Dopo sconfitte (e figuracce) come quella di domenica scorsa c’è sempre il rischio di un generico “rompete le righe”, “ognuno per sé e Dio per tutti”, o altri luoghi comuni simili. Quando si sbatte violentemente contro un muro che peraltro è sempre stato lì, in bella vista, e che molti hanno fatto finta di non vedere, è inevitabile la voglia di mandare tutto e tutti al diavolo e dedicarsi al giardinaggio, alla filatelia, o altra attività equipollente…, e che ciascuno si aggiusti come può. Vero è che poi qualcuno si aggiusta davvero in qualche modo, perché la storia va avanti e se ne frega dei nostri giramenti, della rabbia, dello sconforto. E meno male! Il problema è capire se e come partecipare … Problema esistenziale, che ciascuno deve risolvere con la sua coscienza. Partecipare può significare anche solo attendere gli eventi oppure muoversi per provocarli. Tutte scelte legittime, sacrosante, rispettabili. D’altronde, metà dell’elettorato italiano (e non solo) ha già deciso di stare a guardare, disinteressandosi (o comunque non partecipando) neppure al più semplice ed elementare gesto civico che ci viene richiesto dal nostro essere cittadini di una società democratica: andare a votare quando ce lo chiedono. Se tanta gente agisce così, qualcosa vorrà pur dire, deve esserci un senso, non si può solo alzare le spalle e dire “chissenefrega, andiamo avanti come se niente fosse”. Perché è vero che si va avanti lo stesso, ma i risultati possono essere molto spiacevoli per tutti, non solo per chi crede nella civiltà democratica, nel civismo, nell’organizzazione sociale. Finisce che ti ritrovi qualcuno che delle libertà, del rispetto umano, dei diritti fondamentali di tutti se ne frega e ti mette in condizioni di disagio civile. Una finta democrazia autoritaria (la famosa democratura) toglie l’aria a tutti, che votassero o meno, che partecipassero o meno, che si interessassero o meno. E tornare indietro non è per niente facile: chiedetelo ai russi, ai turchi, agli ungheresi, …, e dovremo forse chiederlo anche agli americani, tra un po’ di mesi, Dio non voglia. Cambia la vita per tutti, e rimettere il dentifricio nel tubetto, come si sa, è impossibile: bisogna buttarlo via e prenderne uno nuovo, se c’è. Si aspettano tempi migliori e non basta consolarsi con un’opposizione agguerrita, presente, anche numerosa. Quello che serve non è un’opposizione, è un’alternativa, chiara, percorribile, realizzabile. Sarà l’età (ingravescente aetate …), ma non mi scaldano più le manifestazioni, le piazze, i canti, i balli, i convegni, i comizi. Ammesso che te li lascino ancora fare, rischiano solo di aggregare delle minoranze inconcludenti, senza la concreta speranza di incidere sul quadro politico. Se non si costruisce un’alternativa che sia realmente capace di ribaltare il quadro, si fa solo “ammuina”, si anima un gioco senza sbocchi. Lo dico chiaramente, oggi a me pare che l’opposizione in Italia sia in questo esatto stato: una minoranza (anche corposa) pressoché ininfluente, che può fare un po’ di rumore, ma non cambiare il quadro. E allora, in alternativa al giardinaggio, può venire voglia di applicarsi a mettere insieme le basi per una alternativa vera, e non solo una colorata forza di opposizione che spara slogan a effetto, ma irrealizzabili, non traducibili in azioni politiche concrete perché non compatibili con le condizioni oggettive (la situazione della finanza pubblica, per cominciare!). È un lavoro duro, improbo e spesso inutile (come abbiamo potuto constatare domenica scorsa). Ma è assolutamente indispensabile. E se si cade, tocca rialzarsi. Altro che rompere le righe … Quando sento Mario Draghi dire che: “il mantenimento di alti livelli di protezione sociale e di ridistribuzione non è negoziabile. La lotta all'esclusione sociale sarà fondamentale non solo per preservare i valori di equità sociale della nostra Unione, ma anche per far sì che il nostro viaggio verso una società più tecnologica abbia successo", o che: "queste decisioni richiedono un grado ancora inedito di cooperazione e coordinamento tra gli Stati membri dell'Unione Europea", mi convinco che si può, si deve, lottare per il nostro modello di vita, per la nostra democrazia, per quanto ammaccata e rappezzata essa possa essere. Non possiamo solo considerarlo un auspicio