Ho scritto più volte che la democrazia è irrimediabilmente duale: anche quando non sembra, alla fine di tutto restano una maggioranza ed una minoranza, un governo e un’opposizione. Non importa quanto tortuosa e lunga sia la strada per arrivarci, quali sistemi elettorali, quali coalizioni, quali strutture istituzionali ma, se il sistema è sano e non è infettato dai germi dell’autoritarismo, la conclusione è quella: due parti opposte che si confrontano dialetticamente, più o meno civilmente, ma alla fine irriducibili. Ogni tanto, eventualmente, si possono anche ritrovare su provvedimenti bipartisan, ma NON è la regola. E meno male che è così, perché quella dialettica è garanzia di libertà per tutti e perché altrimenti si stabilirebbe un sistema senza controlli che sfocerebbe, prima o poi, nella dittatura, ovvero nella negazione della democrazia. Riparto da queste considerazioni a valle della tornata elettorale francese, che si è conclusa con una parte certamente sconfitta (la destra di Le Pen), ma senza un chiaro vincitore, intitolato a costituire una maggioranza ed un Governo. La tattica molto sagace di Emmanuel Macron ha posto fuori combattimento il nemico principale e più pericoloso (almeno per qualche anno), ma adesso il Presidente deve fare i conti con una coalizione di sinistra che sembra riluttante a fare accordi con lui ed anche a trovare accordi al suo stesso interno, visto il radicalismo un po’ novecentesco (ed infantile) di Mélenchon: sembra un pasticcio irrisolvibile ed in effetti la situazione non è semplicissima. Cionondimeno, è assai probabile che gli “adulti”, invocati dal socialista Glucksmann, riescano a comporre, anche se non in tempi brevissimi, una coalizione di governo, che possa traghettare la Francia verso i prossimi anni. Tanto, per legge prima di dodici mesi non possono tornare a votare … In questo complicato gioco, forse poco comprensibile ma inevitabile in un sistema democratico, si inserisce il ruolo determinante di quello che si chiama comunemente Centro. Qui da noi dire Centro fa pensare subito alla Democrazia Cristiana, a Moro, Forlani, Andreotti, Fanfani, a Casini fra i meno antichi, cioè a quei democristiani che presidiavano incontrastati un’area centrale, scegliendo di volta in volta le forze con cui allearsi per governare. Era un altro mondo, dove si sbagliava da professionisti (avrebbe detto Paolo Conte …), dove un pezzo della politica (il Partito Comunista, ovvero un terzo o giù di lì dell’elettorato) era per definizione escluso dalla possibilità di accedere al potere centrale e dove il gioco democratico era condizionato dai insormontabili vincoli internazionali (e quando Moro e Berlinguer provarono a forzarlo finì molto male …). Adesso è tutto diverso: tutti sono legittimati a governare, purtroppo anche i più improbabili ed impreparati, e quindi la politica può dispiegarsi liberamente, su tutto l’arco delle forze esistenti. Questa condizione detta una definizione tutta nuova di Centro: non già una forza egemone, equidistante dalle ali estreme, né di qua né di là, che dà le carte e sceglie a piacere, ma il Centro come zona di confine tra due aree, grandi quanto si vuole, ma comunque contrapposte, che necessariamente sono costrette a contendersi una grossa fetta di indecisi, di pragmatici non schierati, di astensionisti, di persone disposte a valutare nel merito le proposte ed appoggiare quelle che ritengono più accettabili: l’enorme elettorato “flottante”. È del tutto evidente che le maggioranze si possono formare solo spostando consensi posizionati sul confine tra le aree contrapposte: la parte verso la quale si sposteranno quei consensi prevarrà e sarà maggioranza. Quindi è tutto un altro Centro rispetto all’idea di equidistanza e di equilibrio. È un Centro che contende consensi alla parte opposta e diventa determinante per la formazione di una qualsiasi maggioranza. Non necessariamente è un Partito di Centro, ma è sicuramente una parte politica che si rivolge agli elettori di centro, quelli non già schierati a prescindere. Prendiamo la Gran Bretagna: finché il Labour di Jeremy Corbyn si è preoccupato SOLAMENTE di coprire la sua estremità sinistra, i Conservatori hanno avuto campo libero verso gli elettori di centro ed hanno dominato per quattordici anni la scena politica, mentre il Labour veniva marginalizzato e schiacciato sulla sinistra operaista, novecentesca, massimalista alla Ken Loach (il famoso regista che infatti adesso rimpiange i bei tempi andati…). Quando Keir Starmer ha buttato fuori dal Partito gli estremisti radicali, per giunta antisemiti, e ha ricominciato a parlare direttamente alla parte centrale della società, alla Middle Class, che nel frattempo aveva sperimentato il malgoverno dei Conservatori, ecco che ha rivinto le elezioni con una maggioranza quasi imbarazzante. Tony Blair aveva fatto lo stesso nel 1997. Riconquistare gli elettori di centro si è rivelato determinante per la vittoria. In Francia, Emmanuel Macron presidia saldamente quella parte centrale, l’ha rappresentata, l’ha chiamata a difendere la Repubblica dall’assalto della destra estrema, ed adesso, forte di quel posizionamento, tratterà con la coalizione di sinistra, dalla quale Mélenchon potrebbe perfino rimanere fuori, se resterà irriducibilmente estremista. Venendo a noi, qualunque idea di Terzo Polo equidistante è quindi a mio parere radicalmente sbagliata ed anche molto pericolosa. La parte centrale dell’elettorato va presidiata eccome, ma con il preciso intento di strappare consensi alla parte concorrente e conseguire una maggioranza che non può essere “la qualunque”. i riformisti, dovunque si trovino, devono (dovrebbero) tutti preoccuparsi di presidiare quell’area, di darle voce e contenuti, e non mettersi all’asta tra i due poli esistenti. Tanto più sarà forte quell’area riformista, tanto meno peseranno le componenti più estreme e massimaliste dello schieramento, ma la scelta di fondo deve essere per una delle due parti in competizione. Non si può coltivare la pretesa di essere l’unica forza di equilibrio del sistema, il solito ago della bilancia che può andare di qua o di là, perché si rischia di diventare elemento di instabilità. Si può (e si deve) ambire ad essere invece la forza di attacco e di contatto, quella che strappa voti all’altro schieramento, all’astensione, all’indecisione, all’elettorato “flottante”. Questa funzione è irrinunciabile nell’equilibrio democratico e assolverla con sagacia garantisce la massima rilevanza nel gruppo che si candida a vincere ed a governare. Si può certamente essere “terzi”, ma in modo dinamico e contingente: bisogna saper fare la differenza e guadagnare la fiducia degli elettori “centrali”. Senza la capacità di attaccare il confine, si soccombe senza alcuna speranza e si resta irrilevanti. Allora non serve coltivare inutili illusioni di terzietà, bisogna invece che i riformisti si rendano interessanti presentando proposte, programmi, iniziative concrete e non ideologiche, da far valere nella definizione del programma di governo. Poi, chi avrà più filo tesserà la tela: l’importante è evitare l’”effetto Penelope”, effetto nel quale da queste parti c’è un alto grado di specializzazione.
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