Dopo la triste debacle elettorale dei riformisti divisi e perdenti, Matteo Renzi ha posto un dilemma, che è schematicamente riassumibile come segue: - costituire una specie di Margherita 2.0 (il Partito di riformisti fondato, all’inizio del Millennio, da Rutelli, Parisi e altri, che poi si fuse con i Democratici di Sinistra per dare vita, nel 2007, al PD), che si rapporti organicamente con il PD;
- riprendere, possibilmente con altro nome, il progetto del fallito Terzo Polo e cercare di creare un Partito di Riformisti, terzo e distinto dai due poli esistenti, quello di Meloni e quello di Schlein.
Il dilemma così posto, a mio parere, rischia di essere fuorviante e di deformare la sostanza del problema. Sostanza che si può riassumere nella domanda: come si può far pesare il ruolo del riformismo nel panorama politico italiano? Comunque la si veda, è inevitabile passare attraverso una struttura organizzata e fortemente connotata da un progetto, un programma, di stampo riformista. Keir Starmer in UK lo ha fatto, non senza fatica e con tempi non brevissimi, ma alla fine è arrivato al risultato, vincendo le elezioni in modo perfin spettacolare. È stato certamente aiutato dai giganteschi pasticci dei Conservatori al potere, nonché da una legge elettorale maggioritaria, che gli ha permesso di ottenere oltre il 60% dei seggi con molto meno della metà dei voti ... Sia essa Margherita o Terzo Polo (entrambi 2.0), quella struttura deve arrivare ad avere una presenza ed un peso tali da poter costituire un interlocutore imprescindibile nel panorama politico, altrimenti resta un club ininfluente e pletorico. Pensare che nasca, cresca e diventi, in un tempo ragionevole, grande abbastanza da essere autosufficiente è pura illusione. Non ci sono cinque anni: al massimo sono due, due e mezzo. Quella Cosa nuova deve quindi rapportarsi con le altre forze politiche. Restare equidistanti non porta a nulla di concreto, se non si riesce a mettere il progetto al servizio di una realtà che possa diventare maggioritaria, vincere le elezioni e governare, al posto di questa maggioranza che tutti giudichiamo come minimo inadeguata. Quindi l’alternativa è più nominalistica che sostanziale, e rischia di ridursi ad un’alternativa di nomi e di possibili leadership: tipo Marattin e Costa, che si sono già esposti, contro chissà chi … Non abbiamo proprio bisogno di altri dualismi, avendo duramente pagato il prezzo dei dualismi esistenti. Meglio sarebbe impegnarsi tutti nella elaborazione di un progetto, di un programma con contenuti precisi, inequivocabili e di assoluta attualità. Su ognuna delle materie più importanti la voce dei riformisti può risultare chiara e soprattutto univoca, dalla politica estera a quella energetica, dal lavoro al fisco, dai diritti civili a quelli sociali, dalla giustizia alla immigrazione, alle riforme istituzionali. Sostengo che non sia impossibile, e neppure difficile, trovare un terreno programmatico comune, terreno che poi andrà ovviamente misurato con la parte meno riformista e più tradizionale della sinistra, parte che esiste e che non può essere trascurata (almeno non subito …). Qualsiasi strada si prenda, bisognerà inevitabilmente attrarre moderati e centristi, e poi rapportarsi anche con i massimalisti: tanto più si partirà da posizioni di forza, tanto più si potrà condizionare il programma della costituenda alternativa di governo. Sbagliato sarebbe a mio parere mescolare le due fasi: prima si deve trovare un terreno comune dei riformisti, poi ci si potrà misurare con tutti gli altri, contando di avere più e migliori cartucce da sparare. Un possibile problema, che emerge con evidenza, è che oggi nel PD convivono le due anime, che finora sembrano non avere intenzione di confrontarsi apertamente. La cosa non potrà durare a lungo, soprattutto se fuori del PD nascerà una realtà con la quale il confronto diventerà presto inevitabile. E a questo confronto bisognerà arrivare ben preparati, con un pacchetto di proposte chiare e pure, entro certi limiti, negoziabile. Il problema delle leadership a me pare l’ultimo da affrontare: fortunatamente nel nostro campo non mancano personalità con il piglio giusto e le capacità necessarie. Dividersi ora sui nomi mi pare una sciocchezza sesquipedale: se qualcuno vuole proporsi per coordinare il percorso da seguire, ben venga, ma sappia che alla fine del percorso, se mai si arriverà ad una proposta politica concreta, probabilmente bisognerà chiamare a scegliere il leader tutto il panorama dei potenziali elettori, organizzando delle primarie generali, come quelle che elessero Prodi, poi Veltroni, infine Renzi. Adesso però non c’è tempo da perdere: io ritengo che si debba subito parlare dei contenuti, delle proposte, dei provvedimenti da mettere sul tavolo per una piattaforma comune dei riformisti. Non possiamo permetterci di rimanere nel generico: il prossimo autunno sarà il momento di una difficilissima Legge di Bilancio, una specie di redde rationem per il Governo, che dovrà fare delle scelte importanti e smetterla di sparare diversivi (difficile che ci riesca …!). Sarebbe opportuno contrapporre idee concrete e testare su queste la possibilità di stabilire un terreno comune dei riformisti, indipendentemente dalla loro collocazione partitica. L’autunno significa anche il 5 novembre e l’elezione del successore di Biden: in ogni caso saranno brividi per tutti i democratici riformisti del mondo. Confidiamo nella saggezza del popolo americano e di chi lo guida … Da questa parte dell’Atlantico, bisognerebbe che l’Europa politica esistesse per davvero. La Gran Bretagna, pur da fuori, è adesso in mani salde e sicure, la Francia da stasera saprà il suo destino, ma comunque vada, anche se non andrà malissimo, non sarà privo di turbolenze, di noi sappiamo, il resto è tutto da costruire. Gli Stati Uniti d’Europa restano un’ottima idea … ma questo è un altro discorso.
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