigne multinazionali. Petrini però si dichiara convintamente favorevole alla ricerca scientifica nel settore. Meno male. L’argomento è molto controverso e mi dispiace dover rilevare come lo stesso Petrini, che nessuno ringrazierà mai abbastanza per quello che ha fatto per decenni nel campo del cibo, non contribuisca affatto alla corretta definizione dell’argomento. Primo punto: il ruolo delle multinazionali. Essendo aziende orientate al profitto, come chiunque in un’economia di mercato, esse indubbiamente possono tendere a diventare prepotenti ed a condizionare il mercato stesso. Compito degli enti regolatori nazionali ed internazionali è far sì che questo non avvenga, o avvenga in modo controllato: vale per la carne, come per ogni altro prodotto. Resta però che le multinazionali hanno le risorse per sviluppare ricerca, tecnologie, innovazione, che difficilmente possono essere accessibili a realtà più piccole o addirittura artigianali. Quindi, è difficile dichiararsi favorevoli alla ricerca e contemporaneamente fare la guerra a chi la ricerca la fa per statuto, perché gli conviene ed ha i soldi per farla. Infine, ipotizzare un mondo senza multinazionali mi pare una ingenuità difficilmente comprensibile e giustificabile tra adulti maturi e senzienti. Secondo punto: la salute. Mi pare del tutto evidente che nessun Paese civile accetterà mai di consentire la commercializzazione di un cibo nocivo. Siamo all’inizio del ventunesimo secolo, e siamo ormai dotati di strumenti tecnici e normativi che ci permettono di salvaguardare la salute per cui, sempre vigilando, mi sento abbastanza sicuro che la carne coltivata, se mai arriverà sui banchi del supermercato, non sarà più nociva di qualsiasi altro prodotto industriale oggi disponibile, dalle merendine alla Nutella, dalla pasta alle conserve, dal latte ai formaggi, tutti in larga misura prodotti dalle solite arcigne multinazionali. Non si capisce davvero come solo la carne coltivata possa costituire una minaccia, e non altri prodotti. Quindi, la carne coltivata o sarà sana o non sarà affatto. Terzo punto: la competitività economica. Possiamo discutere ancora a lungo della carne coltivata ma, fino a quando questa non diventerà vendibile a prezzi competitivi ed accessibili, essa rimarrà nei laboratori o confinata in qualche nicchia super circoscritta. Nella competitività è naturalmente iscritta anche l’efficienza energetica dei processi per produrla. Oggi sappiamo quanto incidano gli allevamenti intensivi sul bilancio energetico (incidono tantissimo) e quindi sui costi di produzione. Quindi, o la carne coltivata farà meglio, o semplicemente non sarà proponibile. Il mercato non perdona. Ciò detto, non si capisce (o si capisce fin troppo bene che certe lobby pesano eccome…!) il fuoco di sbarramento preventivo contro un prodotto che ancora non c’è, che forse un domani più o meno prossimo ci sarà, se e solo se si dimostrerà salutare, conveniente e sostenibile. Petrini fa benissimo a salvaguardare le filiere corte, i piccoli produttori, le specificità del territorio, il sapere antico nella preparazione dei cibi, merita tutto il nostro convinto sostegno, ma non dobbiamo dimenticare che al mondo ci sono oltre sette miliardi di persone da sfamare ogni santo giorno e che quindi c’è spazio (e necessità) per ogni tipo di cibo, purché salutare, dal Pata Negra al San Daniele, dal Bagòss al Castelmagno, dall’agnello sambucano alla carne Vicciola (da bovini nutriti con farina di nocciole) del nostro Pino Puglisi, ma anche dal mais o dal pomodoro OGM alla carne coltivata, se mai arriverà. E se la carne coltivata dovesse dimostrare di potere, convenientemente e senza rischi per la salute pubblica, limitare l’enorme consumo di acqua, di terra, e le spaventose emissioni di metano degli allevamenti intensivi, ben venga, senza pregiudizi di sorta. Serve essere laici, anche in questo, e non sposare cause preconcette, ideologiche e limitanti. Se davvero si vuole favorire la ricerca, la si incentivi con coraggio e si verifichi la sostenibilità dei risultati. Vietare tout court non serve a nulla; serve solo a lasciare ai concorrenti esteri delle importanti opportunità di sviluppo industriale. E non è certo quello che serve al nostro Paese, che sul cibo rappresenta un faro nel mondo …
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