La sguaiata e quanto mai inopportuna uscita del Presidente-ombra Elon Musk contro i giudici italiani (“questi giudici devono andarsene”, in inglese “these judges need to go”), rei di avere chiesto alla Corte Europea di pronunciarsi sul rimpatrio dei migranti portati in Albania, sta distorcendo ulteriormente il dibattito sul ruolo e sulla governance della magistratura italiana. All’intemerata di Musk si sono subito entusiasticamente accodati i sovranisti nostrani, già molto seccati dalla improvvida (per loro) interferenza della Magistratura nei loro approssimativi atti di Governo. Si apre così un paradossale cortocircuito, in cui ogni critica al sistema giudiziario rischia di venire mescolata in un guazzabuglio pericolosissimo. Per essere più chiari, chi si batte per il garantismo sancito dalla Costituzione, per il diritto dei cittadini a non essere criminalizzati (sputtanati è più corretto) sulla base di un avviso di garanzia ed anche per una maggiore trasparenza dell’Ordine Giudiziario, che ponga fine alla gestione castale delle correnti, rischia di trovarsi accostato alle bordate polemiche della destra unita di Salvini e Meloni, insofferente ad ogni istituto di controllo e ora così smaccatamente supportata anche dal Presidente-ombra degli USA. Un accostamento oltremodo imbarazzante, anche perché molti esponenti della Magistratura, specie quella più sindacalizzata, tendono ad alzare barriere difensive, a prescindere dai contenuti delle diverse critiche. Ci si difende in maniera spesso corporativa, alimentando la confusione. Urge puntualizzare. I garantisti chiedono una reale, effettiva indipendenza della Magistratura dalla politica. I garantisti chiedono riforme per evitare che, attraverso le correnti, la Magistratura diventi uno specchio della politica, con grave detrimento sia delle prerogative poste a garanzia di tutti i cittadini, sia per la gestione trasparente e meritocratica delle risorse. I garantisti chiedono una Magistratura che sia, e pure appaia, fuori da ogni tipo di dialettica politica. Sia chi indaga sia chi giudica non deve essere guidato da nessun altro criterio che non sia l’applicazione delle leggi vigenti, nell’ambito dei principi costituzionali. I sovranisti e i populisti di tutte le destre del mondo mirano invece ad una totale dipendenza dell’Ordine Giudiziario dalla politica, ovvero dalla maggioranza, e considerano la Magistratura uno strumento di Governo. È stato così in Polonia quando governavano i gemelli Kaczynski, è così in Ungheria con Orbán, in Turchia con Erdogan ed è quello che vuole Trump. In USA in realtà i PM sono da sempre eletti dal popolo ed agli elettori devono rispondere. Non è un sistema perfetto (nessun sistema lo è) ma, se unito ad una effettiva indipendenza della parte giudicante, può dare, come ha dato, risultati anche apprezzabili. L’apparato giudiziario può diventare pericoloso per la democrazia quando smette di essere un organo che applica le leggi e pretende di diventare un organismo “etico” che stabilisce in astratto il bene ed il male, spesso in relazione ad un qualche assetto ideologico. Altrettanto pericoloso diventa se a guidarne le azioni è una maggioranza di Governo che si sottrae ai controlli sulla sua parte e si concentra sulla parte avversa. La Magistratura diventa così uno strumento di potere e non ha alcuna importanza che quel potere sgorghi da un evento elettorale. Il populista si distingue perché vuol far credere che, una volta consultato il popolo, tutto sia lecito alla parte che risulta maggioranza, che resta libera di interpretare a suo piacimento il mandato ricevuto nelle elezioni. Questa è un’idea barbarica e sommaria della democrazia, che invece può esistere solo se nessun potere è definitivo, nessun potere è assoluto, nessun potere può sentirsi svincolato da controlli e verifiche sul suo operato. Certo che tutto questo è molto complicato: una bella dittatura plebiscitaria (oggi la chiamano “democrazia illiberale”) è molto più semplice e diretta, e pare anche più efficiente. Peccato che chi ha il potere, se non è soggetto a vincoli e controlli, tende a tenerselo e quindi quel fantoccio di democrazia diventa quasi sempre irreversibile, salvo il ricorso ad atti di forza o di resistenza. La democrazia nasce per garantire la convivenza pacifica, la tolleranza, l’equilibrio delle varie componenti della società. Nessuna deve prevalere sulle altre senza regole precise e condivise. Da decenni in Italia i magistrati attaccano la politica e da essa sono attaccati, in uno scontro che diventa spesso una rissa da cui non sortisce alcun effetto riformatore ma solo una radicalizzazione, che apre la via a soluzioni traumatiche. Servirebbe un armistizio ed un patto di non aggressione, finalizzato a riformare ed ottimizzare il sistema. La politica dovrebbe dismettere qualsiasi pretesa di indebita interferenza, mentre la Magistratura dovrebbe dismettere la pretesa di insegnare moralità anche a costo di distorcere le leggi. Esistono la Costituzione e le leggi. Le leggi le fa il Parlamento, i magistrati le applicano. I due ambiti devono convivere, rispettando le reciproche prerogative. Sarà utopistico, ma non si può più far finta di nulla e continuare in un braccio di ferro dove non vince nessuno, mentre la qualità della vita sociale degrada. Né la politica né la Magistratura sono esenti da colpe anche gravi. È appena il caso di ricordare che il Magistrato, per sua funzione inalienabile, può disporre della reputazione, della libertà, dei beni e spesso anche della vita stessa di tutti i cittadini, ovvero dispone di quanto di più prezioso ciascuno di noi abbia. La Costituzione in proposito offre le più ampie garanzie. A fronte di tali formidabili poteri, alla Magistratura è assicurata ampia autonomia, ma solo in cambio di assolute garanzie di imparzialità, di professionalità, di eccellenza delle prestazioni. Se tra politica e Magistratura si innesca una competizione senza esclusione di colpi invece che una pur non semplice collaborazione, a perderci è tutto il sistema, che precipita fuori dallo Stato di diritto. Resta solo la legge del più forte, con esiti imprevedibili.
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