Il Partito Democratico è nato nel 2007. Se ne parlava già da molto tempo prima, ma oggi più o meno tutti concordano nel datarne la nascita al 27 giugno 2007, ovvero il giorno del famoso discorso programmatico di Walter Veltroni al Lingotto di Torino. E già, perché il PD è nato qui in Piemonte, terra di esperimenti, di laboratori, terra di modernità e innovazione, malgrado l’austera apparenza sabauda. La nascita formale fu con le elezioni costituenti del 14 ottobre 2007, cui parteciparono oltre 3,5 milioni di persone, dando una maggioranza schiacciante (oltre il 75%) alla lista di Walter Veltroni, che di lì a poco divenne Segretario. Dopo molti anni di travaglio (con la t minuscola), iniziati come minimo dopo la sconfitta della “gloriosa macchina da guerra“ di Achille Occhetto nel 1994, finalmente il centrosinistra (senza trattino) riformista, superata la stagione vincente, esaltante, ma poco robusta dell’Ulivo, si riconosceva in un unico grande partito, nato con l’obbiettivo dichiarato di diventare maggioranza nel Paese (la famosa “vocazione maggioritaria”). Agli ottimisti (quorum ego) parve che una annosissima querelle, nata all’inizio del secolo precedente, potesse essere arrivata finalmente a conclusione, con la creazione di un partito moderno, aperto, riformista, che raccoglieva forze molto deboli, fino ad allora sparse e non coordinate (tanto per dire, nel 1994 Berlusconi non avrebbe vinto con facilità contro un’unione tra la sinistra e i popolari di Martinazzoli e Segni …). Lo shock per la politica italiana fu molto forte, in quel formidabile 2007, tanto che, nel giro di pochissimo tempo, si registrarono un po’ di reazioni: - il 18 novembre Berlusconi pronunciò il famoso “discorso del predellino”, nel quale annunciava la nascita di un partito unico del centrodestra, il Popolo delle Libertà;
- il 2 maggio era uscito il libro “La casta” di Stella e Rizzo, con il quale il mondo borghese del “Corriere della Sera” apriva la volata all’antipolitica, che sarebbe di lì a poco dilagata senza freni;
- l’8 settembre infatti si tenne il primo V-day (la V di “vaffanculo”, nel colorito e signorile linguaggio programmatico dei suoi aderenti), nel corso del quale Beppe Grillo su un canotto gettò le basi per la nascita del Movimento, che avvenne poi formalmente circa due anni dopo (4 ottobre 2009);
- la sinistra estrema entrò nel panico e si ritirò in uno sdegnoso isolamento, in attesa di tempi migliori per lei (tempi che, come vedremo, non tardarono ad arrivare).
La faccio breve: che il centrodestra si organizzasse di conseguenza era più che naturale. Azione e reazione. Meno “naturale” fu la reazione a sinistra, o comunque nell’area non riformista. La nascita e la crescita vorticosa del M5S di Grillo e Casaleggio (padre), due personaggi improbabili, senza alcuna esperienza politica né credibilità né specifica preparazione ma estremamente spregiudicati e ben supportati, si può e si deve leggere come la reazione del mondo non-riformista, antagonista, massimalista, populista vagamente di sinistra, alle posizioni cartesiane poste alla base del Partito Democratico, ben collocate nella scia delle esperienze politiche di Bill Clinton e Tony Blair. D’altra parte, la vecchia guardia del PCI-PDS-DS dovette fare buon viso a cattivo gioco, accettando di buon grado la nascita del PD, esperienza allora sulla cresta dell’onda, e aspettando sulla riva del fiume il passaggio del classico cadavere. Che infatti passò, e poi ripassò, e ancora ne passano oggi. Una lunga teoria di cadaveri. Però il fronte più appariscente ed aggressivo di questa viscerale e radicale opposizione al riformismo del PD fu assunto da Grillo e Casaleggio, che elessero il PD a obbiettivo principale della loro azione politica. Grillo nel 2009 tentò persino di iscriversi e partecipare alle primarie, per pura