Tanto per cambiare, c’è molta agitazione nell’area dei cosiddetti riformisti democratici. Difficile identificarli bene questi riformisti, sono sfuggenti, sono liquidi, spesso inclassificabili. Si trovano un po’ dappertutto, nel PD, in Italia Viva, in Azione, nel nuovo Partito LiberalDemocratico, nei socialisti, nei radicali, nell’area cattolica, devono essere tantissimi … Se li senti parlare, dicono tutti più o meno le stesse cose, fanno tutti le stesse proposte di buon senso, non creano illusioni (mica sono populisti …!), si vantano di essere concreti, sanno che il momento è difficile, sanno che non abbiamo affatto un Governo di cui andare fieri, anzi, se ne lamentano a gran voce (e ne hanno ben donde). Stanno tutti all’opposizione, seppure con stili e posture (oggi si dice così) diversi. Peccato che, secondo le migliori tradizioni, non ne trovi due che abbiano la stessa idea di come muoversi nell’arena politica. Alle prossime regionali, c’è chi va da solo, chi non si presenta affatto, chi si coalizza con qualcuno, di qua o di là … Tutti cuochi che pensano di possedere la migliore ricetta della carbonara o del risotto allo zafferano. Nel frattempo, mangiamo m … ale! Non c’è verso di metterli intorno ad un tavolo a parlare di politica, a studiare come si possa trovare uno spazio operativo utile per portare al Governo un po’ di competenza, di buon senso, di razionalità, di rispetto verso le istituzioni. Si spellano le mani per applaudire Mario Draghi ogni volta che apre bocca e si dimenticano che è stato il nostro Presidente del Consiglio per un anno e mezzo (grazie alla sagacia di Renzi e Mattarella …). Fatto l'indispensabile, in poco tempo diventò però indigesto e indigeribile per i populisti nostrani di ogni colore, di destra e pure di sinistra, e fu tosto messo alla porta, per fare spazio alla magnifica destra di Giorgia Meloni. Ora, caso davvero notevole, l’Italia si permette il lusso di tenere in panchina … anzi no, in tribuna, a Pieve di Vattelapesca, in Umbria, un fuoriclasse di assoluto valore, uno che, quando parla, tutti i leader prendono appunti (come confessò lo spagnolo Sanchez), mentre in campo abbiamo Urso, Lollobrigida, Delmastro, Mantovano e Fazzolari, tutti alla corte dei miracoli dell’ineffabile Giorgia Meloni. Grande Paese il nostro …! Si dice: ma hanno vinto le elezioni! Vero, ma perché le hanno vinte? Con pochi voti hanno fatto cappotto nei collegi, loro coalizzati e gli altri sdegnosamente separati. È antipatico riaprire vecchie ferite, ma intanto sanguinano ancora: un centrosinistra diviso in tre parti avrebbe perso anche contro Gianni e Pinotto. Ma noi riformisti cerchiamo il pelo nell’uovo, lo cerchiamo a costo di tutto, pur di non affrontare di petto il vero e solo problema della politica, ovvero come vincere e tornare a governare. Troppo semplice, troppo poco cervellotico. E allora ci sfiniamo in sottili distinguo, in dotte discussioni sul bipopulismo, che tutti aborriamo, ma che non siamo capaci di affrontare in modo efficace. I riformisti sono stretti nella tenaglia dei populismi giustizialisti di destra e di sinistra e non riescono a venirne fuori. Quei populismi non sono la maggioranza, ma il populismo di destra fa cartello e vince. Quello di sinistra pensa solo a gonfiare il petto ed alzare la voce, senza preoccuparsi di quello che dice. I riformisti eccellono nella masturbazione delle mosche e, tanto per cambiare, litigano tra di loro. Si accusano di essere opportunisti, ma intanto le opportunità evaporano, di non essere coerenti, ma intanto il mondo cambia rapidamente, di non avere le idee chiare, e nel frattempo stanno fermi. Si accusano di cercare solo le poltrone … e lì il cinquestelle che è nascosto in ciascuno di noi ha un fremito profondo. Le “poltrone”!! L’anatema più terrificante! Come se tutta la politica non fosse (sempre stata) un’attività per gestire il potere, il potere di guidare una società, di cambiarla, riformarla, renderla più consona ai principi ai quali ti ispiri. E puoi farlo seduto in poltrona, accovacciato su uno strapuntino, o anche in piedi, ma il potere lo devi conquistare, per cambiare il mondo. C’era chi lo voleva cambiare con la rivoluzione; i riformisti hanno sempre creduto nei metodi democratici. Ma al potere ci devi arrivare, poltrona o strapuntino che sia. E invece i social (maledetti social!) sono pieni di accuse velenose a chi si dà da fare, a chi cerca strade percorribili, di volere solo la "poltrona", l’ambito segno del potere. C’è un cinquestelle nascosto nel profondo di ogni riformista della domenica, rassegniamoci. Ma che ci vuole a capire che i riformisti, dovunque essi siano, dovrebbero avere tutto l’interesse a raggrupparsi, a coordinarsi, per far valere il proprio peso verso i populisti di sinistra, che altrimenti rischiano di avere campo libero per veleggiare felici verso l’ennesima disfatta e, dopo, incolpare tutto il mondo, tranne la loro propria miopia, la loro spocchia, la loro inconcludenza? Non è difficile, è alla portata di tutti capire che, se vuoi contare, devi pesare e, più pesi, più conti. Invece si preferisce disperdere energie in mille gruppuscoli di puri e puri, che mai e poi mai vorrebbero mischiarsi con altri, come se la politica la potessi fare da solo o con quattro amici al bar … Parlo dei Marattin, dei Calenda, dei Magi, Bonino, parlo delle tante fondazioni e associazioni, che dovrebbero correre a costituire un Polo riformista che offra una sponda solida ai tanti riformisti del PD, che sappia discutere e farsi valere nell’area di centrosinistra, per non lasciarla nelle mani inaffidabili dei populisti. Ho già detto mille volte che la democrazia è duale: maggioranza-minoranza, governo-opposizione. Ogni ipotesi di terzietà si scontra con una realtà incontestabile: se vuoi contare qualcosa devi accettare di discutere e confrontarsi con chi ti può aiutare a vincere e governare. Da soli si perde di certo, uniti si vince, forse. Abbiamo paura del confronto? Abbiamo paure di discutere con Conte, con Schlein, con Fratoianni? Siamo messi così male a coraggio, noi riformisti, impavidi e spavaldi solo se stiamo con i quattro amici più prossimi e fedeli? La politica è discussione, confronto, compromesso, è capacità di convincere, di proporre soluzioni intelligenti e fattibili. Non è restare sul pulpito a pontificare. La politica è sangue e merda, diceva l’iper-pragmatico socialista Rino Formica con grande finezza. Forse esagerava ma, parliamoci chiaro, è meglio cambiare il mondo passo dopo passo, per approssimazioni successive, o aspettare il giorno del mai, in cui qualcuno (chi, Babbo Natale?) ci darà il potere assoluto per soddisfare i nostri aneliti? Sono cento anni che a sinistra si litiga (e si perde) su questo punto, e sono cento anni che non riusciamo a prendere atto che Babbo Natale non esiste e che spetta a noi, solo a noi, prepararci le condizioni per un mondo migliore. Sempre che ci interessi quello, e non solo far vedere quanto siamo bravi e belli …!
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