Dopo la disastrosa e traumatica esperienza delle elezioni europee, l’area del cosiddetto Centro riformista è entrata in una fase magmatica di ripensamento, confusione, riflessione, resa dei conti, …, insomma una specie di valle di Giosafatte dove tutti i peccati vengono squadernati, nella speranza della loro remissione. La sconfitta ha avuto ripercussioni in tutta l’area del centrosinistra e zone limitrofe (vedi le convulsioni isteriche di Giuseppe Conte): si è innescato un processo la cui conclusione è di là da venire. Sono giorni che, io come altri, ricevo messaggi di persone che salutano e se ne vanno. Non “scendono all’Adriatico selvaggio”, come i pastori dannunziani, ma semplicemente si ritirano dalla attività politica e si mettono in modalità “attesa di tempi migliori”. “Restiamo amici come prima, però io sono stufo …”. A quasi tutti ho scritto parole di speranza e di ottimismo, dando forse l’immagine patetica dell’orchestrina che continuava a suonare il suo repertorio di valzer sul ponte del Titanic, la notte in cui la nave sprofondò nel Nord Atlantico. Poi mi sono stufato, ma è difficile rinunciare a ragionare su quanto sta accadendo. Occuparsi di politica non è obbligatorio. A mio parere, è raccomandabile per ogni cittadino che si ritenga cosciente e responsabile, ma si può vivere in pace con sé stessi anche senza coinvolgersi nelle peripezie dei nostri presunti eroi politici, nelle loro dichiarazioni ed interviste, gli improperi, le analisi, le giravolte, le tattiche e quant’altro, soprattutto quando la situazione non mostra segni di chiarimento, quando la nebbia non si dirada, ma al contrario la matassa si ingarbuglia sempre più. Si può fare a meno della politica, tanto qualcun altro se ne occuperà … Io mi sono sempre sforzato di distinguere tra la domanda di politica e l’offerta, costituita da partiti, gruppi, associazioni, ben conscio di come la domanda sia quella che è, perché ognuno è fatto come è fatto, mentre sull’offerta si può e si deve lavorare, per mettere a disposizione dei cittadini proposte politiche sensate, e soprattutto utili al miglioramento della società. Io credo che sia compito della politica offrire soluzioni credibili e non solo luoghi di raccolta del malcontento, del dissenso generico, delle frustrazioni di ognuno, o anche delle ambizioni personali. Un partito politico che non lotta per governare NON è un partito politico, è qualcos’altro, ed in particolare non è coerente con l’art. 49 della Costituzione, laddove si sancisce che i Partiti debbono “concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale”. Ciò detto, chi decide di occuparsi di politica deve sapere che la politica può essere spesso triste e poco gratificante perché, se da una parte c’è chi ci campa, ne fa un lavoro, e quindi è portato ad assumere gli atteggiamenti tipici di chi difende la pagnotta, dall’altra c’è chi lo fa per passione, senza ambizioni di carriera o di occupazione, come una forma di volontariato civile. Sono predisposizioni affatto diverse, che spesso confliggono di brutto. Il volontario tende, dico “tende”, all’idealismo, può prendere posizioni spesso apodittiche, poco flessibili, ed anche poco realistiche, il professionista può invece arrivare ad assumere forme di cinismo a volte insopportabili. Ed ecco che aderisce dove pensa di ottenere qualcosa, dove c’è più possibilità di accedere a qualche forma di potere, dove pensa di poter contare almeno un po’, oppure semplicemente va “dove tira il vento”. Il volontario per contro vuole sentire consonanza d’intenti, vuole sentirsi dalla parte giusta, vuole andare all’attacco sui temi che gli stanno a cuore ed è poco propenso a compromessi e tatticismi. Finché si vince e si governa, il collante è più facile da trovare; quando si perde, ci si innervosisce, si cercano capri espiatori, ci si chiede continuamente il perché, le analisi non bastano mai. Spesso si cade nel più classico tafazzismo (Tafazzi essendo quello che si martellava gli zebedei …). La disillusione e la stanchezza prendono il sopravvento e ci si ritira, a volte sdegnati, a volte solo delusi. L’atteggiamento è spesso propedeutico all’astensione elettorale, che infatti continua a crescere, e non favorisce un sano ricambio della classe dirigente. I problemi si incistano e vincono quelli che la fanno semplice, che contano balle senza vergogna, quelli che vanno per le vie spicce, facendo leva sull’inerzia dei cittadini stufi, che vedono un grigiore uniforme ed indistinto. È l’alba delle svolte autoritarie. È l’inizio della fine delle democrazie liberali. Essendo i cittadini tanti e diversi e i partiti meno (anche se proliferano), è indispensabile quindi scegliere il più prossimo, il meno lontano. Non scegliere niente, ritirandosi nel privato o in altre forme di socialità, espone tutta la comunità a rischi di involuzione. Scegliere …: ma nessun partito è quello giusto per chi cerca lo specchio di sé stesso, tutti sono invece giusti per chi cerca solo la sua personale promozione. Bel problema! Ma solo chi partecipa alla politica senza interessi personali può contenere il carrierismo e l’opportunismo, e promuovere allo stesso tempo i politici più competenti e più affidabili. Delegare troppo è un rischio … E poi, può essere utile ricordare la fine di “A qualcuno piace caldo” (1959, Billy Wilder), quando il riccone innamorato scopre che la sua dolce Daphne è in realtà un uomo (Jack Lemmon): “Beh, nessuno è perfetto”.
|