Lo so, sono noioso e ripetitivo, ma resta sul tappeto la questione del Centro ... Un’Araba Fenice, una chimera, un luogo dell’anima, una dannazione, un mito, … “Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare”. Settembre, andiamo. Si rimescolano le carte, per l’ennesima volta, e tutti i malati di politica cercano un nuovo senso per quello che succede. Gli altri, giustamente, pensano ad altro: e non manca la materia … Adesso c’è chi dice che il Centro è morto, che non c’è spazio al Centro, che “o di qua o di là”, che era così evidente …, che “tertium non datur”, come nella migliore tradizione aristotelica. E invece no. Qui si confonde l’offerta politica con la domanda, la composizione dell’elettorato con la struttura dei partiti politici che dovrebbero interpretarlo, intercettandone i bisogni. Le famose “praterie” al Centro ci sono per davvero, le elezioni si vincono per davvero al Centro, è sempre stato così e così sempre sarà nelle democrazie compiute. Per vincere bisogna guadagnare voti sull’avversario e quindi bisogna convincere quei milioni e milioni di elettori che non sono pregiudizialmente schierati, che votano secondo le esigenze del momento, secondo l’estro elettorale, subiscono la propaganda, votano secondo interessi contingenti, attratti (a volte sedotti) da questo o quel candidato. Sono tantissimi, ed è lì che si decide chi ottiene una maggioranza per governare e chi deve accontentarsi di fare opposizione, in attesa di momenti migliori. Chi è schierato per convinzione, per interesse o per scelta culturale, non decide gli esiti elettorali, li decide invece chi può pencolare da una parte o dall’altra, chi è aperto alle opportunità del momento. Il fatto è che per intercettare quei voti non serve affatto un partito che si dichiari equidistante, non serve per il semplice fatto che, se davvero si vuole governare, prima o poi si dovrà mettere quel partito al servizio di una maggioranza e quindi si dovrà scegliere. Prima o poi. E chi non sceglie, restando nel mezzo, in realtà sta a guardare gli altri contendersi il Governo del Paese. Anticipo l’obiezione pressoché scontata: la DC (Democrazia Cristiana, per i non-boomers) ha governato per oltre quarant’anni ed era un partito di Centro. Io c’ero e vi garantisco che non è vero: la DC era un Partito Unico, era un Partito “obbligatorio”, non era affatto un Partito di Centro. Nella DC c’era Tambroni e c’era Donat-Cattin, c’era il solidarismo cattolico di sinistra e la destra reazionaria, capace di allearsi con il MSI di Almirante (un dichiarato post-fascista, sempre per i non-boomers). Fuori della DC c’era un Partito del 25-30% (il Partito Comunista), che era inabilitato al Governo per forza di equilibri internazionali, che era opposizione per definizione e che quindi esercitava il suo potere attraverso quello che allora si chiamava “consociativismo”: ovvero ti concedo delle cose (alcune Regioni “rosse”, qualche diritto civile, lo Statuto dei Lavoratori, anche una rete televisiva, …), ma tu stai buono all’opposizione, senza strane pretese di mettere il naso dove non puoi. E quando Moro e Berlinguer provarono a mettere in discussione questo assetto, sappiamo tutti com’è finita: un camion in Bulgaria e una Renault rossa in via Caetani. Poi, la restaurazione dello “status quo ante”. Insomma, il paragone con la DC è del tutto fuorviante. Oggi alla moltitudine dei voti “centrali” ci si deve arrivare partendo o da destra o da sinistra. Un Terzo Polo, indeciso ed equidistante, è destinato a fallire: o si schiera o muore, come in effetti è avvenuto, dopo innumerevoli e pur volenterosi tentativi, tutti abortiti miseramente. Non serve crocifiggere il responsabile, che pure è chiarissimo, di questi fallimenti perché i motivi sono più profondi: non si può stare a lungo in mezzo. Ma allora non c’è speranza di rappresentare un progetto riformista? Figuriamoci, certo che c’è. Scegliere di schierarsi non significa affatto rinunciare a battere quella porzione di elettorato, a rappresentare le opzioni riformiste, a proporre e sostenere idee non estremiste o puramente ideologiche. Significa accettare la sfida di misurarsi sui valori e sui contenuti, dimostrando di avere più filo da tessere. In tutto il mondo libero si fa così: Kamala Harris sta cercando di conquistare i red neck della Sun Belt e i blue collar della Rust Belt, non gli intellettuali di San Francisco o i fanatici di Qanon, che non hanno dubbi. Keir Starmer ha vinto perché ha conquistato la classe media inglese, delusa e stanca dei pasticci post-Brexit dei Conservatori, da Cameron a Sunak, passando per il pasticcione-in-chief Boris Johnson. In Francia Macron, sfruttando il doppio turno col ballottaggio, ha tentato con qualche successo di forzare il sistema attraverso un partito di Centro, ma ora si trova a dover fronteggiare gli opposti estremismi di post-fascisti ed ex-comunisti ed ha dovuto alla fine scegliere il centrodestra per formare un Governo, con esiti peraltro ancora molto incerti. Si tratta di un pericoloso equilibrismo teso ad emarginare sia Le Pen che Mélenchon, nella speranza che nel frattempo la sinistra sedicente riformista si affranchi dal populismo. Io faccio il tifo per Macron, ma la situazione è oggettivamente complicata e ancora molto aperta. Insomma, la democrazia è un sistema duale: maggioranza-minoranza, governo-opposizione. Le posizioni intermedie esistono e sono corpose nell’elettorato (la domanda politica), e lì sono importanti i voti marginali, ma tra i partiti (l’offerta politica) no. Si possono costruire mille partiti intermedi (e non siamo molto distanti …!), ma alla fine ogni partito deve scegliere un campo (come si dice adesso), perché agli elettori deve dire come userà i suoi voti e come cercherà di farli pesare nel Governo del Paese. Altrimenti li prende in giro, li illude, altrimenti non è un Partito politico costituito “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (cfr. art. 49 della Costituzione): diventa una Associazione culturale, un gruppo di pressione, un think tank, una bocciofila, … non un Partito. Un Partito politico ha l’obbligo di cercare di andare al Governo e i riformisti non stanno a guardare. I sistemi elettorali contano fino ad un certo punto: sono strumenti per arrivare a comporre maggioranze e minoranze. Possono essere più o meno rappresentativi dell’elettorato, più o meno diretti, più o meno efficaci, ma in una democrazia nessuno può mettersi al centro e governare a lungo contro tutti gli altri. La Francia lo dimostra. Piuttosto, bisogna trovare il modo di disinnescare le ali estreme, e per farlo bisogna avere la forza delle idee chiare e progetti concreti e riconoscibili. Altrimenti il Masaniello di turno troverà il modo di infiammare animi e corpi e minare l’efficacia del sistema democratico. È un compito molto difficile e dall’esito incerto ma, se non si vuole cedere alle tentazioni della democrazia “illiberale”, la scommessa è quella. Gli adulti della politica (ma ce ne sono?) dovrebbero smetterla di accapigliarsi in risse da cortile e chiarire all’elettorato la vera posta in gioco. Servono gli adulti: astenersi perditempo. E soprattutto, “questa non è una esercitazione”.
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