Chiunque abbia avuto la ventura di bazzicare, negli ultimi cent’anni e anche più, in qualsiasi ambiente politico, pur solo vagamente legato alla sinistra (di ogni estrazione culturale), si sarà imbattuto innumerevoli volte nel più consolidato dei mantra intonati da quelle parti: l’UNITA’. Dei lavoratori, degli sfruttati, degli oppressi, dei ribelli, dei braccianti, degli operai, degli impiegati, di chiunque abbia in corso qualsiasi rivendicazione contro il potere costituito. UNITA’: la festa, il giornale, Gramsci, la parola magica a cui vengono attribuiti poteri taumaturgici, parola che da sola dovrebbe garantire l’inevitabile successo di qualsiasi aggregazione, parola chiave di ogni ragionamento, di ogni programma, di ogni chiamata all’impegno. Chiunque abbia bazzicato da quelle parti sa anche però che nessuna parola è mai stata più disattesa, vilipesa, confutata, equivocata, dagli effettivi comportamenti di chi quell’area ha continuato a bazzicare. Perché? Perché è sempre vigorosa l’illusione che basterebbe unirsi in una rivendicazione per ottenere immancabilmente la vittoria. Il magico potere dell’UNITA’ …! In realtà, una certa unità di intenti sarebbe davvero indispensabile per avere successo perché, come ho già scritto alcune centinaia di volte (chiedo scusa, ma repetita juvant …!), la democrazia è duale: o stai al Governo o non ci stai e, se ci vuoi andare (ammesso e non concesso che tu lo voglia per davvero …!), devi industriarti per diventare maggioranza; quindi, ti devi alleare con chi condivide con te almeno lo stesso obbiettivo. Almeno. E allora UNITA’: è perfino banale. Peccato che unire i diversi sia impresa non facile. Nemmeno impossibile, ma certamente non facile. Serve la chimica, regole condivise, fiducia reciproca, la condivisione di qualche principio base e di un po’ di progetti da attuare. Altrimenti non si va da nessuna parte. Serve quindi un sano esercizio di realismo, piedi per terra e capacità di mediazione. Serve soprattutto la volontà di unirsi, che vuol dire lo sforzo di definire ed accettare la strategia e le tattiche più efficaci per raggiungere l’obbiettivo. E qui casca l’asino! Il problema è (sempre stato) che per alcuni a sinistra la Verità è sempre una ed una sola. UNITA’ sì, ma alle condizioni di chi la predica che, per definizione, è quello che si arroga il privilegio di saperla più lunga degli altri. E dato che tutti pensano di saperla più lunga degli altri, ecco che l’unità diventa solo pura ipocrisia, uno slogan vuoto e rituale. I risultati (scellerarti) sono sotto gli occhi di tutti. Le maggioranze di sinistra, che pure ci sono state, si sono sempre sfasciate dall’interno, perché qualcuno ha deciso di saperla più lunga e di pretendere UNITA’, ma sulle sue posizioni: da Bertinotti a Turigliatto, a D’Alema e Bersani, sempre così. Basterebbe questo raccapricciante “dettaglio” per dichiarare la sinistra tragicamente INADATTA al Governo del Paese. E infatti ci sono parti della sinistra (vedi sopra) che preferiscono di gran lunga l’opposizione alle rogne dei compromessi, necessari per governare. Infantili, immaturi, irresponsabili, fate voi …! Gente che ancora oggi è capace di dichiarare con aria pensosa che a volte (cioè sempre) è meglio perdere che vincere. Una bestemmia, in politica. Fatto sta che a destra questo avviene molto più raramente, e infatti governano. Governano male, malissimo, sono imbarazzanti, ma governano. Noi di ogni tipo di sinistra, che invece siamo notoriamente bravissimi, i più bravi, stiamo a guardare, guardandoci pure in cagnesco, convinti ognuno di avere la verità in tasca. Consiglio di abolire il termine UNITA’: non è più tempo di ipocrisie! Chi vuole davvero governare deve (è un obbligo morale!) trovare il modo per ottenere la maggioranza e non vale consolarsi con le balle che tanto gli italiani sono di destra, che tanto non si cambia mai nulla, che i poteri forti, i transiti negativi, gli influssi astrali, il neoliberismo, il neocapitalismo, il neocolonialismo, la grande industria bellica e le grandi banche ... Tutte e solo scuse patetiche! Chi vuol davvero governare, invece di predicare un vuota unità che non c’è, deve mettere nero su bianco pochi progetti concreti e fattibili, che possano davvero toccare il cuore ed anche le tasche di una maggioranza di persone: queste persone, questi italiani, questi cittadini, che dell’unità in astratto se ne fregano, ma che sarebbero invece interessati ad un welfare più efficiente, ad una crescita non simbolica, a salari più consistenti, ad una pubblica amministrazione funzionante, ad una sanità senza code e senza sprechi, ad un’Europa, infine, che rappresenti davvero una voce politica importante tra i grandi della terra e non il ruotino di scorta del mondo. È compito di chi si propone di governare rendersi attraente e convincente per chi vota, ed anche per chi ha smesso di votare; gli slogan possono scaldare una piazza ma non riempiono le urne. Mai successo. Quindi, Maurizio Landini faccia cosa crede meglio, ma se non vuole restare ad abbaiare alla luna (cosa che gli riesce benissimo) e vuole avere un qualche peso, nell’interesse di chi lo ha improvvidamente eletto lì dov’è, deve accettare di confrontarsi con chi ha idee concrete e fattibili in testa e non solo farneticare sulla immaginifica “rivolta sociale”. Lasciamo pure Giuseppe Conte a trastullarsi con la parola “progressista”, di cui s’è invaghito perché Casalino deve avergli detto che il termine è più gradevole, suona meglio, è distintivo e sembra originale: a lui frega poco che “progressista” viene dal Settecento, dal “secolo dei lumi”, dalle rivoluzioni americana e francese, persino da quei barbuti massoni che fondarono gli Stati Uniti d’America (a proposito, “e pluribus unum” è il loro motto nazionale: e oggi l’unum è Trump …). Conte ruba le parole ad una tradizione liberaldemocratica a cui lui è totalmente estraneo, intriso com’è di populismo e sovranismo. Difficile non dare ragione a Beppe Grillo, che lo accusa di avere disperso il carattere visionario del Movimento delle origini, per trasformarlo in un partitino qualsiasi. Grillo e Casaleggio almeno avevano un’idea, folle quanto si vuole, ma era qualcosa di nuovo. Conte è un reazionario di destra (altro che progressista!), un populista, un maneggione democristiano arrivato fuori tempo massimo. Quelli che invece vogliono fare sul serio devono guardare avanti e prepararsi a governare, con un vero programma, con un personale politico adeguato, con messaggi chiari che vadano oltre la stantia riproposizione dell’UNITA’. Prodi è stato molto chiaro in proposito, Renzi lo sostiene da sempre, Draghi ha offerto un contributo strategico formidabile: ora i riformisti del PD e i terzopolisti sparpagliati dappertutto si diano da fare: tocca a loro! Nessuno li insidia: in realtà si insidiano da soli … La maggioranza in carica non rappresenta davvero una concorrenza agguerrita: sono inadeguati per le necessità di un mondo complesso, che richiede alte competenze e visione che non hanno. Meloni e compagnia stanno in piedi solo per mancanza di alternative credibili, lo dicono tutti. Ma non serve predicare UNITA’, serve chiarezza di idee e determinazione. E voglia di vincere.
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