È andata come è andata … Ora serve un respiro profondo, un attimo di concentrazione, e poi si riparte. Si riparte perché la Storia non si ferma qui: la Storia va avanti con o senza di noi, dove per noi intendo i democratici e riformisti sconfitti, e sono tanti, in tutto il mondo. Ovviamente le elezioni in USA ci riguardano da vicino, bruciano da morire, ovviamente avranno conseguenze dappertutto, ovviamente chiederanno a tutti di ripensare visione e prospettive. È una svolta. La seconda vittoria di Trump rappresenta per il sistema democratico, inteso come ormai centenario metodo di gestione della società, uno stress test decisivo. Se lo supereremo, e questo vorrà dire che saremo in grado di rimetterci in competizione e prenderci una rivincita nei tempi dovuti, vorrà dire che davvero il sistema democratico è insostituibile ed è il miglior modo di organizzare e gestire una società civile. Un sistema robusto, resiliente. Se non lo supereremo, e questo lo vedremo dagli impedimenti che troveremo a rientrare in gioco, perché nel frattempo il gioco l’avranno cambiato, vorrà dire che sarà cominciata un’altra era e che quella democratica sarà stata una lunga e produttiva parentesi, che però non ha saputo difendere sé stessa ed è stata superata da qualcos’altro, che oggi possiamo solo intuire, immaginare e temere. Inutile essere ottimisti o pessimisti: la Storia la faremo tutti insieme, belli e brutti, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, ammesso che queste categorie valgano ancora per come le abbiamo definite finora. Noi democratici e riformisti dovremo fare in ogni caso la nostra parte, se saremo capaci di ripensarci e prospettare un’idea di società che sia attraente per la maggioranza dei cittadini. Altrimenti verremo spazzati via e sostituiti, forse dal nulla. Siamo davvero convinti dei nostri principi di libertà, uguaglianza e solidarietà? Del suffragio universale, della parità uomo-donna, dell’economia di mercato, dello Stato Sociale, dei diritti e dei doveri fondamentali dei cittadini? Lo siamo davvero o abbiamo dei dubbi? Se lo siamo, dobbiamo capire che è su quei fondamenti che dobbiamo ricostruire la nostra rivincita e non su distinzioni speciose che ci conducono irrimediabilmente alla sconfitta. Giusto per essere chiari, di fronte ad un presumibile attacco frontale del sovranismo illiberale, intendiamo continuare a correre dietro alle marginalità e a sottolineare le differenze tra di noi, o riusciamo ad imbastire un discorso basilare, comprensibile ad una vasta e possibilmente maggioritaria platea? Lo capiamo che, o riusciamo a farci capire ed accettare da tanti, o questo lo farà qualcun altro, con strumenti e contenuti per noi perlomeno spiacevoli? Trump ha vinto anche nel voto popolare, 5 milioni di voti in più: coi suoi messaggi rozzi, volgari e per noi inascoltabili è riuscito a raggiungere decine di milioni di americani, la maggioranza. Noi, che siamo fieri delle nostre sofisticate distinzioni, abbiamo perso. Insomma, se non ci poniamo sul serio il problema di essere maggioritari, saremo spazzati via sia noi che la democrazia liberale ed al suo posto si istaurerà un incubo autoritario. Chi ha archiviato la vocazione maggioritaria? Chi si è preso questa responsabilità? Mai come oggi quel concetto è irrinunciabile, e non importa affatto se la maggioranza la si raggiunge da soli o in coalizione con altri simili, l’importante è avere ben saldo in testa che null’altro conta in democrazia se non diventare maggioranza, aggregare persone quanto basta intorno a pochi obbiettivi condivisi e con quelli conquistare il potere e gestire la società. La purezza dell’ideale non serve a nulla, se resta patrimonio di pochi. Gli shakespeariani happy few, se rimangono sempre few, sono destinati a non essere mai happy. Ci dovrebbe essere chiaro il rischio che stiamo correndo: se non ci attrezziamo mentalmente a superare le distinzioni speciose, che non siano quelle sui principi basilari, diventeremo obsoleti, saremo inutilizzabili per la rinascita di una speranza riformista. Analizziamo pure quanto è successo: in tanti lo stanno già facendo e non è impresa così difficile, vista la quantità impressionante di errori che abbiamo commesso e stiamo ancora commettendo. Difficile è ritrovare le motivazioni ed il terreno su cui ricostruire. Vale per i democratici americani, ma vale anche per i riformisti italiani, francesi, tedeschi, europei, tutti ora tenuti sotto scacco dal populismo e dal sovranismo imperanti. Leader, dirigenti, quadri intermedi, militanti, semplici cittadini coscienti, la scelta è adagiarsi o impegnarsi a ricostruire una proposta politica vincente, su basi più ampie e credibili. Nessuno può sentirsi esentato. Ci aspettano tempi duri e dovremo essere all’altezza delle difficoltà del momento. È questione di sopravvivenza, non solo politica ma anche morale, del nostro ideale di vita. Non è la prima volta che si presenta questa sfida, anche se ora l’ampiezza della posta in gioco, estesa a tutto il mondo, presenta forse rischi inusitati. Finora il sistema democratico “occidentale” ha sempre superato le prove più dure, pur con costi altissimi. Sottovalutare la gravità della situazione, e continuare business as usual, sarebbe un atto da irresponsabili. Questa, di nuovo, non è un’esercitazione.
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