generico e rituale. Deve essere trasformato in un programma politico, in Italia ed in Europa. Il momento non è favorevole. È più facile issare bandiere, di qua e di là, alzare i toni, gridare al fascismo incombente o propalare messaggi trionfalistici e rassicuranti, ad uso dei vari Tg. È tutto molto più complicato di come sembra. A cominciare dal fatto che tutti gli Stati, specie quelli medio-piccoli come quelli europei, sono sotto scacco da parte dei mercati, dei creditori che finanziano i loro enormi debiti pubblici (ormai la Francia ci fa compagnia, ma Regno Unito e Spagna non sono da meno …). Nessun governante può prescindere dai mercati, anche se sbandiera uno spread stabile: stabile fino a quando non si fa nulla, ma se si comincia a dare attuazione ai programmi populisti o si profilano cambiamenti rilevanti, come in Francia, ecco che tutto va in fibrillazione. Un debito pubblico elevato non è di per sé un male assoluto, almeno fino a quando le condizioni politiche di un Paese sono stabili ed il suo tasso di crescita accettabile. Ma quando le acque si agitano, la crescita rallenta, prevalgono spinte verso la spesa facile, chi ha prestato soldi vuole tassi più alti, il costo della provvista diventa paralizzante e lo sviluppo si ferma. Per attuare quello che auspica Draghi serve stabilità, ragionevolezza, metodo, capacità di programmazione a medio-lungo termine, tutte cose che mal si adattano ai populismi di ogni colore. Ed ecco che diventa necessario dare un connotato politico alle affermazioni di Draghi, serve trasformarle in proposta politica, serve comunicarle con serietà e credibilità. Tutte cose poco di moda al momento, quando le leader preferiscono ballare la pizzica o scatenarsi su un carro del Gay Pride. Certo, fa simpatia, “acchiappa”, ma la BCE o i grandi fondi pensione se ne fregano delle danze e aspettano le prossime Finanziarie. Per concludere, servono gli adulti, servono quelli con la testa sulle spalle, che mettano insieme una proposta politica seria e convincente che semmai parta basso, ma che possa crescere rapidamente, sulla base di atti conseguenti e razionali. Di adulti (anche trentenni o quarantenni) ce ne sono un po’ ovunque, a sinistra, al centro ed anche a destra, gente che non si fa abbagliare dai lustrini del populismo, che sa di quel che parla e bada al sodo. Non è possibile che la politica resti ostaggio dei populismi di destra o di sinistra, che milioni di riformisti, più o meno consapevoli, e presumibilmente per niente moderati, non debbano essere rappresentati, e in modo incisivo. Che ne siano coscienti o meno, essi sono la parte viva e produttiva del Paese, siano essi professionisti, imprenditori, dirigenti, impiegati, tecnici, operai, intellettuali, sono quelli che lo mandano avanti malgrado le bizzarrie estemporanee della politica e hanno diritto di avere un Mario Draghi che interpreti le loro esigenze e cerchi di realizzarle. Ho detto Mario Draghi perché è il prototipo di quel riformismo che può davvero migliorare le condizioni di tutti e non solo di alcuni. Forse il Mario non è disponibile (io però credo che lo sia …), forse serve qualcun altro, ma oltre che il leader, preferibilmente carismatico, serve la linea, la direzione, il programma di una politica diversa. Io credo, e per ora la chiudo qui, che serva una specie di “manifesto dei riformisti”, una lista esplicita di atti e riforme, per l’Italia e per l’Europa, che aggreghi risorse ovunque, aldilà della appartenenze partitiche. Serve raccogliere personale politico e gente comune, persone che non vogliano ancora dedicarsi al giardinaggio e abbiano voglia di impegnarsi. Ricordo momenti simili alla nascita dell’Ulivo, e poi durante la gestazione del Partito Democratico, o alle prime Leopolde renziane. Anche ora vedo giovani, e anche meno giovani, disposti a mettersi in gioco, a non arrendersi alla triste schematizzazione di una destra decrepita e pure nostalgica e una sinistra giovanilista, allegrona ed inconcludente. Non servono Terzi poli o Centri moderati, serve unire tutti i riformisti contro tutti i populisti. Non illudiamoci: la democrazia è sempre duale. Altrimenti non funziona e muore. Quindi no, non rompiamo le righe, piuttosto rompiamo qualcos’altro e facciamoci sentire.
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