Riarmo sì, riarmo no, riarmo forse, riarmo come ...? Non sono decisioni facili, dopo decenni nei quali ci eravamo illusi, almeno noi europei, che la guerra fossa una cosa che non ci riguardasse più. In realtà, avevamo vissuto decenni di guerra fredda: solo che eravamo comprimari, ci mettevamo il teatro, da Vienna a Berlino a Londra, ma gli americani ci mettevano gran parte dell’intelligence, degli armamenti, e pure la deterrenza nucleare. Non era poco … Poi abbiamo avuto la guerra nei Balcani, qui a due passi, dove abbiamo anche fatto la nostra (piccola) parte, ma allora i Balcani non erano ancora vissuti come Europa; era la vecchia Jugoslavia andata a pezzi, nella quale venivano al pettine i nodi della caduta del Muro e di Tito. Una mattanza tremenda, veri tentativi di pulizia etnica, eppure anche i caccia, che attraversavano l’Adriatico per andare sul teatro di guerra, li avevamo digeriti. Ma adesso i pezzi della ex-Jugoslavia sono Europa a tutti gli effetti: Slovenia e Croazia sono già dentro, anche nell’euro, gli altri sono in lista d’attesa. Poi è venuta l’Ucraina, dal 2014, passo dopo passo, fino alla brutale invasione russa di tre anni fa. E l’Ucraina è ai confini ormai allargati dell’Unione …, Unione che oggi dovrebbe essere un’entità non solo geografica ma anche politica, una Grande Potenza. E invece no. L’Europa è una potenza commerciale, finanziaria, industriale (in alcuni settori), è un enorme e libero mercato, è un modello di società evoluta con un welfare avanzatissimo, ma è un nano dal punto di vista strategico e geopolitico. Non ha una politica estera unica, ma 27 politiche diverse, non ha una forza armata comune ma 27 forze armate, che al massimo fanno esercitazioni insieme, nell’ambito della NATO, che finora è stata egemonizzata dalla strabordante potenza USA. L’Europa è sempre stata sotto quell’ombrello … dove si sentiva più sicuro persino Enrico Berlinguer. Di difesa comune europea si parla dai tempi di De Gasperi e Adenauer, mille prese di posizione, dichiarazioni d’intenti, buoni propositi, ma di concreto nulla o quasi. Ora l’avvento di Trump, così aggressivo e a suo modo “rivoluzionario”, ha oggettivamente segnato un punto di svolta, un rovesciamento delle alleanze, uno stravolgimento geopolitico inimmaginabile. Trump potrebbe uscire dalla NATO da un giorno all’altro, potrebbe portare via dall’Europa occidentale uomini e mezzi, comprese le testate atomiche, e lasciare al suo amico e sodale (perché tale è …) Putin la facoltà di riprendersi un pezzo di Europa, quella che i Russi hanno, da Yalta in poi, sempre considerato di loro spettanza. Questo può avvenire subito o tra un po’ di tempo, tutto di colpo o gradualmente, ma è certo che Trump vuole strappare la Russia alla Cina, e per questo è disposto a sacrificare l’Europa. È convinto che tanto l’Europa non riuscirà a reagire e che sarà costretta a adattarsi al nuovo ordine mondiale. Lui è forte, Putin pure, l’Europa non è solo debole, ma non è proprio nemmeno un player in questo infernale Risiko. E allora è venuto il momento per l’Europa di emanciparsi, di crescere, di diventare adulta. Non c’è molto tempo, anzi forse è già tardi, ma non c’è alternativa ragionevole a quella non ragionevole di entrare nella sfera di influenza di Putin. In questo scenario, il problema dei soldi necessari alla difesa non è quello più importante. Certo, non si fanno le nozze coi fichi secchi, quindi non si può giocare col braccino corto, come si dice nel tennis. Ma il problema vero NON sono i soldi, che si possono sempre trovare. Il problema vero è costruire una forza armata unica e fortemente coordinata, moderna ed efficiente, che supporti una politica estera non timida, remissiva e a volte velleitaria. Una vera politica estera da Grande Potenza che difende i suoi interessi commerciali, industriali, finanziari e pure il suo modello di vita e di società. Gli Stati Uniti si sveglieranno, forse tra due, o quattro, anni, o forse ci vorrà più tempo: noi non possiamo aspettare che escano da una crisi lacerante che ha spaccato il Paese in due metà che non si capiscono più, non si sopportano più, non hanno gli stessi principi di riferimento. I prossimi mesi ci diranno quanto profonda è la crisi americana; noi, nel frattempo, dobbiamo attrezzarci per fare da soli. Se tutto questo ha un senso (e vorrei proprio che non ce l’avesse …), è chiaro che discutere degli 800 miliardi in quattro anni annunciati da Ursula von der Leyen è una battaglia di retroguardia. Non sono i soldi il problema, ma è la volontà politica di compiere un ulteriore passo verso l’integrazione, la politica estera e la Difesa comuni. Non ci saranno tutti i 27 Paesi? Bisogna procedere con chi ci sta, come si fece con l’euro. Ma il passo politico è accettare l’integrazione ed il coordinamento della Difesa Europea. I soldi e i vincoli di bilancio sono “un dettaglio tecnico” facilmente risolvibile (infatti è bastato un pomeriggio …), ma serve anche la volontà politica di andare avanti. La risoluzione che ha previsto lo stanziamento doveva essere completata dalla istituzione di una Commissione di Coordinamento strategico a guida politica, con un robusto staff tecnico di personale militare interforze, che gettasse le basi per una strategia comune da sviluppare e finanziare con 800 o più miliardi in un piano pluriennale. Di questo non c’è traccia … Denunciare l'incompletezza del Piano Rearm Europe NON è quindi un infantile vezzo pacifista, ma la richiesta di uno scatto nel processo di integrazione europea, e non dovrebbe essere strumentalizzata ai fini di una miope politica interna. Troppo poche, seppur autorevoli, voci si stanno levando in tal senso, ma non si tratta di grilli parlanti o di dimostrazioni di ego ipertrofico: sono ragionamenti urgenti, profondi, fondamentali, che devono trovare sbocco operativo ADESSO, non chissà quando. Il tempo è ORA, prima che sia davvero troppo tardi. Questa impellente necessità di integrazione vorrei che fosse il vero leitmotiv delle piazze di sabato prossimo, anche se temo che si cercherà di indirizzare la partecipazione popolare verso un generico e del tutto fuori luogo pacifismo da liceali. Il pacifismo senza strategia è il miglior alleato del bellicismo e apre la strada ai guerrafondai che non aspettano altro che dimostrare come solo la guerra risolva davvero i problemi. Invece, se davvero “ripudiamo la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11 della Costituzione), dobbiamo attrezzarci al meglio per non cadere nelle grinfie di chi non ha scrupoli di sorta ad usare la forza come strumento di pressione politica. L’Ucraina e la sua triste sorte ci dimostrano con chiarezza il significato di questa affermazione. Gli ucraini resistono strenuamente da tre e più anni, pagando un prezzo spaventoso di morte, di dolore e distruzione dei loro beni. Altro che “guerra per procura” di cui vanno cianciando da anni i nostri saccenti analisti da talk show! Quale popolo subirebbe tutto questo “per procura”? La piazza di sabato dovrebbe affermare con forza che la pace giusta non è mai una resa, la pace è equilibrio, equità, giustizia, mai sopraffazione.
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