Comunque vada, saranno poche migliaia di cittadini americani residenti nei cosiddetti swing States a decidere le sorti della Presidenza USA, e di conseguenza anche del mondo, di tutto il mondo. Non è la prima volta: nel 2000 poche centinaia di voti della Florida furono decisivi per la sconfitta di Al Gore e per la vittoria di George W. Bush e Dick Cheney (che era la vera testa pensante …). Ne consegui la seconda guerra del Golfo, l’Afghanistan, Al Qaeda, Daesh, e tutte le tragiche propaggini del terrorismo islamico. Con Al Gore Presidente la Storia sarebbe stata diversa, migliore o peggiore non è dato saperlo, ma certamente diversa … Nel 2016 Hillary Clinton stravinse nel voto popolare (3 milioni di voti in più) ma perse la Casa Bianca sempre a causa di pochissime migliaia di elettori (in Michigan e Pennsylvania), che permisero a Donald Trump di vincere contro ogni previsione. A volte la Storia può svoltare in modo anche deciso per mano di pochi anonimi (e ignari) cittadini, in percentuale irrilevante sul totale, ma determinanti nel caso specifico (e la legge elettorale americana amplifica certamente il fenomeno …). “È la democrazia, bellezza!” si potrebbe obbiettare. Certo, dove conta raggiungere la maggioranza, anche un solo voto può risultare decisivo: e non c’è da stupirsi più di tanto. Quelle sono le regole, da che esiste la democrazia moderna. Però, però, … La democrazia come è stata teorizzata finora prevede anche che i contendenti accettino tutti le stesse regole e soprattutto si riconoscano in valori fondanti condivisi da tutti, aldilà delle ovvie distinzioni partitiche. Nessuno dei contendenti dovrebbe costituire un pericolo per il sistema democratico, nessun cittadino dovrebbe temere per la vittoria di chiunque. Dispiacersi sì, essere deluso e arrabbiato anche, ma non temere l’esito della votazione. La paura non dovrebbe essere contemplata nel processo democratico. Se vince il tuo avversario, non devi temere per le sorti del Paese: ti opporrai, gli renderai la vita difficile, ti preparerai a batterlo la volta seguente, ma non dovresti temere conseguenze irreparabili. Il processo democratico deve essere sempre e comunque reversibile. Nello sport, che è metafora della competizione sociale, le partite si vincono e si perdono, ma dopo ci si prepara alla prossima. Non per niente è uso comune nelle democrazie evolute che il perdente riconosca la sconfitta e faccia al vincitore gli auguri di buon governo. E invece purtroppo capita che il sistema democratico, proprio per la sua apertura, per la sua “democraticità”, si presti ad essere distorto e violentato. Adolf Hitler conquistò il potere con libere elezioni e solo dopo fece quel che fece … Benito Mussolini andò al potere, su nomina del Re, con la scenografica e non irresistibile marcia su Roma, ma ottenne la consacrazione popolare con le elezioni del 1924, quelle di cui Giacomo Matteotti denunciò le irregolarità, pagando con la vita la sua resistenza. Da lì cominciò per davvero il fascismo come dittatura. La democrazia non garantisce affatto la sua conservazione: dà a tutti la possibilità di contribuire anche alla sua demolizione. Purtroppo, è aperta anche agli aspiranti tiranni, che non trovano alcuna resistenza formale, se non la consapevolezza di chi va a votare. È quello il punto: la democrazia funziona se i cittadini votanti vogliono farla funzionare. Se una maggioranza, anche risicatissima, vuole distruggerla, o anche solo mutilarla, può farlo, ed è arduo impedirglielo. Si possono escogitare e predisporre anticorpi, argini, contrappesi (le Costituzioni sono fatte apposta …), ma di fronte alla determinazione di un tiranno con la maggioranza è molto difficile opporre resistenza: la Storia purtroppo ce lo dimostra oltre ogni ragionevole dubbio. Per certo sappiamo che quei pochi cittadini che tra una settimana decideranno l’elezione americana sanciranno una spaccatura verticale nella società, che sarà molto difficile ricomporre, ammesso che sia possibile. Se vincerà Trump, non sappiamo fin dove vorrà spingersi nella realizzazione dei suoi roboanti, foschi e minacciosi propositi elettorali, miranti a minare fin dalle fondamenta il sistema democratico. Se vincerà Harris, avrà contro una massa sterminata di oppositori inferociti, che contesteranno la vittoria e cercheranno di sovvertirla. Il 6 gennaio 2021 abbiamo avuto una chiara anticipazione di quello che potrebbe succedere. Forse nemmeno una (peraltro molto improbabile) vittoria a valanga di Kamala Harris potrebbe frenare le spinte insurrezionali, ormai così diffuse nella società americana. Il sistema economico sta a guardare e in qualche caso, vedi Elon Musk, parteggia (e paga) apertamente. Ormai è chiaro che il libero mercato, che una volta trovava nella democrazia politica terreno fertile per la crescita dell’economia, è diventato autonomo da essa, si muove forse persin meglio in sistemi autoritari, e non contribuisce a disinnescare la minaccia. Una minaccia, peraltro, ormai evidente in tutte le democrazie mature (che siano Trump, Orban, Le Pen, Meloni, Alternative fur Deutschland, Erdogan, persino Netanyahu, …), che non può più essere considerata un fenomeno contingente. Tutto spinge verso forme di democrazie autoritarie, che sarà sempre più difficile considerare democratiche. E allora che si fa? I democratici riformisti di tutto il mondo dovrebbero ragionare approfonditamente sulla situazione che si sta venendo a creare, e che in realtà è già nei fatti, e cercare le contromisure adatte. Non c’è tempo da perdere. Chiunque vinca in America (e speriamo non sia Trump), è improcrastinabile una rimeditazione profonda della struttura dei sistemi democratici per renderli più robusti (dove per robustezza si intende la capacità di resistere in condizioni di stress anche oltre il previsto). Oggi sono davvero troppo fragili, e i riformisti appaiono incerti e molto poco determinati a prendersi le responsabilità di un processo di revisione. Tutto il mondo occidentale è in pericolo: prima che sia troppo tardi, le persone di buona volontà dovrebbero trovare la sede per affrontare il problema. Partiti politici, think tank, accademici, intellettuali, artisti, cittadini volenterosi, dovrebbero tutti capire che questo è molto più urgente ed importante di ogni altra discussione sulla cultura woke, sul politically correct, sul gender, persino sui nuovi diritti, visto che in una dittatura, che sia palese o strisciante, ben altri sono gli attacchi da parare e i prezzi da pagare. Sono da affrontare temi imprescindibili come la formazione civica dei cittadini, specie i più giovani, la regolamentazione rigorosa della rete, la garanzia della libera informazione, la libera concorrenza ed il libero mercato, la distribuzione del reddito, il welfare, le leggi elettorali, gli spoil system, … È un immane compito storico. Chi è disposto a svolgerlo prima che sia troppo tardi?
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