provocazione e per lanciare una OPA ostile dall’interno del nuovo partito. Fu respinto, ma eravamo appena agli inizi dello scontro epocale che dura ancora oggi. Da allora non c’è stato momento in cui non risultasse evidente, direi prorompente, la contrapposizione del M5S al PD, in ogni forma, in ogni modo, sempre, anche durante le forzate collaborazioni nate nel 2019 per fermare Salvini e nel 2021 per fare posto a Draghi (entrambe operazioni spregiudicatamente condotte dall’odiatissimo Matteo Renzi). Il PD è stato continuamente sottoposto alle più atroci angherie da parte del Movimento: calunnie, attacchi spesso speciosi, sputtanamenti, battaglie social, sabotaggi parlamentari, nulla del tristo repertorio dell’aggressione politica è stato risparmiato per cercare di distruggere quello che era stato individuato e che restava il simbolo ed il punto di riferimento del riformismo. Si raggiunse il parossismo nell’epoca di Renzi Segretario e Premier, ovvero la quintessenza del “male assoluto”, da abbattere ad ogni costo. Ed è lì che la fronda interna, mai doma, ha ripreso ad articolare la sua azione nefasta. Dalla riuscita opposizione interna al referendum del 2016 fino alle posizioni davvero incredibili di Bettini e Zingaretti su Giuseppe Conte come “punto di riferimento fortissimo del progressismo europeo”, la cosiddetta Ditta (copyright Bersani) piano piano riafferrò il timone del Partito e lo diresse convinto al rendez-vous con il nemico M5S. Inutili e anche poco convinte le reazioni di chi il PD lo aveva fondato con ben altri obbiettivi in testa, e che ancora costituisce la maggioranza del Partito, quella maggioranza che un anno fa votò Bonaccini per poi vedersi ribaltata nelle primarie aperte che investirono Elly Schlein. E così la lunga battaglia è arrivata alla fine. Il M5S ha vinto: si è posto allo stesso piano del nemico, anche nei sondaggi, e ora lo sovrasta per spregiudicatezza e capacità di incidere. Nel populismo, si sa, l’originale è sempre più efficace della copia … In questi giorni sta condizionando oltre ogni limite la politica del PD, sta manovrando per risucchiare il Partito nell’area dell’antipolitica populista, con la scusa storicamente fasulla ma mediaticamente efficace che quella sarebbe la “vera sinistra”. E il PD lascia fare. Anzi, asseconda, smorza eventuali reazioni interne, impone scelte e candidati, spacca in profondità come in Sardegna, mettendo la figlia contro il padre fondatore del Partito (Renato Soru). E anche qui in Piemonte, a fronte di un Partito che storicamente è arci-avversario del Movimento, da sempre schierato su posizioni inaccettabili ed antistoriche su TAV, Terzo Valico, ospedali, inceneritori, …, l'imbarazzo è evidente. Uno spettacolo raccapricciante vedere le riunioni che si susseguono, senza alcuna prospettiva di accordo concreto, solo perché da Roma il diktat è chiudere. Chiudere per perdere, con assoluta certezza, schiacciando quella parte di PD che con uno scatto di reni ha per esempio eletto un fior di Sindaco come Stefano Lo Russo solo due anni fa. Ora la linea è diversa. Ora la linea è il disgraziato “campo largo”, sinonimo di sconfitta certa, inevitabile, fragorosa, malgrado l’evidente praticabilità di una linea alternativa riformista, che forse potrebbe essere vincente, come lo fu per il Sindaco. La proposta è sul tavolo, per chi la volesse vedere, ma la fascinazione per il nemico ha ormai raggiunto un livello quasi patologico di perversione. È la famosa Sindrome di Stoccolma, cosi definita su Treccani: "Particolare stato psicologico che può interessare le vittime di … un abuso ripetuto che, in maniera apparentemente paradossale, cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino, che possono andare dalla solidarietà all'innamoramento." Giudicate voi.
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